Capitolo 4
Dubai, nello stesso istante.
Mohamed bin Saif Al Husayn contemplava un grande display OLED sistemato sulla parete di una stanza completamente buia.
Era al centosettesimo piano del Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo. La sua reggia, così l’aveva definita una giornalista sportiva che aveva recentemente intervistato lo sceicco, era «un palazzo rinascimentale sospeso tra le nuvole». Occupava gli ultimi due piani residenziali dell’edificio e, dalle sue vetrate, le auto sugli anelli della circonvallazione sembravano moscerini.
Mohamed aveva le mani appoggiate ai braccioli della sua speciale sedia a rotelle e un supporto di carbonio lo aiutava a tenere il collo diritto. Sulla testa indossava una specie di casco da ciclista, bucherellato, a forma di ragno. Alla fine di ogni “zampa” c’era un piccolo sensore appoggiato a un lembo di pelle. Quel dispositivo, interfacciandosi con i neuroni, lo aiutava a parlare e a compiere alcune funzioni motorie basilari.
Era stato lui, attraverso alcune delle sue società, a svilupparlo. E Dubai, dove era stato esiliato anni prima dal fratello, era stata il luogo ideale: una sorta di Silicon Valley cresciuta rapidamente tra la sabbia del deserto e le acque cristalline del Golfo Persico.
“Non importa quale Dio preghi: se lavori sodo e non disturbi il tuo vicino, Dubai è casa tua”. Il motto della città, coniato dai suoi monarchi, era così diventato anche il suo.
A Dubai, schiere di ingegneri e architetti avevano fatto a gara per realizzare l’edificio che avrebbe tolto il fiato al turista di turno. Ogni giorno ricchi sceicchi avevano sfidato le leggi della natura. Esattamente ciò che continuava a fare, a suo modo, anche lui.
Tutto era cominciato acquistando un promettente brevetto olandese la cui tecnologia utilizzava sensori simili a quelli degli elettroencefalografi. Il procedimento sfruttava uno dei principi di funzionamento del cervello umano: quando i neuroni interagiscono, infatti, la reazione chimica genera un impulso elettrico che può essere misurato. I sensori mappavano quegli impulsi e trasferivano i dati a un elaboratore, che li interpretava e azionava a sua volta altri apparecchi.
Con l’aiuto di studiosi di tutto il mondo, Al Husayn adesso poteva controllare venticinque tipi di pensieri consci. Grazie al suo dispositivo poteva muovere la sedia a rotelle, poteva parlare per mezzo di un sintetizzatore, poteva accendere le luci di una stanza o aprire un’email. Ciò che non poteva fare, però, era tornare a camminare o a correre con le sue gambe o a fare l’amore con una delle sue mogli.
Si era ammalato di SLA quattro anni prima e per quanti soldi potesse investire, sapeva che non ne sarebbe mai guarito. Ma questa, per lui, non era un’opzione accettabile.
Accanto al progetto che gli consentiva di comunicare e muoversi, ne aveva quindi studiato un altro, più complesso e articolato. Era strettamente connesso ai suoi studi di gioventù e all’arte rinascimentale che tanto amava. Grazie a quelle conoscenze, si era convinto che la sua vita sarebbe cambiata…
“Carica immagine”, pensò. “Primavera.jpg”. Lo schermo divenne nero e subito dopo comparve l’immagine della Primavera di Sandro Botticelli.
I suoi studi artistici, ai tempi dell’università, gli suggerivano che in quella scena ci fosse un indizio. Erano cinquecento anni che gli storici dell’arte si facevano domande su quel quadro, alla ricerca del suo significato. Alcuni ipotizzavano che il dipinto rappresentasse il matrimonio del suo committente, Lorenzo il Popolano. Secondo altri il quadro sarebbe stato ispirato ai Fasti di Ovidio oppure da un altro grande fiorentino: Dante Alighieri.
“Perché dipingere tante figure per rappresentare una sola stagione?”, si era chiesto lo sceicco. Da quella riflessione era nata la teoria che riteneva essere l’unica corretta… certamente l’unica in grado di svelare la realtà nascosta dietro al quadro.
Azionò il computer con altri semplici comandi e davanti al dipinto comparve un reticolo bianco composto da vari triangoli. I vertici di ognuno coincidevano con le mani di Mercurio, delle tre donne e della figura centrale. Subito dopo l’immagine della Primavera scomparve e sullo schermo rimase soltanto il disegno geometrico:
Fino a sei mesi prima non aveva molte conoscenze di astronomia sferica e di triangoli di posizione astronomica né tantomeno sapeva cosa fossero le tavole effemeridi. Adesso, però, sapeva esattamente cosa stava guardando.
Improvvisamente il telefono squillò.
“Rispondi”, pensò Al Husayn. Il computer fece il resto e lo mise in comunicazione.
«Pronto, come stai questa mattina?». Era la voce di Meredith, la sua quinta moglie, che lo chiamava dall’Italia. Era la sola di cui si fidava e l’aveva mandata a Roma perché la riteneva l’unica in grado di portare a termine il lavoro che le aveva affidato.
«Come ieri e come domani», scherzò. La voce riprodotta dal computer, per quanto priva di espressione, era simile a quella di un attore da soap opera.
«C’è un problema», sibilò la donna senza preamboli. «Monsignor Claude de Beaumont… si è suicidato».
Lo sceicco non disse nulla, poi si limitò a fare la domanda che più gli stava a cuore: «Ci serviva ancora?»
«Volevamo provare a usarlo anche con il biosupporto…», rispose la donna. «Almeno per il Vaticano».
«Si è ucciso per colpa degli OCST?»
«Secondo Dempsey è da escludere».
Al Husayn rimase in silenzio per alcuni secondi. «Va bene. Proseguiamo ugualmente come programmato».
«Ok».
«Un’ultima cosa: de Beaumont aveva ancora gli apparati quando si è ucciso?»
«Sì. Era appena andato al Cenacolo e aveva ancora un esperimento a cui sottoporsi, nelle Stanze di Raffaello».
«Fa’ in modo che non restino pezzi in giro», ordinò lui, asciutto.
Il fatto che il monsignore fosse morto non lo preoccupava granché, dopotutto non era né il primo né l’ultimo a essere sacrificato per il bene della scienza…
“Ingrandisci”, pensò.
L’immagine sullo schermo si avvicinò fino a portare in primo piano il triangolo sulla destra. Nel vertice più alto comparve una scritta lampeggiante: Zenith.
Lo sceicco chiuse gli occhi. Dall’esame di quel disegno era iniziato tutto, sei mesi prima. La spedizione in Islanda, nei pressi del ghiacciaio Langjökull non aveva dato esiti positivi, ma gli errori erano parte del cammino.
E quel giorno avevano fatto un altro passo importante.