Capitolo 87

Campo base, 6 febbraio. Ora locale 06:30.

Tutti i componenti della spedizione erano in piedi al centro del campo. Attorno a loro c’erano otto mercenari che li tenevano sotto tiro.

«Scusate questo fuori programma», esclamò un uomo dal fisico possente, passeggiando sulla neve. Era un colosso muscoloso, con un accento sudamericano, che li aveva prelevati uno a uno dai camper e li aveva radunati sotto il tendone. «Se collaborerete nessuno vi torcerà un capello».

I geologi e i tecnici erano gli uni accanto agli altri, lo sguardo basso e il terrore dipinto negli occhi. Ólína Einarsson, la guida, piagnucolava sommessamente, mentre il marito Rúnar la teneva per mano. Accanto a loro Hólmar Bjarnason, l’anziano Jari Johansson e Kjell Lagerbäck tremavano per il freddo, oltre che per la paura.

Cassini e Julia erano vicino a Joonas Eklöf, l’unico a non essere davvero spaventato. Dopo la sua telefonata al Toro – nella quale aveva rivelato della camera sotterranea individuata dai georadar – si aspettava delle conseguenze… anche se non di quel tipo.

«Sappiamo che state conducendo una campagna archeologica a poca distanza da qui, in un anfiteatro naturale», urlò il Toro, le parole ben scandite per farsi udire da tutti. «Oggi cominceremo a scavare, esattamente come avevate programmato. Ognuno di voi farà il lavoro per il quale è stato pagato. Se eseguirete i miei ordini nessuno si farà del male».

Al centro del tendone qualcuno si mosse. Julia fece appena in tempo a notarla con la coda dell’occhio: Ólína Einarsson, in un goffo e irrazionale tentativo di fuggire, cominciò a correre in direzione dei camper, la testa bassa e le lacrime agli occhi.

Si spostò solo di pochi metri e poi uno dei militari si mosse di un passo. Puntò l’M4 che aveva a tracolla e fece fuoco immediatamente. La donna, colpita alla schiena, stramazzò a terra e il sangue cominciò a dipingere di rosso la neve.

Si udirono degli urli. Il marito gridò, cercando di muoversi per andare a soccorrerla, ma qualcuno dei tecnici lo trattenne, salvandogli così la vita.

«Spero che quella donna non fosse necessaria per la gestione dello scavo», sibilò il Toro, fissando il corpo inerte sul manto nevoso. «Se vogliamo andare d’accordo, questo non è il modo migliore di cominciare».

Il militare che aveva sparato, intanto, si avvicinò a Ólína. Toccò il corpo della donna con un anfibio ma lei non si mosse.

Ci fu un secondo di silenzio. I presenti erano sgomenti e terrorizzati allo stesso tempo.

Il Toro si avvicinò agli ostaggi brandendo una pistola e sorridendo. Camminò lentamente, fissandoli a uno a uno e si fermò accanto a Cassini. «Professore… speriamo che il nostro tesoro sia davvero dove lei crede», gli sussurrò, lo sguardo arguto.

Il professore, paralizzato dalla paura, non rispose e si limitò a deglutire. Poi strinse la mano a Julia.

«Signori, tra meno di due ore sarà l’alba», continuò ad alta voce il Toro, voltandogli le spalle. «Forza! Al lavoro. Non facciamo attendere quel bell’anfiteatro».

Poco dopo le nove, quando una pallida aurora sembrava affacciarsi oltre il ghiacciaio Hofsjökull, le auto dei mercenari e quattro pick-up si mossero dal campo base.

Nessuno dei militari di scorta notò che, a duecento metri dall’accampamento, protetta da un costone innevato, si era appena fermata una Toyota Hilux simile a quelle che erano appena partite.