Capitolo 38

Aeroporto Charles de Gaulle, 2 gennaio. 18:02.

Quando Aurore Bousquet entrò nello sky box dell’aeroporto con il suo computer portatile sotto il braccio, era incerta. Non sapeva chi l’aveva ingaggiata e non sapeva esattamente per cosa. L’unica informazione sicura era l’acconto di centocinquantamila euro, già accreditato sul suo conto corrente delle isole Cayman.

Era una donna di cinquant’anni, con grandi occhiali da vista, un’aria mite e un aspetto anonimo. Le apparenze, però, mascheravano alla perfezione ciò che era realmente: un’ex collaboratrice esterna dei servizi segreti francesi che si era messa in proprio.

Aurore gestiva una società privata di intelligence che annoverava, tra i suoi clienti, multinazionali del calibro di Renault, France Télécom e Louis Vuitton. Recentemente era stata interrogata da alcuni magistrati per uno scandalo relativo a intercettazioni telefoniche abusive. Ne era uscita pulita, ma uno dei suoi più stretti collaboratori era stato arrestato. L’accusa sospettava che avesse violato alcuni sistemi informatrici su incarico proprio dei clienti con la quale la Bousquet lavorava.

La donna si sedette al tavolo riunioni dello sky box, una sala privata al secondo piano dell’aeroporto. Un’imponente vetrata si affacciava direttamente sulla pista e da lì poté osservare il decollo di un mastodontico Airbus A380: era come vedere un elefante che cercava di librarsi in volo con un salto. Non fece in tempo ad accomodarsi che la porta di cristallo si aprì. Comparve una donna bionda, giovane, che portava con sé un piccolo trolley. A giudicare dal viso affaticato doveva aver fatto un lungo viaggio.

«Grazie per essere venuta con così poco preavviso», esordì in un francese grammaticalmente corretto ma che lasciava intuire un accento mediorientale. Poi fece per sedersi e le tese la mano. «Mi chiamo Julia Duskrjadcˇenko. Piacere».

Aurore Bousquet sorrise e le strinse la mano. «Di cosa ha bisogno esattamente?».

Julia estrasse un fascicolo con una fotografia e alcuni fogli. «Si chiama Manuel Cassini», disse mostrandoli ad Aurore.

La Bousquet osservò con calma la fotografia. Poi esaminò i fogli, a uno a uno.

«Deve rintracciarlo. Con estrema urgenza», continuò.

«Il tempo non è un bene di cui disponiamo in abbondanza». Le parole di Al Husayn continuavano a perseguitarla. «Ho i giorni contati, sento che il mio momento sta arrivando… Dobbiamo portare a termine la missione prima che sia troppo tardi».

Julia aveva giurato a se stessa che ci sarebbe riuscita. Dopotutto quella missione era la più importante che le fosse mai stata affidata. Ci sarebbe riuscita: lo avrebbe fatto per vendicare Meredith, ma soprattutto per lo sceicco, al quale doveva la vita.

«Il mio contatto mi ha riferito che il soggetto non è rientrato in albergo. Pensavate di rintracciarlo attraverso la triangolazione del segnale del cellulare?», mormorò Aurore.

«Ci siamo rivolti a lei proprio per questo motivo. Sappiamo che per lei non dovrebbe essere difficile».

La donna annuì. In effetti lo aveva già fatto in passato e a France Télécom aveva ancora molti contatti.

«Allora lo rintracci. Il numero da triangolare è nel fascicolo», ingiunse Julia, fissandola con sguardo deciso. «C’è un’altra cosa».

La donna si assestò sulla poltrona e sostenne lo sguardo della giovane. «Mi dica».

«Faccia attenzione: potrebbe non essere la sola a cercarlo».