Capitolo 43
Milano, 3 gennaio. 9:14.
Manuel Cassini deglutì. Fissava, esattamente come nel suo flashback, lo stemma del drago, simbolo degli Sforza, nella lunetta centrale dell’Ultima Cena.
Anche quella visione adesso era molto chiara, così come era chiaro che la reminiscenza dell’uomo che scendeva dal tram apparteneva a monsignor de Beaumont.
La supposizione di avere nel cervello ricordi di più persone era corretta. Per quanto incredibile e all’apparenza fantascientifico, se non folle, era certo di aver rivissuto frammenti sia di Cavalli Gigli che di Meredith. E adesso anche di de Beaumont.
Come il sovrintendente, anche il monsignore aveva fatto un accordo con quella donna. A entrambi, lei doveva avere offerto qualcosa di cui avevano bisogno: soldi per il museo al primo e un’incisione antica al secondo. Ma per fare cosa? Perché de Beaumont era tornato al Cenacolo con gli OCST impiantati sulla nuca?
Cassini strizzò gli occhi, sperando in qualche altra visione che avrebbe potuto chiarire i suoi dubbi. Sarebbe arrivata in modo casuale oppure era lui che doveva semplicemente capire come richiamarla dalla memoria?
Spostò lo sguardo dalla lunetta centrale a quella di destra. Accanto allo stemma si vedevano le lettere DVX e BAR.
Poi, improvvisamente, uno strano rimbombo lo costrinse a distogliere lo sguardo. Proveniva da dietro il muro.
Anche la guida si era voltata improvvisamente verso la Crocifissione del Montorfano.
La prima impressione fu quella di aver udito il rumore di un tagliaerba che sta per accendersi. Ma era certamente più fragoroso.
Quando la porta principale si aprì, sulla grande sala, qualcuno gridò. Dal buio dell’anticamera comparvero quattro uomini armati e in abito scuro.
L’addetto del museo era accanto alla porta, paralizzato, la faccia cadaverica e lo sguardo atterrito su una delle mitragliette.
«Non muovetevi. Non parlate. E nessuno si farà del male». La voce era quella di Hide Tanaka, l’ultimo a entrare. Le mani sprofondate nel cappotto, fece scorrere lo sguardo sui volti terrorizzati dei presenti. Infine, individuò l’uomo che stava cercando. A pochi metri dall’Ultima Cena c’era Manuel Cassini, che si era rimesso in piedi e aveva alzato le mani.
«Professore, è un piacere rivederla», grugnì ancora il giapponese.
Due dei suoi uomini si avvicinarono a Cassini e lo sollevarono per le braccia, spostandolo letteralmente di peso. Il professore non oppose resistenza, anche perché il più piccolo dei suoi aggressori era un armadio di due metri.
In pochi secondi i cinque uscirono dall’ex refettorio di Santa Maria delle Grazie con molta più discrezione di quando erano arrivati.