Capitolo 66

 

 

 

 

 

Dubai, 5 gennaio. 11:14.

 

La stanza in cui aveva riaperto gli occhi era spaziosa, con le pareti rivestite di bambù e un’unica grande vetrata, che collegava il pavimento direttamente al soffitto. Fuori dalla finestra, alla sua sinistra, riusciva a scorgere solo un cielo giallognolo, senza nuvole.

L’arredo era lussuoso. Una grande credenza in legno nero lucido davanti al letto, un tavolo con gambe d’alluminio della stessa fattura e una vetrinetta di vetro lucente. C’erano poi una serie di manufatti che immaginò di arte africana: visi ornamentali alle pareti, scudi di pelle, sculture di legno, due lance geometriche nei pressi dell’ingresso.

Per essere una prigione era certamente atipica. Certo, non c’erano sbarre alle finestre e gli sembrava che anche la porta, per quanto massiccia, non fosse blindata. Ma in ogni caso non sarebbero servite particolari precauzioni, visto che non riusciva a muovere neppure un muscolo.

Indossava gli stessi pantaloni e la camicia bianca che aveva messo prima di andare ai Musei Vaticani. La giacca era sistemata ordinatamente ai piedi del letto.

«Come si sente il nostro ospite», chiese un uomo su una sedia a rotelle, entrato in quell’istante. Aveva parlato in un italiano perfetto, attraverso uno strano sintetizzatore vocale.

Cassini voltò lo sguardo per riuscire a inquadrarlo meglio: tunica bianca, carnagione olivastra, pelle grinzosa e occhi spenti. Poteva avere una sessantina d’anni. “Lo sceicco”, immaginò. «Dove sono?», si limitò a chiedere.

«Ha l’onore di essere nel grattacielo più alto del mondo, il Burj Khalifa. Appena avrà le forze per potersi alzare, potrà ammirare da quella finestra la maestosità del deserto».

Cassini fece ruotare le iridi verso la parete di vetro. «Perché sono qui?», domandò, con un tono più rassegnato che impaurito. Era in trappola e quasi certamente l’avrebbero ucciso. Che differenza poteva fare?

«Credevo le fosse chiaro il motivo per il quale è nostro ospite».

Nostro ospite.

«Purtroppo temo di doverla deludere».

«Vede, il nostro cervello è una macchina incredibile. A volte, ciò che crediamo di non sapere è invece nascosto da qualche parte nel labirinto dei nostri neuroni. È per questo che si dice “pensaci bene”…». Al Husayn lo fissò con uno sguardo ricco di comprensione. «Comunque la capisco, sa? Dopo tutto quello che le hanno fatto, è normale che si senta un po’ scombussolato. Sia certo, però, che tutte le informazioni che le servono sono già nel suo cervello, deve solo saperle trovare».

Cassini non rispose. Ancora con quella follia. “La risposta è già dentro di te”.

«Mi creda, so come ci si sente dopo un impianto», proseguì l’arabo. «La mia società ha inventato la tecnologia che lo consente. È perfettamente normale. Lasci che le mostri una cosa…».

Al Husayn spostò la sua sedia in maniera che Cassini riuscisse a vedere lo schermo IPS sistemato davanti ai suoi occhi. Sul display comparve una schermata con un tracciato simile a quello dell’elettrocardiogramma. La linea frastagliata era verde, ma in alcuni punti il colore era differente: ce n’era una parte rossa, una arancione e una viola.

«Quella che vede è una specie di rappresentazione grafica del suo cervello. Le zone colorate si chiamano marker: sono i settori della corteccia cerebrale su cui il nostro dispositivo ha insistito».

«Sono i ricordi impiantati?», domandò Cassini incredulo.

«Possiamo definirli così. Sì. Ciò che abbiamo fatto è stato inserire una serie di informazioni nella sua memoria a lungo termine. Informazioni che con le conoscenze che già risiedevano nella sua mente avrebbero dovuto fornire qualche risposta al nostro esperimento».

Esperimento?

«Continuo a non capire! Di che esperimento parla?».

Al Husayn azionò la carrozzina e si spostò di nuovo. In silenzio si diresse verso la finestra e osservò fuori. Evidentemente stava riflettendo su ciò che poteva dire a Cassini.

«Va bene. È giusto», gracchiò il sintetizzatore, non appena lo sceicco si fu deciso. «Cerchiamo di darle qualche stimolo in più per elaborare le informazioni. E poi, se vogliamo partire con il piede giusto, è opportuno che lei sappia. Cosa conosce dei Cavalieri Ospitalieri, o meglio dei Cavalieri di Malta?».

Cassini sorrise. «Molto poco, so che è un ordine cavalleresco che ha a che fare con la chiesa. Ma non vedo come possa avere a che fare con me!».

«Professore, io, come lei, sono soltanto la pedina di una partita molto più grande di tutti noi…». Al Husayn voltò di scatto la sua sedia. La luce del sole, dietro di lui, disegnava una lunga ombra sul suo mento scavato. «Nel 1312, quando Papa Clemente V sciolse l’ordine dei templari, tutti i loro possedimenti furono trasferiti agli Ospitalieri. Si trattava di grandi ricchezze materiali, di castelli, di denaro… ma anche di qualcos’altro».

Cassini chiuse gli occhi. Se quell’uomo pensava che raccontargli storie vecchie di settecento anni lo aiutasse a capirci qualcosa, era completamente fuori strada.

«Ha sentito parlare delle leggende sui segreti dei templari?»

«Ce ne sono migliaia…».

«Ha ragione. Molte sono solo fantasia, ma altre si fondano su fatti storici. In tutte però c’è un denominatore comune: i templari detenevano grandi segreti, grande sapienza e, in alcuni casi, importanti reliquie rinvenute durante le crociate».

«Quello che mi sta raccontando è molto interessante», lo schernì Cassini, immobile sul letto e con gli occhi serrati. «Ma non vedo cosa c’entrano le opere d’arte di Botticelli, Raffaello e Leonardo. Perché mi avete inculcato a forza dei ricordi altrui nella mente?»

«Deve avere un attimo di pazienza. Risponderò alla sua domanda… che è la ragione per la quale si trova qui. Ma mi deve permettere di finire».

Cassini non disse nulla e lo sceicco proseguì.

«Come le dicevo, alcune teorie hanno fondamenti storici. Quella che sto per raccontarle la appresi molti anni fa, quando io stesso facevo parte dei Cavalieri di Malta».

Il professore non lo interruppe, ma udendo quelle parole immaginò che lo sceicco avesse cominciato a vaneggiare: un musulmano tra i Cavalieri di Malta?

«Esistono numerosi documenti storici ereditati dagli Ospitalieri e appartenuti ai templari. Uno di questi, chiamato Sex dierum iter, è custodito a Venezia e risale alla fine del 1217. È il resoconto di una spedizione di ottanta Cavalieri in Islanda, durante l’audizione dell’Althing, il parlamento dell’isola. Non viene menzionato lo scopo della sortita, perché purtroppo il documento è incompleto. Nessuno lo aveva studiato finché un archeologo finlandese, un certo Joonas Eklöf, non lo trovò in un archivio alcuni anni fa».

Mohamed fece comparire sul suo schermo l’immagine di una pergamena. Il professore riusciva a leggere solo il titolo: Ab ora Britannica sex dierum iter Sei giorni di mare dall’Inghilterra.

«Questo documento è stato custodito per secoli tra le carte sottratte ai templari. Se non fosse stato per Eklöf, che conosceva anche le Saghe nordiche, probabilmente quella pergamena sarebbe rimasta sepolta nella polvere per altri settecento anni. Invece lui aveva studiato i poemi di Snorri Sturluson, il più importante poeta islandese, una specie di Dante Alighieri vichingo, e quelli di altri poeti dello stesso periodo. In una di queste saghe è narrata la stessa notizia raccontata dal Sex dierum iter: una spedizione di ottanta “cavalieri provenienti da sud” durante l’audizione dell’Althing». Lo sceicco si fermò di colpo, quasi per dar modo a Cassini di elaborare quelle informazioni.

E la pausa ebbe l’effetto sperato. Un’improvvisa scossa di adrenalina fece sussultare il professore.

«Questi sono i fatti…», continuò l’arabo. «E se non fossi stato un Ospitaliere, probabilmente non ne avrei mai saputo nulla».

Sentendo parlare di Islanda, Cassini si era scosso e aveva spalancato gli occhi. Inaspettatamente associò i triangoli scoperti a Roma e ricordò le parole di Julia sullo scavo condotto nell’estate precedente.

«14 marzo 1319», sbottò il professore. «È la data nascosta nelle allegorie delle Primavera di Botticelli… vi ha fornito delle coordinate in Islanda… coordinate per cosa?»

«Bene. Molto bene». Lo sceicco lo fissò dritto negli occhi e si avvicinò al letto. «Vedo che comincia a capire… Come sa, la ricchezza e il potere accumulato dai templari spinsero il papa e il re di Francia a sopprimere l’Ordine. Tutti i cavalieri sul suolo francese furono arrestati e il loro Gran Maestro, Jacques de Molay, venne arso sul rogo».

«Ma questo successe cento anni dopo il viaggio di cui mi ha parlato», notò Cassini.

«È vero… ma la congiura contro di loro era in atto da molto tempo… senza contare che le reliquie rinvenute durante le Crociate avevano bisogno di un nascondiglio fuori dalla portata di tutti».

«Sta dicendo che cento anni prima della loro soppressione i templari nascosero qualcosa in Islanda?»

«Non necessariamente per sottrarlo ai loro detrattori… Non dimentichi che in quel periodo erano ancora un Ordine con grande potere e immense ricchezze… Forse nascosero qualcosa in Islanda per tenerlo al sicuro… forse a causa della sua grande importanza».

«Continuo a non capire cosa c’entri io…». Cassini sospirò appena.

«Poco fa ha parlato, giustamente, di Botticelli, Raffaello e Leonardo… Se fosse stato uno dei templari sopravvissuti e avesse voluto trasmettere un importante segreto, cosa avrebbe fatto?»

«Avrei chiesto a tre pittori di inserire degli indizi nelle loro opere?». Cassini aveva un evidente tono di scherno.

«Ci rifletta. Non è una follia ciò che ha detto: era un periodo oscuro, in cui il sapere era tramandato da libri trascritti da sapienti amanuensi. Libri delicati, che potevano essere rubati, incendiati, distrutti… o più semplicemente dimenticati. Qualcuno dovette pensare che il modo migliore per tramandare un’informazione molto importante fosse inserirla in un capolavoro che sarebbe vissuto in eterno. E cosa c’era di meglio di un dipinto su tela o addirittura sul muro di pietra di una chiesa?».

Il professore non rispose. In effetti, pensandoci bene, quanto diceva lo sceicco era ragionevole… se davvero i templari sopravvissuti avessero voluto tramandare il segreto dell’Islanda avrebbero potuto farlo con opere destinate a durare in eterno. «Assumendo, per assurdo, che lei abbia ragione: i pittori che ha citato però sono del Cinquecento… e la spedizione in Islanda è del Duecento… ci sono trecento anni in mezzo!».

«Nessuno dice che quelle opere siano le uniche a conservare il segreto… Evidentemente siamo noi che non abbiamo trovato gli artisti dei periodi precedenti».

«E perché Leonardo e compagni avrebbero dovuto farlo? Perché inserire indizi nelle loro opere?»

«Forse perché facevano parte dell’Ordine, forse perché condividevano l’importanza del segreto o forse, più semplicemente, per denaro… chi può saperlo».

«E Dante?», continuò ancora Cassini, che nonostante si sforzasse di restare calmo cominciava a dare un minimo di credito alle parole dello sceicco. Era possibile che il denominatore comune tra Botticelli e l’autore della Divina Commedia fosse la spedizione raccontata dallo sceicco? Una spedizione che aveva nascosto in Islanda uno dei segreti dei templari?

«Credo che ormai il rapporto tra la il sommo poeta e i quadri le dovrebbe essere chiaro. Le opere del Cinquecento contengono un messaggio in codice… E la chiave per decodificarlo è proprio Dante».

«Non capisco».

«Possiamo dire che i quadri del Cinquecento sono la serratura e i versi della Divina Commedia sono la chiave per aprirla! Conoscerà di certo la teoria secondo la quale il poeta sarebbe il “mercurio” della Primavera di Botticelli. E che il libro letto da Epicuro nella Scuola di Atene di Raffaello sarebbe proprio la Commedia. O ancora, che Dante potrebbe essere il soggetto raffigurato nella Gioconda».

«Tutte teorie…», bofonchiò Cassini.

«Tutte teorie che, in un modo o nell’altro, ci spingono a indagare su Dante e sulla chiave che ci ha lasciato con la sua opera. È lei l’autore del Segreto dei pittori maledetti; è sua l’idea che il Paradiso esista veramente. Come ha scritto? “Se la ‘selva oscura’, il punto di partenza del viaggio può essere identificata nel valle di Giosafat, vicino a Gerusalemme, ciò può valere anche per il punto d’arrivo: quell’anfiteatro che il poeta chiama candida rosa dei beati, in cui risiedono le anime del Paradiso. Se è così, il Giardino dell’Eden potrebbe esistere realmente, da qualche parte…”».

Erano esattamente le sue parole, scritte cinque anni prima. Quell’uomo doveva essere stato talmente condizionato dalle sue teorie da averle imparate a memoria.

«Il punto d’arrivo di Dante, in cui è custodito il segreto dei templari, è in Islanda. Il Giardino dell’Eden è l’Islanda», ripeté lo sceicco. Sul display della sua sedia comparve un’immagine satellitare: mostrava il corso di due fiumi che componeva uno strano disegno e una lettera X lampeggiante. Accanto c’erano alcuni numeri: 64° 27’ 11”.

64° 27’ 11”.

Cassini ipotizzò si trattasse delle coordinate in cui avevano condotto lo scavo archeologico di cui gli aveva parlato Julia. Intorno alla X, per un diametro che il professore stimò potesse essere di alcuni chilometri, la zona era segnata da un colore differente.

«Nel Duecento l’isola era ricoperta di piante, alti fusti e betulle. Era un paradiso terrestre», proseguì l’arabo. «Poi la vegetazione è andata distrutta a causa della piccola era glaciale, tra il XIV e il XIX secolo. Non trova anche lei una somiglianza con lo sfondo della Primavera di Botticelli? Un altro piccolo indizio, se vuole…».

«Capisco dove intende arrivare. Però ha dimenticato un dettaglio importante… “Un cinquecento diece e cinque, messo di Dio, anciderà la fuia con quel gigante che con lei delinque”». Manuel spostò lo sguardo dal monitor agli occhi spenti dello sceicco. «Ammetto che l’idea di collocare il Giardino dell’Eden in Islanda è affascinante… ma il Poeta ci dice che lì avrebbe trovato un condottiero, inviato da Dio per ricondurre la chiesa alla sua dimensione spirituale… Mi spiace ma temo che non si parli di tesori nella Commedia».

«È l’esatto opposto. L’enigma, che lei ha appena magistralmente recitato, significa l’esatto contrario! Cinquecento dieci cinque, sta a indicare un luogo, non un condottiero; Cinquecento, dieci, cinque: cioè cinquecentoquindici avanti Cristo, l’anno di ricostruzione del Secondo Tempio di Salomone. Quella terzina sta a indicare che al termine del viaggio, giunti in Paradiso, nella candida rosa, si troverà un tempio in cui sono custoditi quattro oggetti! Qualcosa di così potente e prezioso che sarà necessario nasconderlo agli uomini per mille anni e non più mille… Fino all’arrivo di un predestinato, degno di tale potere».

Cassini sembrò dubbioso, ma non replicò.

«…Questi oggetti sarebbero in grado di oscurare il sole e di far cadere le stelle, di scatenare una furia tale da non essere neppure compresa. Sono parole di Dante, non mie, e nascondono il segreto dei templari, ciò che è sepolto nel tempio, da qualche parte in Islanda».

In effetti, si trovò a riflettere il professore, il significato del cosiddetto enigma del canto XXXIII del Purgatorio era tutt’altro che chiaro… La profezia dei “mille e non più mille” era stata ampiamente dibattuta e non esisteva una tesi univoca… anche se quella dello sceicco non l’aveva mai sentita. Si domandò se il cinquecento diece e cinque potesse riferirsi realmente alla ricostruzione del Secondo Tempio a opera di Zorobabele; e i quattro oggetti nominati da Al Husayn?

«Credo di aver capito cosa voleva da me», mormorò infine fra i denti. «Sperava che introducendomi a forza nel cervello nozioni d’arte su Botticelli, Leonardo e Raffaello… la mia conoscenza sulla Commedia le avrebbe permesso di decifrare tutti gli indizi di Dante…».

«La chiave di Dante…», mormorò l’arabo. «Ci ha messo un po’ ma ci è arrivato. Anche se non è tutto».

«Be’… È una follia bella e buona. Non esiste nessuna chiave di Dante», ringhiò il professore, a quel punto visibilmente stizzito. «E temo comunque di doverla deludere! Nella mia mente non c’è nulla che le possa servire… Ho paura che abbiate sbagliato i vostri calcoli».

La porta della stanza si aprì e la figura tondeggiante di Yukiko Nakamichi fece il suo ingresso. Attraverso i suoi occhialoni neri si limitò a fissare lo sceicco.

Dietro di lei c’era un’altra persona, un giovane dai capelli rossi. Fu lui a parlare. «Siamo pronti. Possiamo iniziare».

Le parole di Cassini, nel frattempo, erano ancora sospese nell’aria.

Ho paura che abbiate sbagliato i vostri calcoli.

Lo sceicco restò per un istante in silenzio, poi il suo sintetizzatore vocale freddò il professore. «Temo che sia lei a sbagliare… e tra poco se ne renderà conto».

La chiave di Dante
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