Capitolo 82
Campo base, 5 febbraio. 17:41.
«Ne è sicuro?». Gli occhi di Joonas Eklöf erano ridotti a una fessura, il volto livido.
Era nel camper di Kjell Lagerbäck, il geologo, insieme a Cassini e Julia. Sistemati a semicerchio attorno al tavolo, i loro sguardi stupiti erano illuminati dalla luce verdastra del display del computer. C’era odore di chiuso e un’aria fredda e rarefatta.
«Riesce a vedere questi picchi?», esordì l’uomo, sfiorando con una penna lo schermo. «Potrebbero significare che sotto l’aquila c’è un grande spazio vuoto».
«Potrebbero?», si informo Manuel Cassini.
«L’esame non è completo», si giustificò Lagerbäck, giocherellando con l’asticella degli occhiali. «Si potrebbe trattare di un falso positivo… Tuttavia…». Quell’ultima parola fu accompagnata da un sorriso appena accennato.
«Tuttavia?», lo incitò Eklöf, che a differenza di Cassini aveva già compreso l’importanza di quella scoperta.
«In estrema sintesi, il georadar esegue una specie di ecografia del terreno. Ogni qualvolta le onde elettromagnetiche emesse dall’antenna trovano qualcosa di anomalo nel sottosuolo, il segnale viene riflesso verso l’alto».
«E in questo caso secondo lei l’anomalia sarebbe uno spazio vuoto, una sorta di camera?», chiese ancora Cassini. «È naturale o artificiale?»
«Per ora non posso dirlo con precisione. Il terreno in Islanda è molto particolare, direi assolutamente unico», chiarì Lagerbäck, tornando a indicare i picchi rilevati dal georadar sullo schermo. «Come sapete ci troviamo al nord della dorsale medioatlantica, tra la placca euroasiatica e quella nordamericana. Le due placche si allontanano ogni anno e questo provoca la risalita di lave basaltiche e formazione di nuovo fondale oceanico. La conseguenza è che il terreno sull’isola spesso presenta fenditure o cavità sotterranee naturali».
«Che dimensioni ha questa camera?», tagliò corto Eklöf.
«I dati non sono precisi. Ha però una forma relativamente regolare, quasi un quadrato di quattro metri per quattro».
Udite quelle parole, Cassini si convinse una volta per tutte di avere ragione: quelle dimensioni facevano pensare a una stanza artificiale sotterranea… la stanza di un tempio forse, il luogo ideale per seppellire il tesoro dei templari.
«Come vi ho detto, ci sono ancora molti dati da esaminare», si schermì il geologo. «Non è infrequente che letture di questo tipo si rivelino errate. Il riverbero delle onde elettromagnetiche…».
«Dove si trova esattamente?», insistette il finlandese.
Il geologo dischiuse le labbra, orgoglioso come se gli fosse stata appuntata sul petto una medaglia. «Questa è la parte più interessante. Come avete visto, la conformazione dell’anfiteatro è più o meno circolare e la roccia che assomiglia all’aquila è posizionata nella parte sud. La camera si trova a circa due metri dal costone dell’anfiteatro, e si estende per altri due verso nord. In parole povere, il punto in cui il terreno si abbassa taglia esattamente in due la fenditura».
«A che profondità è?»
«Non posso dirlo con esattezza finché a che non avrò esaminato tutti i tracciati. Ma ipotizzerei cinque o sei metri dal piano del terreno. Due, tre in meno se il riferimento è la parte bassa dell’anfiteatro».
«Lei cosa pensa?», lo spronò Eklöf, con uno sguardo truce.
Lagerbäck si infilò gli occhiali sottili e questa volta sorrise di gusto. «Se dovessi fare una scommessa, direi che abbiamo trovato il nostro tesoro».