Capitolo 48

 

 

 

 

 

Milano, 3 gennaio. 9:25.

 

L’uomo era immobile sul cavalcavia, accanto alla sua Porsche Cayenne con lo sportello aperto. Era incredulo: uno pneumatico con tanto di cerchione era caduto dal cielo direttamente sulla sua fuoriserie.

Si era fermato di colpo ed era stato a sua volta tamponato da altre macchine che avevano creato un gigantesco ingorgo. Poi era sceso e adesso era lì, immobile, con indosso solo una camicia azzurra sbottonata sul petto e una collana d’oro spessa un centimetro.

Si tolse gli occhiali da sole e osservò la BMW capovolta, sotto il ponte. Poi guardò sconsolato la carrozzeria della sua Porsche. Il motore era ancora acceso, segno che l’oggetto non aveva danneggiato il motore. Però il cofano era incassato, un grosso cratere nel mezzo.

Improvvisamente, tra la cacofonia di clacson e sirene che si era scatenata alle sue spalle, udì un colpo sordo, uno sparo, seguito da un altro.

Non capì immediatamente da dove erano arrivati, finché non individuò, a una decina di metri, un omino vestito di nero. Era coperto di sangue e teneva una pistola luccicante con entrambe le mani.

 

Tanaka era certo di averla colpita. Eppure la Honda aveva continuato la sua corsa dirigendosi sul cavalcavia.

Risalì a fatica la rampa e, pulitosi con l’avambraccio il sangue che gli colava dalla fronte, prese nuovamente la mira: ma la moto ormai era troppo lontana.

Si guardò intorno, spaesato, in cerca di un’alternativa. La individuò a pochi passi da sé e si diresse zoppicando verso la Cayenne.

 

Julia impennò e subito dopo si toccò il polpaccio: fortunatamente il proiettile l’aveva colpita solo superficialmente. Cassini, nel frattempo, era aggrappato con tutte le sue forze alla sua schiena.

La moto si spostò a sinistra e in quel punto la strada cominciò a scendere. Davanti a loro adesso scorrevano le vetrate a specchio di alcuni edifici e sulla sinistra la sagoma verde e semi arrugginita del ponte Richard Ginori.

Cassini strinse ancora di più le braccia quando la Honda invase la corsia opposta e percorse contromano un ampio piazzale. Giunto in fondo, la moto girò di centottanta gradi e si diresse verso i navigli.

 

Tanaka, intanto, aveva raggiunto la Porsche Cayenne. Il proprietario era rientrato in auto e si era chiuso dentro quando aveva capito che l’uomo insanguinato si dirigeva verso di lui.

Raggiunto lo sportello, il giapponese sparò contro il finestrino mandandolo in frantumi.

«Ehi!…», sbottò il tizio, rivolto a Tanaka.

Il giapponese non si scompose, gli puntò la pistola alla tempia e gli intimò: «Spostati. Guido io».

Il coraggio dell’uomo scomparve all’istante. Passò sul sedile del passeggero e non appena si fu seduto, la sua Porsche ripartì in uno stridio di pneumatici.

 

La Honda Hornet sobbalzò sui binari del tram e poi accelerò di nuovo. In quel punto di via Lodovico il Moro non c’era traffico. Alla sua sinistra, poco sotto il livello stradale, scorrevano placide le acque del Naviglio Grande.

Proseguì a velocità sostenuta per alcune centinaia di metri, e poi si accorse della Porsche Cayenne color argento alle calcagna. Il giapponese doveva essere riuscito, in qualche modo, a trovare un’auto sostitutiva…

Superò un battello bianco che navigava sul naviglio e giunse al bivio con Ripa di Porta Ticinese. Fu lì che Julia ebbe un’illuminazione. La strada si biforcava, da una parte scendeva, dall’altra risaliva verso un ponte. Scelse la seconda direzione.

Attraversato il naviglio, voltò come per tornare indietro e si immise su una stradina a una sola corsia che correva a fianco del canale. Poco dopo, si infilò in una piccola rampa che scendeva fino a livello dell’acqua.

«Tieniti forte», urlò a Cassini, digrignando i denti. Poi accelerò di colpo. Il motore rombò e la ruota davanti si staccò dal manto stradale all’improvviso.

“Tieniti forte?”. Fino a quel punto la donna aveva guidato come un pirata della strada; cosa poteva fare di peggio?

Lo capì quando la Honda saltò verso il canale e prese il volo.

Il professore cominciò a urlare finché la Hornet non toccò il ponte del battello, che avevano incrociato pochi istanti prima. La ruota posteriore slittò e poi quella anteriore si posò sulla superficie ruvida dell’imbarcazione.

Il professore fu sbalzato dal sellino e rotolò tra i sedili di plastica del ponte superiore. Julia ebbe una sorte peggiore, strisciò sulla schiena per alcuni metri e con il casco andò a sbattere contro le cime per l’ormeggio.

La moto, invece, si piegò su se stessa, scivolò su un fianco e concluse la sua corsa nel naviglio, dalla parte opposta da cui era arrivata.

«Tutto bene?», domandò lei alzandosi in piedi a fatica.

Il professore era immobile, la tempia sanguinante. Seduto per terra, guardava stupito il molo dal quale erano arrivati.

Nel frattempo, la Porsche Cayenne si era fermata esattamente dove la Honda aveva spiccato il salto. Tanaka scese imprecando. Ormai erano troppo lontani per sparare…

 

Cinque minuti dopo, poco prima che l’imbarcazione arrivasse alla Darsena del Naviglio, Julia si rivolse a Cassini: «Sai nuotare?».

Non scherzava affatto. D’altra parte non potevano rischiare che qualcuno li attendesse al capolinea.

La squadrò dalla testa ai piedi. “È pazza”, pensò. Poi fece cenno di no con il capo e allargò le braccia in segno di rassegnazione.

«Ok», rispose lei mentre scavalcava la battagliola di sinistra. «Allora cerca di non cadere in acqua».

Poi osservò il marciapiede, che in quel punto era vicinissimo al naviglio, e spiccò un salto.

Cassini sospirò, scosse la testa ma alla fine la seguì. In pochi secondi sparirono nel vicolo dei Lavandai.

La chiave di Dante
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