Capitolo 58

 

 

 

 

 

Città del Vaticano, 4 gennaio. 9:35.

 

Nella cattedrale in penombra c’era silenzio e l’aria sapeva d’incenso. Una languida melodia d’organo risuonava lontana.

Cassini era impaurito e sudato fino alla base della schiena. La sua fuga si era tramutata in una partita a scacchi tra lui e Julia, ma adesso aveva una strategia… per quanto folle fosse.

Facendosi il segno della croce si spostò velocemente sulla navata di destra e si fermò di fronte alla Pietà di Michelangelo.

Si unì ad alcuni turisti in contemplazione, deciso a raggiungere il transetto. Da quanto ricordava, lì c’era ciò che gli serviva…

Avrebbe dovuto percorrere tutta la navata, novanta metri di archi a tutto sesto e pavimenti di marmo rosato. Novanta metri in cui Julia avrebbe potuto vederlo.

I turisti si mossero in direzione della cupola e lui fece lo stesso. Purtroppo si fermarono subito dopo, davanti al mosaico del martirio di san Sebastiano.

Cassini si voltò verso le porte della cattedrale, temendo di essersi spostato troppo lentamente… E non si sbagliava: dalla parte opposta, accanto alla Cappella del Battesimo, sulla navata di sinistra, vide comparire Julia.

E questa volta non era sola!

 

«È armato e molto pericoloso». La donna fissò i due agenti della Gendarmeria che l’avevano raggiunta sulla scalinata di San Pietro dopo la sua telefonata. Gesticolò, mimando l’altezza del professore. «Fate attenzione!».

I due uomini, abito scuro e ricetrasmittente in mano, si divisero. Uno proseguì lungo la navata di sinistra, l’altro si diresse verso Cassini.

Julia invece si spostò nella navata centrale. Avanzò lentamente procedendo verso l’ambulacro. A ogni passo verificava a destra e a sinistra, con il piglio di un cane da caccia che ha fiutato una lepre.

Poi si immobilizzò con lo sguardo oltre il colonnato che separava le navate. Tra due pilastri di granito era comparso uno dei due agenti della Gendarmeria, in mano teneva un giaccone con il collo di pelo e un cappuccio… Era quello di Cassini.

 

Nel frattempo il professore aveva raggiunto il transetto. Superò le quattro colonne tortili dell’altare papale e si diresse verso la parte destra.

La zona dei confessionali era delimitata da un cordone rosso, davanti al quale erano posizionate una serie di panche di legno.

Ma Cassini non si fermò.

L’addetto sembrava distratto dallo scompiglio silenzioso che Julia e gli agenti della Gendarmeria avevano creato. Lasciò la sua posizione e fece qualche passo in direzione di uno dei due.

Era ciò che il professore attendeva: superò lo sbarramento e si infilò nell’ala destra della chiesa.

Appoggiati alle pareti c’erano una decina di confessionali di ciliegio intarsiato. Avevano l’inginocchiatoio per il penitente da entrambe le parti e lo spazio per il sacerdote al centro, coperto da una tenda rossa. A giudicare dai fedeli seduti, tutti sistemati lungo la parte destra, solo i primi tre erano occupati.

Cassini accelerò il passo e si infilò nel quarto.

 

«Si è tolto il giaccone», sentenziò una delle due guardie, la più bassa, con un pizzetto nero che gli cingeva il viso bianco e magro.

Julia aveva raggiunto il gendarme tra la cappella Gregoriana e quella del Santissimo Sacramento. Davanti all’altare antistante c’erano una schiera di candele accese in omaggio alla Madonna del Soccorso. La luce giallognola rischiarava i visi stupiti dei fedeli in preghiera.

La donna li squadrò a uno a uno, come se fossero davanti a un plotone d’esecuzione. «Deve essere qui intorno», concluse. «Non può essere andato lontano!».

Il militare sistemò il giaccone su una panca e bisbigliò qualcosa nella ricetrasmittente. Poi alzò lo sguardo in direzione dell’ingresso alle Grotte Vaticane.

 

Cassini, all’interno del confessionale, respirava in maniera affannosa, come se avesse appena concluso una maratona olimpica.

Indossava lo stesso abito scuro che gli aveva fatto trovare Julia sul letto, quella mattina. Senza il giaccone si sentiva addirittura più agile… ma non poteva restare nascosto in un confessionale.

Si domandò per quanto sarebbe stato al sicuro. Era certo che qualche fedele l’avesse visto entrare.

Provò a concentrarsi, ragionando su cosa potesse essere successo: le sue conoscenze avevano permesso a Julia di chiedere aiuto ai gendarmi o, più semplicemente, aveva riferito di aver visto qualcosa di sospetto?

Nel dubbio si convinse di aver fatto bene a non rivolgersi alle guardie svizzere, fuori dalla basilica.

«Perdoni padre, perché ho peccato». Una voce femminile, con un accento del sud Italia, lo scosse dai suoi pensieri.

Cassini la fissò da oltre la grata metallica: vide una donnetta con i capelli candidi e il viso paonazzo, ansiosa di ottenere il perdono di Dio.

Si guardò intorno, all’interno di quell’angusto spazio. Un colpo di fortuna… finalmente: su un piccolo attaccapanni c’era una stola bianca ricamata e una cotta dello stesso colore con grandi croci dorate alle estremità. Dovevano essere gli abiti indossati dal sacerdote che l’aveva preceduto.

Il professore sorrise tra sé. Si infilò la cotta sopra il vestito e mise al collo la stola. Non si confessava da vent’anni e non era affatto sicuro di ciò che doveva fare. Provò a improvvisare.

 

Julia e uno degli agenti, nel frattempo, avevano raggiunto il transetto.

Un chierico con abito scuro e gli occhi azzurri era immobile dietro uno scranno, sul quale erano affisse una bandierina italiana e una tedesca. Accanto a lui c’era un cordone di velluto rosso che delimitava l’area dei confessionali disposti a semicerchio. Sulle panche sostavano alcuni fedeli in attesa di essere ammessi alla confessione.

«Lei vada verso le Grotte», ordinò la donna. «Io comincio da qui».

Si diresse al primo confessionale e spalancò la tenda: all’interno c’era un sacerdote rosso carota con gli occhi stretti in una fessura.

Julia gli diede un’occhiata fugace e passò senza indugiare ai successivi.

«Ehi!», la rimproverò uno dei preti quando se la trovò davanti.

 

Cassini, in abiti talari, abbassò il capo fingendo di grattarsi e andò verso la sagrestia attigua alla cattedrale. Era uscito dal confessionale pochi attimi prima che Julia piombasse nel transetto.

«Perdoni padre, perché ho peccato», gli aveva detto, poco prima, la vecchina inginocchiata di fronte a lui oltre la grata.

«Sorella, prima di confessarla le devo chiedere una cortesia», le aveva risposto, la voce impostata e un lieve tremolio.

Subito dopo era sgusciato fuori con un preistorico Nokia 3310 e una cotta da prete che si intonava alla perfezione con il suo abito scuro.

«Ehi!», aveva udito alle sue spalle, senza che nessuno però lo notasse e provasse a fermarlo.

Travestito da sacerdote, con la testa bassa, aveva attraversato indisturbato la navata centrale mescolandosi ai fedeli e poi era tornato verso l’uscita. Dopo una trentina di metri aveva voltato a destra e si era infilato in un lungo corridoio semibuio.

E adesso era lì, con il piccolo cellulare in mano e il numero di Sforza stampato indelebilmente in testa.

Lo compose e attese.

L’ispettore, questa volta, rispose al secondo squillo.

«Sono Cassini», balbettò lui. «Ho bisogno del suo aiuto!».

La chiave di Dante
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