Capitolo 71
Dubai, 5 gennaio. 17:40.
Ibrahim Al Husayn occupava il suo solito tavolo all’Armani/Lounge, settanta piani sotto l’appartamento del padre.
Era davanti a una flûte di Krug e sorrideva, felice come non gli accadeva da molto tempo.
Quando Edward arrivò, jeans strappati, polo gialla e scarpe dello stesso colore, il principe gli si fece incontro, stringendogli la mano con energia.
«Qui sono un po’ rigidi sul consumo di alcolici, quindi ho prenotato il locale interamente per noi», esordì a mezza voce, indicando le poltrone vuote accanto a loro. «Come le avevo anticipato al telefono ho importanti novità. Dobbiamo festeggiare. Cosa beve?».
L’australiano, che era da poco tornato da Londra, fissò il calice del suo ospite e rimase immobile per un secondo. «Quello che ha preso lei».
«Glielo faccio portare». Non aveva ancora deciso se poteva fidarsi di lui, ma quello era il momento della verità. L’accordo che avevano stipulato era molto semplice: Edward si sarebbe occupato di far ammazzare suo zio Bashar e, alla morte di suo padre – che ormai, per fortuna, era imminente – lui sarebbe stato l’erede al trono. Semplice come bere un bicchier d’acqua, almeno era quello che pensava: non si sarebbe sparato un solo colpo e si sarebbe evitata una guerra civile dalle sorti imprevedibili.
Inizialmente aveva pensato di attingere al suo ricco fondo fiduciario in Lussemburgo per finanziare la società che si sarebbe occupata dei dettagli. Poi Edward gli aveva proposto un’alternativa.
«Se non sono troppo indiscreto, vorrei farle una domanda sulle ricerche di suo padre…», tutto era iniziato con quella semplice frase. Era venuto fuori che uno dei clienti dell’australiano, una multinazionale giapponese, voleva il dispositivo per il Brain Control che Mohamed bin Saif stava testando. Così Edward, che faceva da intermediario anche per quella società, gli aveva proposto una sorta di baratto: il dispositivo, in cambio del trono.
Lui si sarebbe occupato di tutto: di consegnare l’oggetto ai giapponesi, di incassare il denaro e di girarlo agli stessi incaricati di ordire il colpo di stato ai danni dello zio. Ovviamente avrebbe trattenuto la differenza per sé, ma quel dettaglio non preoccupava per nulla Ibrahim, che anzi aveva ritenuto l’affare molto vantaggioso.
I giocattoli tecnologici di suo padre non l’avevano mai interessato e anzi li aveva sempre giudicati una perdita di tempo e denaro. Inoltre, la società che deteneva i brevetti era formalmente intestata a lui e la cosa diventava ancora più semplice: una firma su un contratto e il gioco era fatto, senza spendere neppure un centesimo.
Così, dopo aver raccontato a Edward ciò che sapeva degli esperimenti, Ibrahim l’aveva indirizzato a Firenze, dal soprintendente della Galleria degli Uffizi.
L’importante, aveva chiarito il principe, era che il padre non venisse mai a conoscenza dell’affare. Si era così deciso di simulare un furto o una rapina: il giocattolo sarebbe stato messo in commercio dai giapponesi mesi dopo, se non anni. C’era tutto il tempo affinché la biologia facesse il suo corso e il suo odiato genitore salisse serenamente in Paradiso.
«Non voglio aver nulla a che fare con questa faccenda», aveva chiarito con enfasi, già assaporando la fase successiva del suo piano. «Prenda il dispositivo, che adesso le appartiene, e poi si dedichi alle cose importanti, le mie. Questo è solo un dettaglio, un gioco da ragazzi».
Il seguito si era però rivelato più complicato di quanto avevano programmato. Edward aveva incaricato la Qualcon Services di recuperare l’apparato, ma Tanaka si era scontrato con una serie di imprevisti che, tra l’altro, avevano causato la morte di Meredith. Il gioco da ragazzi si era trasformato in una guerriglia urbana.
E adesso, dopo due settimane, Ibrahim ed Edward erano nuovamente l’uno di fronte all’altro.
«Il dispositivo è tornato a Dubai!», sussurrò il principe, fissando negli occhi l’australiano, visibilmente affaticato per il secondo viaggio negli Emirati Arabi in due giorni.
«Questa è un’ottima notizia». L’australiano, nel frattempo, ripensò al potere di veto dello sceicco sulle decisioni del figlio e alle ultime disposizioni date a Tanaka. “Appena il padre muore”.
«Hanno effettuato l’ultimo esperimento… senza successo, mi pare di aver capito».
«E suo padre come sta?».
Il principe sorrise, sistemandosi la shemagh. «È un passo più vicino alla tomba».
«Allora… adesso ha accesso al dispositivo? Ha modo di prenderlo?»
«Se metterà la parola fine a questa follia, sì. Appena possibile troverò il modo, evitando che mio padre si insospettisca».
Edward non fu contento di quella risposta, ma fece di tutto per nasconderlo. Era preoccupato per i tempi, che si stavano allungando troppo. Temeva che lo zio del principe, il potente Bashar Al Husayn, scoprisse le intenzioni del nipote… e soprattutto accostasse il suo nome a quel piano folle.
Naturalmente non c’era in programma nessun colpo di stato, ma questo lo zio non poteva saperlo, così come non sapeva nulla neppure il principe.
“Appena possibile non è abbastanza presto!”, pensò fissando il mare scuro oltre la vetrata.
Poi si domandò come avrebbe reagito Ibrahim Al Husayn scoperta la verità. Si chiese se non sarebbe stato meglio eliminarlo dopo la consegna.