Capitolo 19
Parigi, 31 dicembre. 18:36.
Giorno precedente alla visita di Cassini al Louvre.
«Mi offri da bere?». La donna appoggiò la mano sul tavolo, sfiorando quella di Manuel Cassini, seduto al bancone del bar Hemingway.
Il professore alzò lo sguardo e la fissò di sottecchi. Non era tipo da rimorchiare le ragazze nei bar e in un primo momento pensò si trattasse di una prostituita. Le sorrise e richiamò l’attenzione del barman con un gesto della mano. «Cosa bevi?».
La ragazza si appollaiò sullo sgabello e accavallò le gambe. Per qualche secondo rimase in silenzio.
Aveva capelli bruni e lucenti, occhi grandi sapientemente contornati di mascara e un fisico da mozzare il fiato. Indossava un tubino aderente e dei sandali Jimmy Choo dal tacco 12.
Non che lui si intendesse di scarpe da donna, ma un paio di sandali da mille euro, molto simili a quelli che aveva comprato Clarissa poco prima che se ne andasse, non passavano certo inosservati.
«Un margarita», ridacchiò lei, passandosi la lingua sulle labbra. «Dopotutto è festa, no?».
Prostituta o no sembrava a suo agio negli abiti della femme fatale.
Il barman preparò il cocktail davanti ai due: tequila, lime fresco e una fettina di limone sul bordo del bicchiere. Poi lo appoggiò su un sottobicchiere e lo sistemò davanti alla donna.
La ragazza sorrise e portò il calice alla bocca. «Qualcuno dice di aver bevuto margarita già negli anni Trenta, in Messico», sussurrò con tono suadente, come se avesse pronunciato la più scandalosa delle frasi. «Quindi chi dice che fu inventato solo negli anni Quaranta… sbaglia».
Cassini annuì. Sorseggiò il suo Martini e poi si rivolse alla ragazza. «È sua abitudine rimorchiare uomini soli nei bar?».
Lei sorrise. «Certo che no. Lei è il primo». Si avvicinò all’orecchio e gli sussurrò qualcosa. «Mi perdonerà, ma io so chi è lei… Adoro il suo lavoro su Dante, professor Cassini».
Lui sembrò sorpreso. «Davvero?»
«Ho letto tutti i suoi libri e quando alla reception ho sentito per caso che alloggiava qui anche lei non ho potuto fare a meno di venire a importunarla».
Cassini sorrise, incredulo. Era la prima volta che qualcuno provava ad abbordarlo. Si sentì lusingato.
«Bene, visto che lei conosce il mio nome…», proseguì, con espressione allegra, «per presentarci ufficialmente dovrebbe dirmi il suo».
Il giovane professore non poteva ancora saperlo, ma quell’incontro avrebbe cambiato la sua vita per sempre. L’indomani mattina si sarebbe svegliato nella sua suite con un’accusa di omicidio e una strana amnesia selettiva.
«Piacere, mi chiamo Meredith Evans». La ragazza gli sorrise e gli porse la mano. Il suo braccialetto d’oro con triangoli sovrapposti luccicò nella penombra.