Capitolo 47
Milano, 3 gennaio. 9:19.
Julia era rimasta lontana dall’auto fino a quando non aveva deciso come agire.
Aveva due opzioni: attendere che il giapponese portasse Cassini da qualche parte e intervenire in seguito, oppure cercare di liberarlo subito, magari approfittando dell’effetto sorpresa.
Mentre guidava la Honda Hornet per le strade di Milano, con la visiera puntata sulla BMW, aveva un solo pensiero in mente: Meredith. La regina era stata rapita a Parigi poco dopo la notte con Cassini. Il giapponese era convinto che avesse addosso il dispositivo, ma si sbagliava. Lei, nel tentativo di liberarla, era intervenuta in un blitz alla Défense. Ma aveva fallito: c’era stata una sparatoria e la moglie dello sceicco era rimasta colpita. Non poteva ripetere lo stesso errore.
Non aveva scelta: la sua missione era troppo importante e Allah era con lei.
Decise all’improvviso, come in un impeto di rabbia: doveva agire subito.
Abbassò la cerniera del giubbotto di pelle ed estrasse la Glock 9x21. Aumentò la velocità e si avvicinò alla BMW.
«Gira a destra», ordinò Tanaka all’autista.
Il semaforo che dava su via Savona era appena diventato rosso, ma la BMW, invece di rallentare, accelerò di colpo.
Si udì una frenata e subito dopo un rumore di lamiere contorte. Un allarme cominciò a suonare.
«È sempre dietro», grugnì Tanaka. «Si avvicina».
Uno dei due uomini accanto a Cassini abbassò il finestrino ed estrasse un grosso revolver dalla giacca. Senza prendere la mira puntò la pistola verso la moto e fece fuoco tre volte. A vuoto.
«Seminala!», ingiunse il giapponese. Poi anche lui estrasse la sua arma.
L’auto scattò a destra per schivare un furgone blu. Quando tornò nella direzione di marcia corretta, l’autista trovò davanti a sé un motorino che procedeva a rilento.
Cercò di evitarlo con l’ennesima manovra azzardata ma la strada era troppo stretta: il ciclomotore fu investito in pieno e il corpo del motociclista volò a diversi metri di distanza.
«Strike!», mormorò l’autista tra i denti mentre scalava la marcia.
Improvvisamente il parabrezza posteriore andò in frantumi. Frammenti di cristallo inondarono l’abitacolo e colpirono Cassini al volto. L’uomo alla destra del professore si accasciò con la testa sul sedile del passeggero.
Tanaka capì che dalla Honda avevano aperto il fuoco. Puntò la sua PPK verso il lunotto posteriore ma non fece in tempo a sparare. In quell’istante anche la seconda guardia, alla sinistra di Cassini, fu colpita, seppure di striscio.
Contemporaneamente uno degli pneumatici della BMW esplose, forse danneggiato dallo scontro con il ciclomotore. Si udì un fragore assordante e l’auto sbandò.
L’autista cercò di mantenere il controllo, voltò di scatto, ma il SUV scartò improvvisamente a destra. Urtò contro una fila di bidoni e proseguì come una scheggia impazzita lanciata a tutta velocità.
Davanti alla BMW c’era adesso un incrocio e, di fronte, una aiuola coperta d’erba che saliva sul cavalcavia Don Lorenzo Milani. Se l’auto non fosse riuscita a svoltare da una parte o dall’altra, la strada si sarebbe trasformata in una rampa di lancio.
E così fu. Proseguì a tutta velocità sul cavalcavia come una tavola da surf in balia delle correnti, e dopo un breve tratto spiccò il volo. Si ribaltò in aria e poi atterrò, con le quattro ruote puntate verso il cielo, dalla parte opposta del ponte.
Tanaka fu sbalzato fuori dal finestrino.
Dieci secondi dopo Julia raggiunse la BMW su via Brunelleschi. Sembrava una gigantesca tartaruga a pancia all’aria e occupava l’intera carreggiata.
C’era odore di bruciato e di gasolio. Il fumo era ovunque.
Si avvicinò all’auto rimanendo in sella alla Honda e riuscì a individuare il corpo dell’autista insanguinato.
«Mi aiuti!», gridò una voce. Proveniva dal sedile posteriore. Era di Cassini.
«Sta bene?», indagò Julia alzando la visiera del casco. Più che una domanda era una speranza.
La donna scese dalla moto e provò ad aprire lo sportello. Lo forzò ma senza risultati. Da quel lato c’era il corpo di una delle guardie. Prese la mira e sparò sul vetro che andò in frantumi. «Ce la fa?», si informò ancora.
«Mi liberi!», fu la risposta.
Julia tese la mano e lo aiutò a uscire.
«Fermi», ordinò la voce dell’autista. Un’arma luccicò per un istante all’interno dell’abitacolo. Ma non fece in tempo a tirare il grilletto perché la prima a sparare fu la donna. Un colpo solo alla testa. A bersaglio.
«Chi è lei?», domandò il professore. Un rivolo di sangue gli colava dalla tempia, ma per il resto sembrava incolume.
«La tua unica speranza di sopravvivere».
A pochi metri di distanza, Tanaka si alzò a fatica. Li vide ripartire con la moto: la donna alla guida e il professore dietro, aggrappato come un naufrago a una boa.
Divaricò le gambe, puntò la sua Walther e fece fuoco. Da lì non poteva sbagliare.