Capitolo 83

 

 

 

 

 

Città del Vaticano, 5 febbraio. 20:55.

 

Quel pomeriggio, molte telefonate si erano incrociate tra l’Islanda, Venezia e il Vaticano.

L’ultimo a essere stato contattato, in ordine di tempo, fu un cardinale che occupava un ufficio al secondo piano del Palazzo Apostolico.

Poco dopo aver consumato la cena a base di pesce, era tornato nel suo ufficio e adesso era affacciato alla grande finestra coperta da pesanti tende di velluto rosso.

Con la mano giocherellava con il cellulare e teneva gli occhi fissi sull’obelisco illuminato di piazza San Pietro. Nonostante il clima fosse gelido e un vento insistente battesse Roma da alcuni giorni, anche a quell’ora c’erano fedeli. Alcuni erano fermi ad ammirare il colonnato del Bernini, altri erano nei pressi della fontana e altri ancora sembravano diretti verso l’ingresso della basilica.

Si domandò cosa avrebbero fatto quelle stesse persone se fossero state a conoscenza di ciò che sapeva lui.

Si rendeva conto di avere una grande responsabilità: era certo che le informazioni non fossero complete e, personalmente, era anche convinto che a Venezia si stessero preoccupando troppo. Tuttavia, non poteva e non doveva correre rischi. Se loro avessero avuto ragione, dalla decisione che stava per prendere poteva dipendere il destino della Chiesa stessa.

Richiuse la tenda e tornò nel suo studio, illuminato solo da una lampada da tavolo e dallo schermo del computer acceso.

La situazione era grave, eppure, pensando a quella bizzarra spedizione in Islanda gli veniva da sorridere. Poveri sciocchi: erano andati fino al circolo polare artico per cercare il Sacro Graal… Non potevano immaginare che, se sotto quelle nevi fosse stato davvero sepolto qualcosa, non avesse comunque nulla a che fare con il calice di Cristo.

Eppure il problema era attuale: se davvero avessero portato alla luce i papiri che immaginava, le conseguenze sarebbero state terribili. Qualcuno le avrebbe definite apocalittiche.

Guardò il cellulare per un’ultima volta e poi decise. Compose il numero e attese.

«Sì», sospirò cupo. «Ormai si sono spinti troppo oltre. A questo punto non abbiamo altra scelta, non possiamo più stare a guardare».

L’interlocutore del cardinale parlò per alcuni secondi senza essere interrotto.

Mentre ascoltava, il religioso si sedette sulla poltrona e mosse il mouse. Sul display comparve la fotografia di una pergamena scritta in greco con lettere onciali: era il Codex Vaticanu, risaliva al IV secolo ed era uno dei più antichi manoscritti della Bibbia. Nonostante non fosse il testo considerato canonico da Roma, con il quale presentava oltre duemila varianti, era utilizzato come opera riferimento dalla chiesa greco-ortodossa. All’interno di quelle pagine erano ancora perfettamente comprensibili alcuni passaggi in cui venivano citati undici libri Biblici – i cosiddetti libri dei Veggenti – che ufficialmente non esistevano. Si diceva che fossero stati occultati dai Masoreti perché contenevano un il messaggio dirompente che avrebbe potuto minare la Chiesa nelle sue stesse fondamenta. Nel corso dei secoli, le varie traduzioni della Bibbia canonica di Roma avevano fatto in modo di sfumare i rimandi a quei testi. Ma cosa sarebbe accaduto se i libri perduti fossero stati rinvenuti?

«Va bene», concluse il cardinale con un sospiro. «Facciamo in modo che la questione sia gestita direttamente dal nostro uomo… E se davvero li troverà, li faccia portare qui, immediatamente!».

La chiave di Dante
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