Capitolo 44

Milano, 3 gennaio. 9:16.

Julia udì gli spari inconfondibili di una mitragliatrice da via Caradosso, dietro la basilica.

Scalò la marcia della Honda Hornet, già lanciata a tutta velocità, e girò intorno alla Tribuna bramantesca. Voltò contromano su corso Magenta ma, dopo pochi metri, fu costretta a spostarsi tutta a destra per evitare un tram che procedeva nella sua direzione. Scartò con decisione e si infilò tra i piloni che dividevano la strada lastricata dal marciapiede. Proseguì, accelerando, costeggiando il muro della basilica.

«Il soggetto si è appena fermato in un hotel nella zona della stazione centrale di Milano», aveva sussurrato al telefono Aurore Bousquet. «Ha tenuto il cellulare acceso per tutto il tempo. Le sto mandando l’indirizzo».

Poco dopo era salita sulla sua moto ed era partita per l’Italia. Per essere lì quella mattina aveva guidato tutta la notte senza mai fermarsi ma, a giudicare dagli spari che aveva appena sentito, non era arrivata in tempo.

Quando la Honda sbucò accanto alla basilica, Julia ne ebbe la certezza.

Cassini fu fatto sedere sul sedile posteriore di una BMW X3, parcheggiata sul sagrato della chiesa, di fronte all’uscita del Cenacolo. Accanto a lui si sistemarono, uno da un lato e uno dall’altro, due uomini. Appena gli sportelli furono richiusi, l’auto partì con uno stridio di gomme. Fece una mezza inversione e, infilandosi tra i piloni di cemento, scomparve in via Fratelli Ruffini.

La ragazza non perse tempo, abbassò la visiera del casco integrale e si lanciò all’inseguimento.

«Cassini. Ormai ci rimane soltanto lui. Trovalo e portamelo qui. Vivo». Gli ordini di Al Husayn erano fin troppo chiari.

Vivo.

Non era certa che sarebbe stato così facile.