Capitolo 29

Parigi, 2 gennaio. 09:05.

Hidetoshi Tanaka aveva stabilito la sua base operativa in un hotel nella zona dell’Opéra. La sua suite era al secondo piano di un edificio affacciato su Boulevard Haussmann. Dalle finestre si udiva il traffico incessante che scorreva attorno alle gallerie Lafayette.

Si affacciò al davanzale con una sigaretta tra le dita, lo sguardo puntato sui tendoni rossi del grande magazzino. Qualche fiocco di neve aveva cominciato a svolazzare nell’aria. Una ventata di aria gelida inondò la stanza.

«Ricominciamo da capo», grugnì in tono gutturale all’indirizzo di uno dei suoi uomini, seduto di fronte a un computer portatile. «Rivediamo tutti gli spostamenti dal loro arrivo al Ritz».

«Entrano nell’hotel nel primo pomeriggio del trentuno», cantilenò il giovane, giapponese come Tanaka, ma molto più giovane. Era la terza volta che rivedeva le immagini delle telecamere di sorveglianza. «Restano nella propria stanza fino alle diciotto. Poi Meredith Al Husayn si sposta al bar».

“Doveva essere un gioco da ragazzi…”, pensò Hidetoshi. Così gli aveva assicurato Edward… ma la realtà si era dimostrata molto diversa. Avrebbe dovuto chiedere più soldi. «Sei certo che non ci siano immagini della bionda in quel momento?».

Il giovane scosse la testa. «Dai dati che ci sono stati forniti, risulta sia rimasta in camera».

«Il dispositivo lo ha sempre tenuto lei. Non l’americana», commentò amaro il capo.

«Ecco qui. La bionda esce dalla stanza alle venti e zero tre. Quando l’americana era al bar, lei era in camera sua».

«E va diretta all’Espadon…», gemette Tanaka, che spense la sigaretta e rientrò nella stanza. Oltre al giovane al computer, c’erano altri due uomini, con abito nero e sguardo stanco, seduti sul divanetto. «Questo lo sappiamo. Ok, ricomincia dal bar».

Sul display comparve l’ambiente caldo e accogliente dell’Hemingway.

«Diciotto e trentacinque», annunciò il giovane tamburellando sui pulsanti della tastiera. «Era questo che volevi rivedere? L’uomo del bar?»

«La bionda ci è sfuggita. L’americana è morta. Non mi sembra che ci siano molte alternative», commentò amaro Tanaka. «Se si sono comportati come a Roma, probabilmente lui ce l’ha ancora addosso…».

«Ecco qui». Sullo schermo comparve la figura slanciata di Meredith in abito nero e tacchi alti. Si voltò in cerca di qualcuno e poi raggiunse un giovane al bancone del bar. Gli sussurrò poche parole, sorridendo, e poi appoggiò le dita sul tavolo, sfiorandogli la mano.

«Cambia telecamera. Riusciamo a vederlo meglio in faccia?», chiese il capo.

Un secondo dopo, l’immagine sul display mostrò la scena da un’angolazione diversa, ripresa da sopra il bancone. I due erano l’uno accanto all’altra: la donna sembrava parlare amabilmente, lui invece era meno propenso alla conversazione.

«Ingrandisci».

Il giovane zumò sul viso dell’uomo: era pallido, stempiato, con una fronte alta e capelli castani. Aveva davanti a sé un Martini e sembrava stesse leggendo il fondo del bicchiere.

«Ferma qui. Come hai detto che si chiama?».

L’informatico richiamò a video uno degli altri file e fece scorrere con il dito un elenco di nominativi. «Manuel Cassini».

«È ancora all’hotel?»

«Stando ai dati che ho qui davanti dovrebbe ripartire oggi».

«Allora non facciamolo andare via».