Capitolo 68

Il sole rosso, basso al tramonto, era una palla vitrea che faceva assomigliare il cielo a una ferita sanguinante.

In fondo a una voragine scavata nel terreno, tra fili d’erba e spuntoni di roccia, un fiume color cenere scorreva rabbioso.

Si voltò, spaesato: una foresta minacciosa incombeva sulla sua testa. Si incamminò tra le fitte fronde, la luce si insinuava tra le foglie e la sua ombra allungata di fronte a lui.

Poi, improvvisamente, il buio.

Il silenzio.

La paura.

Mosse qualche altro passo incerto su un terreno accidentato, seguendo un vociare che via via si faceva più intenso.

Camminò per un tempo indefinito, i respiri affannosi e il battito del cuore sempre più insistente.

Ma più camminava, più le voci tutt’intorno erano incalzanti: migliaia di chiacchiericci sovrapposti e invadenti che gli perforavano la mente.

Premette le mani sulle tempie e strinse con forza, per cercare di far tacere tutta quella marmaglia invisibile di persone. Ma invano. Erano sempre lì, nascosti nell’oscurità ma sempre più penetranti.

Poco alla volta, il buio si assottigliò, lasciando spazio a un altro fiume che gli si parava di fronte. Sulla riva opposta si stagliavano degli stendardi che si elevavano al cielo senza che si riuscisse a vederne la fine. E poi le fiamme, così alte e intense che coloravano l’aria come le pennellate di un pittore.

Gli parve di scorgere una fila di persone che procedevano, lentamente, due a due. «Benedicta tu sia fra le figlie d’Adamo, benedette siano in eterno le tue bellezze!», cantavano, tra le mille voci che gli perforavano i timpani.

Dietro quella processione sbiadita, vide comparire quattro animali pennuti con sei ali e, nel mezzo, un carro trainato da un grifone.

Poi, un tuono assordante e ancora il buio, improvviso, molto più nero di una notte senza luna.

Un brivido gli percorse la schiena quando sentì il gelo dell’acqua sulla pelle.

Adesso era in balia di una corrente impetuosa, con la testa protesa verso il cielo in cerca d’ossigeno.

Il battito del suo cuore accelerò.

Le voci aumentarono ancora, trapassandogli i timpani.

Tutto nella sua mente era tremendamente confuso: le poche immagini viste prima dell’oscurità erano appannate e sovrapposte, come se fossero state riflesse in un vetro incrinato.

Si sentiva spaesato. Si domandò se stesse sognando, se era sotto l’effetto di qualche sostanza, oppure, semplicemente, se l’operazione fosse fallita.

Era al buio, al freddo e sballottato dalla corrente.

Sarebbe morto.

Mohamed bin Saif Al Husayn spalancò gli occhi, atterrito. Per la prima volta in vita sua ebbe davvero paura.