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Firenze. 08:50.
La sede del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Firenze si trovava a palazzo Pitti, un edificio massiccio e austero che domina dall’alto il quartiere d’Oltrarno.
La gazzella dei carabinieri vi arrivò poco prima delle nove e si fermò di fronte all’ingresso del giardino di Boboli. Aveva appena lasciato piazza della Signoria, dove aveva accompagnato Fabio Aruta e Viola Puccini. Il colloquio con Paolini non era servito a nulla e così, prima di riportare la ragazza al suo comando, il capitano era voluto tornare alla casa d’aste. Il nuovo sopralluogo, tuttavia, non aveva fornito elementi che collegassero l’attentato alla morte del frate.
«Grazie per il suo aiuto». Aruta, seduto sul sedile del passeggero, si voltò verso Viola, che invece si era accomodata dietro. Mentre pronunciava quelle parole sorrise all’autista, ma nella sua espressione non c’era divertimento. L’idea di chiamare un esperto del Nucleo era stata del superiore della ragazza, il dottor Randazzo, e lui non ne era stato particolarmente felice. Soprattutto quando aveva saputo il nome del sottotenente che gli avevano assegnato.
Viola Puccini passava per una raccomandata di ferro senza particolare esperienza. Una che dopo l’Accademia e pochi anni di Compagnia era stata trasferita esattamente dove i maligni avevano previsto sarebbe andata.
Il padre, il mitico Achille Puccini, era stato uno dei comandanti più stimati del Nucleo per la tutela del patrimonio. Purtroppo, era diventato suo malgrado un eroe nazionale. Nel 2003, quando era a capo dell’operazione Antica Babilonia in Iraq – la missione condotta dai carabinieri nell’ambito della MSU, la Forza Multinazionale di Pace – aveva trovato la morte in un terribile attentato.
Viola, all’epoca molto giovane, aveva preso la parola durante il suo funerale. Pur pronunciando parole dure aveva ricordato il grande amore del padre per il corpo dei carabinieri.
«Amava l’Arma più della sua famiglia», aveva detto, con le lacrime agli occhi. «Per lui, proteggere i beni culturali era una ragione di vita. Noi tutti siamo chiamati a raccogliere la sua eredità. Non permettiamo che sia morto inutilmente!».
I maligni sostenevano che il dottor Randazzo, amico fraterno di Achille, fosse rimasto molto colpito dalle sue parole. Si diceva che l’avesse presa in simpatia e che fosse stato lui a convincerla a entrare nei carabinieri.
Uscita dall’Accademia, Viola si era così perfezionata alla Scuola Ufficiali di Roma e poi era stata assegnata, come sottotenente, alla compagnia di Gallarate. Lì si era occupata per lo più di reati minori, truffe con carte di credito e traffico di documenti falsi. Successivamente era arrivato l’ultimo passo, quello che i più le contestavano: anche se era priva di esperienza, era stata destinata dal Comando Generale dell’Arma al nucleo in cui aveva lavorato suo padre.
«Quindi è convinto che l’attentato e la morte di Zonca non siano collegati?». Viola si sporse tra i due sedili.
«Lei cosa crede, sottotenente?». Aruta fece schioccare le nocche delle mani e si voltò verso la chiesa di Santa Felicita.
«Io non credo alle coincidenze», rispose lei sorridendo. «La lettera del Milleduecento potrebbe in qualche modo essere connessa alla Bibbia rubata, o comunque fornire elementi utili. Come le ho accennato, però, il testo non è perfettamente leggibile. Potrebbe valere la pena visionare l’originale a Bologna». Viola fece una pausa. «Se ritiene posso occuparmene personalmente…».
«Va bene. Faccia pure, se lo crede utile», la congedò il capitano, pur ritenendolo del tutto superfluo. «Se ha novità non esiti a contattarmi».
Per un secondo la ragazza rimase immobile. Aveva qualcosa sulla punta della lingua e sembrava indecisa se aggiungerlo o meno. Alla fine, seppur con timidezza, provò: «E poi c’è Paolini… Per me nasconde qualcosa!».
«Cosa intende?». Aruta si voltò verso di lei, con l’espressione di chi è infastidito dal ronzio di una mosca. Non voleva darle l’impressione di essere scortese, e quindi, seppur a malincuore, decise di ascoltarla.
«Per lui, ai fini economici, vendere i rotoli o farseli rubare non faceva molta differenza, visto che l’assicurazione lo risarcirà».
«Questo non lo collega al frate ucciso, però», fece notare il superiore. «Né fornisce elementi per ritenere che il furto della Bibbia sia in qualche modo connesso all’omicidio».
Viola non replicò ulteriormente. Era evidente che il capitano non vedeva l’ora di togliersela di torno. Ma era troppo orgogliosa e sicura di sé per prendersela. Era convinta di essere un ottimo carabiniere e sapeva di avere ottenuto quel posto solo grazie ai suoi meriti.
La sua carriera nell’Arma non era stata facile come i maligni credevano. Fin da quando aveva messo piede all’Accademia di Modena non le avevano riservato alcun trattamento di riguardo. Ma era giusto così: era stata trattata come tutti gli altri allievi. Le avevano rasato i capelli e l’avevano alloggiata in camerate di soli uomini. Era stata sottoposta allo stesso duro addestramento, fatto di percorsi di guerra, flessioni e piegamenti, e aveva perfino rispettato gli stessi standard.
In quel momento il cellulare di Aruta squillò.
«Sì?», grugnì il capitano. In pochi istanti, il lieve sorriso che ancora aveva dipinto sulle labbra, si trasformò in un’espressione dura. «Quando?», domandò, brusco.
Viola lo fissò, in silenzio, pronta a scendere dalla macchina.
«Va bene. Arriviamo». Aruta chiuse la comunicazione, un’espressione rancorosa negli occhi. «Aspetti…».
«Perché?»
«Forse fa bene a non credere alle coincidenze. Paolini. È stato appena assassinato».
Viola non parve particolarmente colpita dalla notizia. «Se contiamo Zonca e anche i due morti durante l’attentato, quindi il bilancio sale a quattro… Un po’ troppi per ritenerli crimini indipendenti l’uno dagli altri».
Il capitano si passò un dito sul mento, scrutando nel vuoto. «A questo punto, sottotenente, se la sua teoria è corretta, mi domando che razza di Bibbia può spingere a uccidere quattro persone».