Capitolo 2

 

 

 

 

 

Una settimana prima.

Città del Vaticano, vigilia di Natale. 08:55.

 

La sagoma sbiadita della cupola di San Pietro era addossata contro il cielo basso, avvolta nella foschia del mattino. Oltre il colonnato del Bernini, una schiera di comignoli allineati eruttavano fumo bianco sulle nubi cariche di pioggia.

Monsignor Claude de Beaumont uscì spedito dal cortile di Sisto V e si incamminò verso piazza del Sant’Uffizio. Proseguì senza fermarsi fino a quando non giunse sul sagrato di piazza San Pietro, già a quell’ora della mattina affollata di fedeli e turisti.

Era la vigilia di Natale e aveva appena compiuto un sopralluogo di routine agli affreschi delle Stanze di Raffaello. Ufficialmente si era recato nel Palazzo Pontificio per verificare i danni di una macchia di umidità, ma le infiltrazioni erano solo una scusa.

Si era trattenuto nelle quattro sale per quasi mezz’ora. Era rimasto immobile con gli occhi puntati sulla Scuola di Atene e sulla Disputa del Santissimo Sacramento, le due raffigurazioni sul lato lungo della Stanza della Segnatura. Si era soffermato prima sulla pietra squadrata alla quale è appoggiato Eraclito, nel primo affresco, e poi sul libro letto dal Bramante, nella parte bassa del secondo.

Per tutto il tempo, il suo amico Walter Magnani, direttore dei Musei Vaticani, era rimasto in silenzio accanto a lui, il viso corrucciato. Poi, alle otto e trenta, senza aver fatto ciò che gli era stato chiesto, era stato scortato da un gendarme all’uscita.

Quando fu all’altezza della fontana “antica” si fermò di colpo. Aveva cominciato a piovigginare e monsignor de Beaumont, alto e ossuto, rimase immobile per alcuni secondi, pensieroso. Inclinò leggermente il capo, quasi avesse udito una voce familiare. Poi si voltò, fece un giro completo su se stesso e si fermò nuovamente. Infilò la mano nella tasca dell’impermeabile fino a incontrare una superficie liscia e metallica, quasi per assicurarsi che fosse ancora lì.

Era Curatore dei Musei Vaticani e lavorava al Reparto per l’arte dei secoli XV-XVI da quasi cinque anni. La sua occupazione, insieme alla vocazione, aveva segnato la sua vita e il suo cammino religioso. Da lui e dalla sua grande conoscenza della storia dell’arte rinascimentale dipendeva un piccolo esercito di restauratori, conservatori e una schiera fin troppo nutrita di burocrati. Oltre, naturalmente, alla buona salute di tutte le opere custodite entro le mura della Santa Sede.

La pioggia cominciò a cadere con maggiore insistenza. Il religioso rimase immobile ancora per pochi istanti, fissando il gigantesco abete addobbato accanto all’obelisco. Poi decise di tornare sui suoi passi. La breve visita nelle Stanze di Raffaello non gli era stata sufficiente. Era certo di aver visto giusto.

Con un gesto istintivo portò la mano all’orecchio e poi sulla nuca, dove era sistemato un piccolo dispositivo trasparente. Lo sfiorò con le dita, socchiudendo gli occhi. Si domandò se quell’oggetto non avesse alterato la sua capacità di giudizio.

Nel frattempo la piazza era sta invasa da un nutrito esercito di ombrelli variopinti che avanzava verso l’obelisco. Doveva togliersi ogni dubbio. Si avvicinò al porticato del Bernini, dal lato del Palazzo Apostolico, e si diresse di nuovo verso la basilica. Giunto alla scala Regia, poco distante dall’ingresso della Cappella Sistina, mostrò il tesserino con il simbolo della Santa Sede e il portone gli fu aperto. Attraversò una grande sala e un lungo corridoio e infine si trovò sui giardini Vaticani. Le palme affacciate sullo Stradone dei Giardini, grondanti pioggia, sembravano bandiere a mezz’asta.

Monsignor Claude de Beaumont cominciò a camminare con passo spedito, la testa bassa. Dopo pochi minuti raggiunse l’ingresso della Pinacoteca Vaticana e poi il centro della sala VIII, l’ultima.

La Trasfigurazione occupava la parte centrale della stanza, protetta da un parapetto in alluminio che non permetteva di avvicinarsi. Il museo doveva avere aperto da poco, perché una frotta di turisti forniti di macchine fotografiche piombò rumorosamente nella sala.

La confusione non gli fece perdere di vista il quadro. De Beaumont si allontanò di qualche passo e raggiunse una fila di scranni di legno sistemati sul lato opposto. Si sedette senza distogliere mai lo sguardo dal dipinto. Rimase nella stessa posizione per dodici minuti – così risultò in seguito dall’esame dei video a circuito chiuso – e poi si diresse verso la scalinata a doppia spirale dei Musei Vaticani.

Non fece nessuna sosta e non ebbe nessun ripensamento. Raggiunse deciso il livello più alto e scavalcò la balaustra intarsiata. Rimase immobile per pochi istanti, gli occhi chiusi. Poi si spinse in avanti e si lasciò cadere nel vuoto.

La chiave di Dante
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