Capitolo 42

 

 

 

 

 

Cinque settimane prima.

Milano, 30 novembre. 19:04.

 

«Monsignor Claude de Beaumont?», domandò lei.

L’uomo, abito nero lucido e faccia bianca, distolse lo sguardo dal Cenacolo e la squadrò come se fosse un mendicante a un pranzo di gala.

«Come ha fatto a entrare?», tuonò con lieve accento francese. «Il museo è chiuso. Questa è una visita privata».

La donna sorrise e si sedette accanto a lui. Era giovane, bruna e con grandi occhi castano chiaro. «Mi chiamo Meredith Evans e vorrei mostrarle una cosa».

De Beaumont, visibilmente contrariato, la incenerì con lo sguardo. «Avrebbe potuto prendere un appuntamento contattando il mio ufficio».

Meredith sorrise. «Non per questo!». Infilò un paio di guanti di cotone bianco ed estrasse da una busta un foglio poco più grande di un A4. Poi lo mostrò al monsignore.

Lui cambiò improvvisamente espressione. Non proferì parola.

«L’autore è Marcantonio Raimondi. È stata ritrovata due settimane fa in una biblioteca di Istanbul».

De Beaumont continuò a osservare il foglio in silenzio: un’incisione in bianco e nero, ottenuta probabilmente da una lastra di rame lavorata e cosparsa di inchiostro.

«Pensa ancora che avrei dovuto rivolgermi al suo ufficio?», chiese Meredith con un ghigno.

«Perché ha deciso di mostrarla a me?»

«Perché mio marito ammira i suoi studi su Solimano il Magnifico. Ha sempre ritenuto le sue teorie affascinanti».

De Beaumont si accarezzò le labbra. Rifletté ancora qualche istante in silenzio, poi guardò Meredith. «È autentica?».

La donna ripose l’incisione nella busta e poi tornò a guardare de Beaumont. «Speravamo potesse dircelo lei…».

 

Cinque minuti dopo, i due camminavano, uno dietro l’altra, nella navata centrale semibuia di Santa Maria delle Grazie. Una luce fioca penetrava dal rosone sopra il portale centrale e disegnava lunghe ombre sul marmo rossastro del pavimento.

Proseguirono spediti fino all’abside. Quando furono sotto la cupola impreziosita dalle decorazioni circolari realizzate da Bramante, voltarono a sinistra. Superata la sagrestia adibita a piccolo Bookshop, varcarono un portone e si ritrovarono all’aperto, nel cosiddetto chiostro delle rane. De Beaumont si sedette su un muretto, con le spalle alle piccole siepi e invitò Meredith a fare lo stesso.

«Qui c’è più luce. La posso rivedere?», chiese con la stessa deferenza che avrebbe usato per il Santo Padre.

La donna estrasse nuovamente l’immagine e la porse al monsignore. «Lei è uno dei più grandi esperti di arte cinquecentesca», lo adulò. «Mio marito pensava che questa incisione avrebbe potuto avvalorare la sua tesi secondo cui Raffaello avrebbe terminato la Trasfigurazione prima di morire. Se non abbiamo male interpretato i suoi studi, lei ritiene che il dipinto sia stato modificato solo successivamente… per…».

«Cancellare Maometto», la interruppe de Beaumont.

«Esattamente… Quindi anche lei concorda con mio marito? Crede che il soggetto della Trasfigurazione sia Maometto e non Gesù?»

«Potrebbe essere una scoperta sensazionale. Se questa incisione si dimostrasse autentica sarebbe come un’istantanea del quadro di Raffaello prima che lui morisse. Dimostrerebbe che il volto di Cristo fu realizzato in seguito alla sua morte, con ogni probabilità dai suoi allievi».

«Ma perché realizzare un quadro con Maometto?».

Il monsignore sospirò, quasi avesse di fronte un’allieva poco sveglia. «Se è venuta fin qui da Istanbul, dovrebbe saperlo, signora… Come ha detto che si chiama?»

«Evans. Meredith Evans».

«La mia teoria è che la Trasfigurazione non fosse stata commissionata dal papato bensì da Solimano il Magnifico, sultano e califfo dell’Impero ottomano. O forse da suo padre, Selim I. L’idea è che i musulmani volessero, con quel quadro, rappresentare la pace tra i popoli». De Beaumont fece una pausa teatrale, poi continuò: «Sa che secondo alcuni ingegneri del Seicento, nei progetti della basilica di San Pietro era stato predisposto lo spazio per realizzare una cappella che non fu mai costruita? Avrebbe potuto ospitare un’opera delle dimensioni esatte della Trasfigurazione, ma il quadro di Raffaello non ci arrivò mai».

Meredith annuì.

«L’inizio del Cinquecento era un periodo in cui Costantinopoli aveva bisogno di alleati, più che di nemici. L’attuale Istanbul era la città più grande d’Europa con quattrocentomila abitanti. In quegli anni Solimano si dedicò a una serie di campagne di conquista, dall’Ungheria alla Persia, dal Nord Africa al Golfo Persico».

«Con tali mire voleva un alleato sicuro a Roma?».

Claude de Beaumont sorrise. «Non ci sono prove a sostegno di questa teoria… ma io la penso così. E se questa incisione fosse autentica, bisognerebbe riscrivere pagine intere di storia».

«La vuole tenere… per esaminarla?». Meredith assunse un’espressione imperscrutabile.

Lui la fissò incredulo. «La darebbe a me?»

«Certo… in cambio di un piccolo favore».

Il monsignore si bloccò di colpo. «Che genere di favore?»

«Oh, uno che non le costerà nulla».

«Mi perdoni, credo di non capire. Lei è venuta da Istanbul per mostrarmi questa incisione… ed è disposta a lasciarmela in cambio di un favore?».

La donna accavallò le gambe. «Io possiedo questa incisione che potrebbe confermare le sue teorie. Se la vuole è sua, mio marito è disposto a regalargliela. La consideri un acconto».

«Un acconto per cosa?».

Meredith ignorò la domanda e proseguì. «È parte di un dittico. A lavoro finito le daremo anche la seconda parte dell’incisione».

«Mi perdoni, ma di che lavoro stiamo parlando?»

«Un lavoro che potrebbe soddisfare le sue curiosità artistiche e… chissà… anche le sue altre curiosità?».

La parola altre era stata pronunciata in modo ambiguo, quasi lascivo.

Le sue altre curiosità.

A cosa si riferiva? Non poteva certo sapere…

«Conosce dei dispositivi che si chiamano OCST?», domandò infine la donna.

 

La settimana successiva, il cinque dicembre, monsignor Claude de Beaumont scese dal tram numero diciotto in piazza Santa Maria delle Grazie. Era tornato a visitare l’Ultima Cena con gli OCST, che fino a pochi giorni prima non aveva mai sentito nominare, impiantati nella nuca.

La sera precedente, senza spostarsi dal suo divano, aveva rivissuto le impressioni di numerosi rapporti sessuali con due ragazze indonesiane. Per merito di quel meraviglioso dispositivo, aveva soddisfatto alcune delle sue altre curiosità, come le aveva definite Meredith.

E adesso era pronto a osservare e imprimersi nella mente il dettaglio che gli era stato chiesto: i due apostoli accanto a Gesù e le tre lunette sopra l’affresco. In cambio di quella visita, e di poche altre, avrebbe ricevuto non solo le incisioni ma anche quel dispositivo meraviglioso.

Non poteva certo sapere che quel dono gli sarebbe costato la vita.

La chiave di Dante
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