Capitolo 55
Roma, 4 gennaio. 9:26.
La Mercedes nera si immise in via della Conciliazione e si trovò imbottigliata nel traffico intenso della capitale.
In fondo alla strada, la cupola di San Pietro aveva già fatto la sua comparsa. Svettava sopra i tetti e luccicava d’azzurro al tiepido sole del mattino.
Cassini la osservò di sfuggita ma poi tornò a fissare l’abito scuro che aveva indosso. Glielo avevano fatto trovare sul letto quella mattina, assieme a un giaccone con il cappuccio.
«Abbiamo appuntamento alle nove e trenta». Julia era seduta accanto a lui sul sedile posteriore, gli occhi sull’orologio. «Uno dei conservatori dei Musei Vaticani ci accompagnerà nelle Stanze di Raffaello. È una visita privata».
Il professore la fissò in silenzio. Anche lei era vestita elegantemente, con un tailleur gessato, camicetta avorio e ballerine. I capelli sciolti facevano risaltare ancora di più i suoi lineamenti armoniosi. «Forse sarebbe il caso che mi dicessi cosa esattamente andiamo a fare in Vaticano». Le lanciò un’occhiata polemica e sostenne il suo sguardo per alcuni secondi.
Julia non sembrò impressionarsi, accarezzò la valigetta sulle sue ginocchia e la aprì per fare sbirciare all’interno il professore.
«È il famoso dispositivo?», bofonchiò lui, osservando il contenuto della ventiquattrore. Conteneva due piccoli microchip trasparenti sospesi in un cilindro di vetro.
«È l’unico prototipo funzionante. Ne avevamo due, ma purtroppo uno è stato distrutto proprio ai Musei Vaticani».
Intanto, l’auto era immobile, incolonnata disordinatamente tra mille utilitarie, SUV e taxi. Non si era spostata neppure di un metro.
Il professore guardò altrove, come in un impeto d’ira. Ripensò a Claude de Beaumont e Andrea Cavalli Gigli. Loro si erano offerti volontari ed erano morti… Si domandò per l’ennesima volta per quale ragione fosse ancora lì.
«Domani andremo in Vaticano. Lì tutto ti sarà chiaro. Poi sarai libero di andartene». Le parole di Julia, pronunciate il giorno prima, risuonavano lontane, come se provenissero dalla parte opposta di una caverna.
Durante la notte trascorsa nel letto accanto a lei, sarebbe potuto fuggire. Eppure non l’aveva fatto. Si era limitato a voltarsi dalla parte opposta ripensando a quanto sapeva dell’intera vicenda. Poco, in realtà, ma comunque abbastanza da tenerlo attaccato a quella donna, come se avesse un guinzaglio invisibile.
Se era lì, però, non si trattava solo del magnetismo di Julia che, era inutile negarlo, gli piaceva molto. C’era di più: la sua curiosità era parte del problema.
Ripensò ai triangoli astronomici che aveva tracciato la sera precedente sulla Primavera. Ai numeri indicati dalle dita dei personaggi, ai simboli nascosti nel dipinto. Ricordò soprattutto l’adrenalina che aveva cominciato a scorrergli nelle vene mentre quel mistero, a cui aveva lavorato per anni, si svelava davanti ai suoi occhi.
Julia gli aveva spiegato che le informazioni contenute nel quadro nascondevano le coordinate di un luogo in Islanda, lungo il corso di un fiume. Coordinate errate, stando a quanto gli aveva rivelato lei, ma coordinate di cosa?
Con la mente tornò al Giardino dell’Eden. In quel momento la Mercedes si mosse, ma solo di qualche metro.
«Stanze di Raffaello, quindi?», indagò Cassini. C’era già stato, in passato. Si trattava di quattro locali affrescati nel Cinquecento dal maestro di Urbino. Fino al XVI secolo erano stati l’alloggio del pontefice. Immaginò che quei dipinti potessero contenere qualche riferimento per trovare ciò che Julia stava cercando. Dopotutto, se Botticelli e Leonardo avevano nascosto indizi nelle loro opere più importanti, era possibile che Raffaello avesse avere fatto lo stesso.
Per un secondo socchiuse gli occhi e fissò le mani della donna. Infierivano nervosamente sul quadrante dell’orologio, che giravano e rigiravano tra le dita.
In tutti quei ragionamenti restava però un problema di fondo, un interrogativo che pesava come un macigno: in che modo era coinvolto in tutta quella vicenda?
«La risposta è già dentro di te». A parte la divertente somiglianza con il tono del maestro Miyagi di Karate Kid, quelle parole erano drammaticamente significative. Il fatto che, da tre giorni, passi interi della Divina Commedia gli rimbalzassero inspiegabilmente nella mente non poteva essere casuale. Forse era parte della spiegazione e certamente parte del problema…
Nonostante la curiosità di saperne di più, di vedere una volta per tutte confermate le sue teorie, si sentiva come una marionetta manovrata da un burattinaio invisibile.
«Fermati qui!», ordinò Julia all’autista indicando l’ora. «È tardi. Proseguiamo a piedi».
L’uomo sbloccò le porte posteriori con un clic sordo e lei scese in mezzo al traffico. «Andiamo», ordinò a Cassini.
Da quanto aveva potuto vedere, la ragazza non era armata. Evidentemente confidava nella sua totale collaborazione. Era certa che la promessa di proteggerlo e di lasciarlo andare al termine della missione lo avrebbero reso docile e obbediente… come in effetti era stato fino a quel momento.
Cassini la seguì sul marciapiede, dove camminarono in silenzio per alcuni metri l’uno accanto all’altra. Per un istante gli parve che Julia avesse intenzione di tenergli la mano. Lo avrebbe voluto… Ma si sbagliava!
Scosse il capo. Accanto al desiderio irrazionale di stare accanto a quella donna, che si faceva più forte man mano che lei si dimostrava più schiva, c’era un interrogativo razionale che faceva da contraltare: perché lei non aveva chiarito la questione più importante dei ricordi introdotti a forza nella mente?
La risposta è già dentro di te.
Per quanto enigmatica, quella risposta non gli piaceva affatto. Con i passaggi di Dante che sembravano riemergere dalla sua memoria come i rottami di una nave alla deriva, adesso tutto gli sembrava più chiaro: ciò che volevano era già nella sua mente. Ciò che volevano… era lui!
E a quel punto realizzò che la visita ai Musei Vaticani sarebbe stata soltanto l’inizio. Non la fine! Nella migliore delle ipotesi lo avrebbero costretto a collaborare ancora, forse per decifrare qualche indizio contenuto negli affreschi. E nella peggiore? Era sicuro di non volerlo scoprire… soprattutto se l’oggetto degli esperimenti erano i suoi neuroni.
Si guardò attorno. Per un istante gli balenò in testa l’idea di fuggire. Piazza San Pietro era a pochi passi da lui. Ci sarebbero stati certamente agenti della Polizia e dei Carabinieri. Avrebbe potuto chiedere aiuto a loro.
Osservò Julia, che proprio in quel momento però, sembrò leggergli nel pensiero. «Di là», fece, mimando con la mano.
Erano ormai giunti all’ingresso della piazza. Davanti a loro un pullman aveva appena scaricato un esercito di bambini rumorosi, tutti con cappellino e casacca color salmone.
Si avviarono veloci lungo il colonnato nord, finché Julia non si fermò di fronte a un omino al quale strinse la mano. Sotto un cappotto nero indossava l’abito talare.
Aveva carnagione rubizza e barba e capelli color rame, talmente corti che si faceva fatica a distinguere dove finissero gli uni e iniziasse l’altra.
«Abbiamo trenta minuti. Come avete chiesto», fece notare squadrando Cassini, che era un passo dietro a Julia.
Insieme superarono il porticato. Attraversarono il cortile di San Damaso e passando per alcune scale di servizio del palazzo Medievale entrarono nelle Stanze di Raffaello.
Appena furono entrati nella Stanza della Segnatura, originariamente adibita a studio privato da Giulio II, Julia appoggiò la valigetta su una panca e l’aprì.
Non parve per nulla interessata alla magnificenza di quella sala con cinquecento anni di storia.
Cassini scrutava il soffitto a volta e l’addetto del museo era immobile accanto all’ingresso: per quanto la visita dovesse restare privata, gli era stato imposto di non perdere mai di vista i due turisti “speciali”.
Durante il tragitto il professore aveva cercato di memorizzare la strada percorsa, in attesa dell’occasione giusta per scappare. Non era ancora deciso, e forse nel profondo sperava di vedere in Julia un barlume d’umanità. Forse l’avrebbe convinto a restare. Invece niente: da quando erano scesi dall’auto era stata una statua di ghiaccio, risoluta nel portare a termine la missione che le era stata affidata… qualunque fosse.
«Ci dobbiamo concentrare sulla Scuola di Atene di Raffaello», gli spiegò lei indicando l’affresco, mentre con la pinzetta stava estraendo gli OCST dal suo contenitore. «Limitati a osservare i personaggi. Comincia da Eraclito appoggiato alla pietra angolare e procedi lentamente. Concentrandoti su Bramante nei panni di Euclide, Leonardo in quelli di Platone e sul cardinale Inghirami in quelli di Epicuro. Osservali tutti attentamente».
Cassini fissò il punto esatto indicato dalla donna: la figura di Eraclito era proprio di fronte a lui, nella parte centrale dell’affresco. Il filosofo, dipinto con le sembianze di Michelangelo, era appoggiato a una pietra cubica con gli spigoli smussati e stava scrivendo qualcosa.
Un istante dopo, con la coda dell’occhio, vide Julia voltarsi e sedersi sulla panca: aveva abbassato lo sguardo verso la valigetta e cominciava ad armeggiare con il dispositivo.
La mente gli andò a de Beaumont e Cavalli Gigli, entrambi morti a causa di quel maledetto aggeggio…
Per qualche istante Julia parve avulsa da ciò che le stava accadendo intorno, completamente concentrata sui piccoli chip trasparenti cosparsi di gel.
Fu in quel momento che Cassini prese la decisione: non avrebbe fatto la stessa fine dei suoi due colleghi.
Sapendo che non avrebbe avuto altre occasioni, si avvicinò a Julia, seduta sulla punta della panca e le diede uno spintone. La donna, colta alla sprovvista, barcollò e cadde all’indietro, insieme alla valigetta.
Sembrò più sorpresa che preoccupata ma Cassini non la osservò neppure: attraversò la porta e cominciò a correre verso la scala di servizio.