Capitolo 61
Londra, 4 gennaio. 18:55.
La sede della Qualcon Services di Hidetoshi Tanaka si trovava in un palazzo storico di arenaria grigia, nella parte est della città.
Si affacciava direttamente su Threadneedle Street, a metà strada tra la zona nevralgica della city e la “old lady”, la prima sede della banca d’Inghilterra. Era in un quartiere elegante, in cui gli edifici di pregio della Londra classica si alternavano a grattacieli moderni cresciuti come funghi nell’ultimo ventennio.
Tanaka aveva acquistato l’edificio, che fungeva da biglietto da visita della sua società, alla fine del 2008. L’intera operazione gli era costata poco meno di quattro milioni di sterline. Un ottimo affare, visto che in quella zona, solo cinque anni dopo, il prezzo delle abitazioni si era rivalutato di oltre il trenta percento.
Accanto al portone di cristallo del palazzo, lungo la strada, un’anonima targa d’ottone indicava:
Qualcon Services
Studio di consulenza
Primo piano
La scritta era del tutto generica. Da nessuna parte era indicato quale fosse l’oggetto delle consulenze rilasciate. In nessun documento veniva inoltre specificato che i dipendenti erano per lo più mercenari o paramilitari provenienti dai quattro angoli della terra.
Ma non era importante.
Chi aveva bisogno di lui e dei suoi servizi sapeva perfettamente come rintracciarlo… esattamente ciò che aveva fatto Edward nel mese di dicembre: c’era un piccolo oggetto da recuperare e la Qualcon Services, precisa e affidabile, sembrava la scelta migliore.
Eppure, quella che sembrava un’operazione banale – almeno per chi era in grado di ordire colpi di Stato e rovesciare monarchie – si era rivelata più difficile del previsto.
Esistevano in tutto due prototipi, aveva spiegato a Edward il principe Ibrahim Al Husayn. Il primo, che monsignor Claude de Beaumont aveva tenuto con sé, era andato distrutto in Vaticano e finito nelle mani dall’Interpol. Il secondo, invece, ce l’aveva la moglie dello sceicco e l’aveva portato prima a Firenze e poi a Parigi.
E Tanaka era riuscito a farselo scappare entrambe le volte, lasciando dietro di sé anche una scia di cadaveri.
Precisi e affidabili.
Non quella volta.
Edward chiuse l’ombrello e si infilò nell’ascensore di specchi.
Quando le porte si riaprirono, il giapponese era immobile nell’androne ad attenderlo, lo sguardo duro e le braccia dritte lungo i fianchi.
“Doveva essere un gioco da ragazzi. Cazzo!”, pensò appena il sorriso ebete dell’australiano gli si materializzò davanti. «Benvenuto», mugugnò invece. «Hai fatto buon viaggio?».
Edward annuì più volte. «E così ti è scappato», lo sferzò uscendo dall’ascensore.
Il giapponese si irrigidì ma non cedette alla provocazione. Il suo viso era impassibile.
«Il tempo comincia a stringere. La società che mi ha ingaggiato per prelevare quel dispositivo, che paga le mie fatture e quindi anche le tue, si aspetta risultati», tuonò ancora Edward.
Lentamente attraversarono un ampio salone, impreziosito da arredi vittoriani. I soffitti, alti almeno quattro metri, erano adornati con stucchi veneziani di ottima fattura. Accanto all’ascensore campeggiava un pianoforte a coda Schimmel, uno dei pochi ricordi da musicista di Tanaka. Sopra c’erano alcune fotografie che lo ritraevano da giovane, durante un concerto.
«I miei si stanno attivando. Abbiamo una pista», mentì infine il giapponese, appena raggiunto il suo ufficio. Edward si sedette sulla punta della sedia di fronte alla scrivania di vetro. La pioggia scrosciava violenta come se su Londra si stesse abbattendo un nubifragio.
«Sono preoccupato», confessò Edward, con un’espressione imperscrutabile. «Ho paura che il principe si spazientisca. Lui ha quella strana idea di rovesciare il governo dello zio. Non vorrei che qualcuno lo venisse a sapere».
Il padrone di casa sorrise. «Bashar Al Husayn è un ottimo cliente anche per noi…».
«Appunto», confermò l’australiano con tono asciutto. «Allora chiudiamo questa storia il prima possibile. Questa è la ragione per cui sono venuto: Ibrahim non è stato del tutto onesto. Pur avendo firmato un contratto, ha dimenticato di rivelarci un dettaglio: il padre lo considera un idiota e ha tenuto per sé un diritto di veto sulle sue decisioni».
«Questo significa che…?»
«Significa che, pur avendo acquisito i diritti sui brevetti, lo sceicco può bloccarne la vendita quando vuole».
L’orientale rimase interdetto: era convinto che sotto il profilo legale la questione fosse già stata risolta. E invece non era così.
«Ovviamente, appena lo sceicco muore, non ci sarà più nessun impedimento», concluse Edward.
Appena muore.
«Capisco…». Tanaka annuì.
«Te ne puoi occupare? O riuscirai a complicare anche questo?».
Il giapponese non era abituato a essere trattato così dai suoi clienti, ma in quel caso l’uomo che aveva di fronte aveva ragione.
«Ok. Ho solo bisogno di qualche giorno».