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Firenze, 23 ottobre. 09:20.
-60:39:43 alla deadline.
Andreas Henkel scrutò la propria immagine riflessa nel display dell’orologio.
Durante il viaggio fino a Firenze, si era reso conto che quel dispositivo non indicava soltanto il conto alla rovescia. Premendo sullo schermo touch infatti, si potevano visualizzare altri parametri biometrici, con ogni probabilità di Stella. C’era la pressione sanguigna, i battiti cardiaci e una serie di altri valori che non era stato in grado di identificare.
Era evidente quindi che quello smartwatch fosse collegato via wireless ai rapitori. Ricordando il lieve fastidio al polso quando glielo avevano infilato – simile alla puntura di un ago che entra sotto pelle –, sospettò che i suoi parametri vitali fossero monitorati allo stesso modo. Non poteva esserne certo, ma probabilmente anche la sua posizione era sotto controllo.
Se era così, adesso Herman Van Buuren, ammesso che fosse il suo vero nome, sapeva che si trovava a Firenze.
La scelta di rimettersi in macchina era stata obbligata. Monsignor Savelli era stato fin troppo convincente. Pur avendo ammesso di aver falsificato alcuni documenti, infatti, era evidente che i papiri non erano in suo possesso. Certo, di sicuro nascondeva qualcosa, e con ogni probabilità aveva intenzione di servirsi di lui, tuttavia la scelta di parlare con il gallerista era del tutto sensata.
Purtroppo però era arrivato tardi. Quando, pochi minuti prima, aveva imboccato l’uscita di Firenze Impruneta, aveva sentito alla radio del delitto. Le informazioni erano ancora scarne e frammentarie, tuttavia gli avevano fornito almeno il luogo in cui era stato assassinato Atilio García Paolini.
E così aveva deciso di dare un’occhiata.
Infilò le mani nel giubbotto e si incamminò sul selciato di Ponte Vecchio.
Poté fare solo pochi passi perché nei pressi della gioielleria Gerardi sostavano alcuni agenti della polizia locale, l’auto parcheggiata di traverso. Poco oltre si vedeva una decina di teste che si muovevano freneticamente senza una meta precisa. C’erano diversi uomini in uniforme e in lontananza si scorgeva il riflesso blu dei lampeggianti di un’ambulanza.
Henkel rifletté, immobile, con lo sguardo fisso sulla torre dei Mannelli imbacuccata per un restauro.
«Se chiama la polizia, la guardia svizzera o anche solo la ronda di quartiere, Stella muore subito… e il nostro accordo salta». Le istruzioni di Van Buuren erano fin troppo chiare ma, senza rivelare chi era, difficilmente avrebbe potuto ottenere informazioni utili.
Verificò ancora il display dell’orologio: segnava sessanta ore alla deadline. Due giorni e mezzo. Il tempo continuava a scorrere inesorabilmente. Non aveva scelta.
Estrasse il tesserino della Gendarmeria e si avvicinò lentamente, facendosi largo tra un nugolo di curiosi che sostavano su via Por Santa Maria.
«Posso farle qualche domanda?», fece, rivolto a un’agente in divisa.
Contemporaneamente, Viola Puccini era appoggiata alla balaustra di Ponte Vecchio, nella campata centrale, di fronte al busto di Benvenuto Cellini.
Un pallido sole si affacciava da oltre la coltre di nubi e l’aria era fredda e impregnata d’umidità. L’Arno, basso e scuro, scorreva placido sotto di lei.
«È certo di non averlo visto in viso?», domandò il sottotenente al testimone che aveva assistito all’omicidio.
Il netturbino, minuto e intabarrato in un giaccone arancione, fece una smorfia. Aveva i capelli bianchi e radi e la pelle butterata. Le labbra erano screpolate e lasciavano intravedere un notevole spazio tra gli incisivi. «L’ho visto per una frazione di secondo», rispose con calma, un lieve fischio nella voce.
«Da dove arrivava esattamente?». Viola fece passare lo sguardo dal testimone al capitano Aruta, che stava parlando con un appuntato. Era a cinque metri da lei, nei pressi della cancellata del monumento, a cui erano attaccate centinaia di lucchetti. Il cadavere era ancora lì, girato su un fianco e coperto da un lenzuolo.
«Veniva dal Lungarno… ma non ho visto da dove», bofonchiò il netturbino.
«Che tipo di motoveicolo guidava? Se lo ricorda?»
«Uno scooter. Grosso. Grigio. O forse nero…».
Viola scosse il capo impercettibilmente, ma insistette: «Ricorda la targa? O almeno la marca?».
L’uomo, con lo sguardo vuoto, fece cenno di no.
«Mi racconti cosa è accaduto dopo che lo scooter l’ha superata».
«Niente. Si è fermato lì». Gesticolò, indicando il corpo per terra. «Il tizio ha estratto una pistola e ha sparato. È successo tutto in un attimo…».
«E non si sono parlati? L’aggressore è semplicemente arrivato, si è fermato, ha sparato e se ne è andato?». Viola era incredula, oltre che irritata. Quella conversazione non l’avrebbe portata da nessuna parte.
Il testimone fece spallucce, ma in quell’istante la radio di uno dei carabinieri, poco lontano da lei, gracchiò.
«Chi?», riuscì a udire Viola. «Un attimo».
Una voce femminile parlò velocemente attraverso l’altoparlante. Poi l’agente alzò il capo, l’aria timorosa.
«Cosa succede?», gli chiese lei.
«C’è un uomo», indugiò il collega. Sembrava non volesse proseguire la frase. «Dice di essere della Gendarmeria Vaticana… E di avere notizie importanti. Vuole parlare con qualcuno che si occupa dell’indagine».
«Gendarmeria?». Il viso di Viola si illuminò di colpo. Il Vaticano si interessava al caso? Forse dunque era vero che la Bibbia rubata era connessa, come lei credeva, a quegli omicidi. «Lo faccia passare».
Quando la radio dell’agente della polizia emise un nuovo sibilo, pochi istanti più tardi, il gigante soprannominato il Toro era poco distante. Stava in piedi, tra i numerosi curiosi assiepati sul Lungarno degli Acciaiuoli e fissava con grande stupore il viso di Andreas Henkel.
Dopo aver sparato a Paolini era tornato sul luogo del delitto. Sperava che qualcuno dei suoi obiettivi si facesse vivo e gli facilitasse il compito. Ma invece di trovare ciò che si aspettava era comparsa la figura muscolosa di Henkel.
Lo conosceva bene e sapeva che trovarselo lì era un problema per il prosieguo della missione.
Un grosso problema.
Mise la mano sul calcio della sua Beretta PX4 Storm e per un secondo valutò se prendere iniziative. Studiò ancora Henkel. La spia dell’SSV parlava animatamente con la poliziotta e gesticolava a pochi metri da lui. Non passò un secondo che lo vide sorridere, stringere la mano all’agente e avviarsi verso il centro del ponte.
Il Toro sospirò e si mordicchiò il labbro. Decise che non poteva prendere iniziative senza sapere se Henkel fosse a conoscenza della missione. Si voltò dalla parte opposta e, invece di estrarre l’arma, afferrò lo smartphone. Compose un numero di Venezia e attese.