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Venezia. 11:05.

-10:54:05 alla deadline.

 

La sede della Cassa di Risparmio di Venezia era una anomalia architettonica che mal conciliava il suo stile moderno con il gotico degli edifici circostanti.

Costruita negli anni Settanta su progetto degli architetti Nervi e Scattolin, dominava campo Manin con i suoi tre piani bianchi, squadrati e sorretti da pilastri metallici. Nella parte bassa, il perimetro era segnato da una fila di pannelli di cemento, interrotti soltanto dall’imponente cancellata bronzea d’ingresso.

Quando Andreas Henkel la varcò, l’atrio principale era semideserto.

«Come posso aiutarla?». Una guardia giurata di mezza età gli andò incontro con fare servizievole e le braccia larghe.

«Devo aprire una cassetta di sicurezza», bofonchiò lui, mostrando la chiave rinvenuta sul corpo di E.C. Non poteva sapere se i rotoli che avrebbero potuto salvare la vita di Stella si trovassero lì. L’istinto, tuttavia, gli suggeriva che era così.

«Mi segua».

I due si diressero verso una grande scalinata a forma di elica e salirono al piano superiore. Quando furono su un ballatoio, la guardia si infilò in una porta a vetri scorrevole. «Da questa parte», fece strada.

Di fronte a Henkel si aprì una sala ariosa e luminosa, con un soffitto di legno intarsiato sorretto da quattro colonne. Da una parte la grande vetrata dominava l’atrio sottostante, dall’altra, sul lato affacciato su campo San Luca, erano sistemati due muri di cassette di sicurezza.

L’agente dell’SSV seguì la guardia giurata fino a che non gli fu richiesto di inserire la piccola chiavetta metallica in un’apposita serratura. Uno dei cassettini si aprì e l’uomo aiutò Henkel a sistemare un contenitore metallico sul tavolo di una stanzetta attigua.

Quando fu rimasto solo, l’agente dell’SSV si sedette, emozionato. Appoggiò entrambe le mani sul parallelepipedo e lo tirò a sé. Era una scatola d’acciaio, alta una quindicina di centimetri e lunga almeno cinquanta. Si apriva sollevando la parte superiore.

Ma non fece in tempo ad alzare il coperchio che una voce lo costrinse a fermarsi.

«Che intenzioni hai?».

Henkel si voltò di scatto verso l’ingresso del piccolo camerino, simile a quello di un centro commerciale. Immobile sulla soglia c’era Viola Puccini, sola: indossava l’uniforme dei carabinieri, sorrideva e teneva il berretto sotto braccio.

«Come hai fatto a trovarmi?», sbottò lui, tutt’altro che felice.

«Il collega del GIS… Ti ha visto prendere qualcosa dal corpo del Gran Maestro».

Henkel indugiò, indeciso su come comportarsi. Il suo orologio indicava una deadline di poco meno di undici ore. Non poteva perdere tempo e Viola era una seccatura.

«Se non fossi andato via così velocemente dalla biblioteca forse nessuno si sarebbe insospettito…».

«Nessuno tranne te, ovviamente!».

«Seguirti non è stato difficile…». Lei si richiuse la porta alle spalle e si sedette accanto a lui. Nonostante avessero chiesto l’aiuto dei carabinieri per salvare Savelli – che purtroppo però era morto ugualmente –, non avevano fatto riferimento ai rotoli rubati. «Cosa aspetti, non hai intenzione di aprire il contenitore?»

«Se qui dentro c’è davvero quello che cerco, tu cosa farai? Mi consegnerai ai tuoi colleghi?». Il fatto che fosse andata lì da sola poteva significare l’esatto opposto. D’altra parte, però, poteva semplicemente essere una trappola, per acquisire ulteriori elementi di prova che la discolpassero. Dopotutto, il solo scopo per il quale la ragazza l’aveva seguito nella sua avventura era proprio quello: dimostrare la sua innocenza.

Viola gli puntò addosso gli occhi verdi ma non rispose.

«Se sono venuto da solo c’è un motivo… Alza le mani», ingiunse invece lui, con il cuore pesante per ciò che aveva deciso di fare. Le istruzioni di Van Buuren erano chiarissime, purtroppo: «Se chiama la polizia, la guardia svizzera o anche solo la ronda di quartiere, Stella muore subito… e il nostro accordo salta».

Viola, esterrefatta, era incapace di muovere un solo muscolo. Riuscì a spostarsi dalla sua posizione solo quando vide comparire una piccola Colt sotto il maglione di Henkel.

«Mi spiace, non ho scelta… non posso presentarmi con un carabiniere», aggiunse. Poi afferrò le manette alla cintura della ragazza e le gettò sul tavolo. «Legale alla sedia e infilatele ai polsi».

Lei eseguì, lentamente e con lo sguardo pieno di emozioni che Henkel non riuscì a decifrare. «Potrei urlare», protestò sommessamente.

«Potresti… ma non lo farai», replicò Andreas. Subito dopo girò la chiave nella toppa della cassetta di sicurezza e sollevò il coperchio, mostrando anche a lei il contenuto.

Lo contemplarono alla luce bianca del neon, senza fiatare. Poi Henkel alzò il capo verso Viola. I loro sguardi si incrociarono, molto più complici di quanto lui stesso avrebbe desiderato.

Quella fase di stallo durò un tempo indefinito, interrotto solo da un pallido sorriso che via via si andava dipingendo sul viso dell’agente dell’SSV: i rotoli di papiro, dall’aspetto fibroso e del diametro di una moneta erano lì, giunti fino a lui dopo un lunghissimo viaggio.

Un viaggio durato tremilasettecento anni…