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Colline della Toscana. Sei mesi dopo.
«Cosa le hai detto?». Stella Rosati, capelli raccolti e tubino bianco, entrò nel soggiorno proprio mentre l’auto di Viola si allontanava lungo il sentiero. Era rimasta nella stanza da letto per tutto il tempo in cui il sottotenente si era trattenuto in casa ed era uscita appena se n’era andata.
Avanzò lentamente sul pavimento in cotto, sorridente e con la piccola Anahita in braccio. Entrambe sembravano in splendida forma e la bambina aveva un colorito roseo e due gote rosse che facevano risaltare gli occhietti azzurri.
«Nulla, ovviamente…». Henkel allargò le braccia e rimase seduto sulla poltrona. «Viola è ancora convinta della sua teoria».
Stella annuì, poggiò Ana sul pavimento e si avvicinò al bancone della cucina. Stappò una bottiglia di vetro e riempì un bicchiere di acqua cristallina. «Poteva essere una buona occasione per dirle che ci hanno concesso l’adozione…».
«Lasciamo passare ancora un po’ di tempo», mormorò lui, fissando la piccola che di corsa andava verso il giardino. In pochi mesi, Anahita lo aveva conquistato. Prima di quanto accaduto in Iran, era Stella che desiderava con tutte le sue forze un figlio. Lui inizialmente non ne era troppo convinto, ma da quando Ana era con loro, il suo atteggiamento scettico verso i bambini era mutato in maniera radicale. Avrebbe fatto di tutto per difenderla, e quella era la ragione per cui non aveva detto nulla a Viola.
Stella si appoggiò con la schiena al bancone e incrociò le gambe flessuose l’una sull’altra. «Se è venuta fin qui, comunque, è perché ha visto il giornale…», aggiunse, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Lui alzò le spalle e si limitò invece a fissare il recipiente con l’acqua che lei ancora teneva in mano. Se Stella era guarita e soprattutto se la piccola Anahita era ancora lì con loro, il merito era proprio di quella bottiglia. E delle altre centinaia che aveva stipato nella cantina del casale.
Alcuni mesi prima, dopo il loro rientro in Italia, quando alla piccola Anahita erano stati dati soltanto sei mesi di vita, Henkel e Stella avevano ripensato alle parole di Viola. Nonostante l’agente Vaticano non credesse alle sue cabale, lei si era invece convinta che l’interpretazione della Genesi fatta dal sottotenente potesse avere un fondo di verità. Dopo aver effettuato alcune ricerche, avevano così studiato le teorie menzionate da Elisabeth sul cosiddetto fenomeno chiamato “memoria dell’acqua”. Si trattava di una particolare proprietà, peraltro mai dimostrata, che consentiva ai liquidi di “ricordare”, anche a distanza di millenni, le sostanze con le quali entravano in contatto.
Stella, proprio come Viola, si era convinta che la causa della sua guarigione fosse stata l’immersione nel torrente, dopo il tentativo di fuga. E così, con l’aiuto di un diplomatico iraniano, amico di famiglia, erano stati autorizzati a tornare nella regione dell’Azerbaigian orientale.
Ritrovare il luogo esatto non era stato semplice. Il terremoto avvenuto alcuni giorni prima del suo rapimento aveva dato però un aiuto determinante, lasciando segni inconfondibili sull’orografia di quelle valli.
Non lontano dalle paludi dell’Adji Chay, supportati da guide del luogo, erano risaliti alla vecchia base militare nella quale i cinesi erano atterrati. Da lì, percorrendo la strada 14 a nord di Marand si erano avventurati verso il massiccio del Mishodagh No Hunting. E alla fine, sul costone della montagna, si erano imbattuti in una frana che tagliava in due il sentiero. Il punto era quello, non c’erano dubbi: Stella era scesa e senza troppa fatica aveva ritrovato la fenditura che si affacciava sul torrente sotterraneo.
«È qui», aveva urlato, un sorriso raggiante sulle labbra. «La voragine deve essersi aperta a causa del terremoto… prima di me nessuno si era immerso in quest’acqua! È per questo che non se ne conoscono le proprietà».
Così, in un freddo pomeriggio di novembre, aiutati da alcuni geologi, avevano esaminato il terreno con carte satellitari e trivellazioni superficiali. Il responso era stato sorprendente: quella sorgente, che sembrava non incontrarsi mai con i corsi d’acqua superficiali vicini alla base GenARTIF, sgorgava però nel sottosuolo della medesima zona. Attraverso le rocce scorreva fino a valle, per poi riaffiorare proprio in quel punto. Non potevano sapere con quali sostanze fosse entrata in contatto quell’acqua in passato – e se davvero l’acqua avesse una memoria – ma una cosa era certa: nasceva nel luogo in cui millenni prima c’era stato il giardino dell’Eden. E soprattutto era miracolosa.
La riprova l’avevano avuta al loro rientro in Italia: avevano fatto bere ad Anahita una delle bottiglie portate dall’Iran e la sua salute era migliorata prodigiosamente in pochi giorni.
«Ana?». Stella, con il bicchiere in mano si avviò verso la porta, chiamando la bambina che scorrazzava nella veranda. «È ora di bere!».
«Non adesso, mamma», disse lei, in un italiano quasi impeccabile. Stava correndo dietro a un grosso golden retriever e non sembrava avesse intenzione di fermarsi.
«Sai cosa significa il tuo nome nella tua vecchia lingua, no?», le chiese Stella, con un buffetto, andandole incontro.
Lei si fermò per un istante, mostrandole il suo sorriso sdentato. «Anahita è la dea dell’acqua», recitò a memoria, quasi come se fosse una filastrocca.
«E allora bevi, da brava». Le porse il bicchiere e la bimba ingollò fino all’ultima goccia. «E non ti stancare troppo», le raccomandò poi.
Subito dopo Stella rientrò nel soggiorno, inondato da una tenue luce ambrata che penetrava trasversalmente dalla finestra. Andò accanto a Henkel e gli accarezzò i capelli. «Proprio non ti fidavi di Viola?», gli domandò, ricollegandosi alla conversazione avvenuta poco prima.
«Non è questo il punto», sospirò lui, «ma non possiamo permetterci che la guarigione di Ana arrivi alle orecchie sbagliate. Sai meglio di me cosa accade ai pazienti che rispondono troppo bene alle cure…».
Stella rimase per un istante in silenzio, poi annuì convinta. «E tu, invece, come ti senti?».
Anche se non lo dava a vedere, Henkel era ancora scosso per quanto accaduto. Ammettere che l’acqua del giardino dell’Eden fosse miracolosa equivaleva ad ammettere che ciò che raccontavano i rotoli poteva avere un fondo di verità. Non ne era certo e non voleva approfondire di più la questione, tuttavia l’unico risultato concreto era che aveva perso la fede.
Si limitò ad abbracciare Stella e a farla sedere sulle sue ginocchia. Poi le indicò il titolo sul giornale che era sistemato sul tavolo.
L’IDEA CHE CI SIANO ALTRE RAZZE E ALTRE INTELLIGENZE NON È CONTRARIA AL PENSIERO TRADIZIONALE CRISTIANO.
Il titolo era eloquente e anche l’articolo, tratto da una recente intervista di Camillo Perrone, non era da meno: «Tommaso d’Aquino», diceva il segretario di Stato Vaticano, «parla di molteplici mondi. La Bibbia è scienza divina, e l’universo potrebbe includere altri pianeti abitati da altri esseri creati dallo stesso Dio di amore».
Erano diversi giorni che sulla stampa italiana comparivano articoli dello stesso tenore. I rotoli erano in mano agli americani e non si poteva sapere quale uso ne avrebbero fatto. La Chiesa, tuttavia, con i suoi tempi e, soprattutto, a suo modo provava a mettere le mani avanti. Stava semplicemente preparando la strada a una verità che non avrebbe potuto nascondere ancora per molto.
In quel momento una miriade di pensieri si sarebbero dovuti far largo nella mente di Henkel: sugli Elohìm, sul paradiso terrestre, sull’esistenza stessa di una vita nell’aldilà. Si sarebbe dovuto chiedere se, come aveva detto Simonides, la religione e la mitologia erano facce della stessa medaglia: il modo che gli antichi avevano trovato per raccontarci una storia che si perde nei millenni. Si sarebbe dovuto fare decine di domande, eppure pensava solo a quella figlia che improvvisamente era diventata la cosa più importante della sua vita. E l’interrogativo che gli riempiva la mente era soltanto uno: fino a quando sarebbe durata la felicità che provava in quel momento?
Inspirando l’odore della primavera, volse lo sguardo verso la veranda. Anahita ondeggiava gioiosa sull’altalena con i lunghi capelli biondi che sembravano danzare alla luce del tramonto. Strinse la mano di Stella e sospirò.