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Bologna. 12:35.

 

Come ogni giorno, per permettere ai frati di parlare tra loro, nel refettorio del convento di San Domenico non c’erano posti assegnati. La regola di Agostino, che prevedeva il silenzio durante i pasti, veniva infatti rispettata soltanto durante la quaresima. Nonostante ciò, il priore Angelo Cangiano era in silenzio, seduto da solo a un tavolone di ulivo nel centro della grande sala.

«Poi il Signore apparve a lui alle querce di Mamre», esclamò con enfasi, dal lato opposto della mensa, il frate addetto alle letture prima del pasto.

Padre Angelo abbassò lo sguardo. Era sfinito. La morte di un confratello aveva colpito duramente il morale dei domenicani e a lui erano toccati i compiti più gravosi. Nonostante la celebrazione della Liturgia fosse uno dei pilastri della sua giornata, in quel momento proprio non riusciva a concentrarsi. Ironia della sorte, la lettura scelta per l’inizio del pranzo era proprio il capitolo 18 della Genesi, uno dei passi di cui aveva discusso più animatamente con il povero Lamberto.

«Nei secoli la Bibbia è stata coperta da una coltre di mistero», lo aveva sferzato Zonca, in una delle loro ultime accese discussioni teologiche. «Sono stati inseriti concetti astratti che coprono il vero significato. Ci spingono a cercare più a fondo di ciò che appare chiaramente. Il lavoro di un esegeta è liberare il testo da queste sovrastrutture».

E un esegeta, un uomo che interpretava le Sacre Scritture, Lamberto lo era certamente… anche troppo, per i gusti del priore.

Lo aveva conosciuto oltre vent’anni prima, quando era solo un giovane novizio. Ma fin da subito si era rivelato una mente brillante. Aveva sempre tenuto un comportamento esemplare, partecipando alla vita comune e praticando i voti e le “osservanze”. Soprattutto, però, si era dedicato allo studio della Verità sacra.

Per l’Ordine domenicano i libri erano arma nostrae militiae – “le armi della nostra guerra” – e, secondo la Regola, i frati dovevano in ogni momento meditare o leggere qualcosa. Zonca aveva rispettato scrupolosamente quel canone. Aveva perfezionato il greco e l’ebraico e, approfittando delle migliaia di codici antichi custoditi nel convento, era diventato uno dei biblisti italiani più esperti.

Poi era arrivato il Bible Project di Gerusalemme e da quel momento, così pensava il priore, era germogliato il seme che gli aveva minato la ragione.

Padre Cangiano cercò di scacciare quei pensieri, provando a prestare maggiore attenzione alle parole che venivano dal pulpito.

«Si vada a prendere un po’ di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero», stava dicendo fra’ Faustino, interpretando le parole di Abramo. «Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore».

Eccolo lì il passo incriminato. In quei versetti, secondo Zonca, c’era la prova che in alcune parti la Bibbia non parlava affatto di Dio. Yahweh, il nome che le Scritture traducono con “Signore”, non aveva infatti nulla di spirituale. Il termine ebraico con cui veniva definito Yahweh era ish milchamah, letteralmente “uomo di guerra”. In altri casi, i testi lo chiamavano semplicemente ish, “individuo maschio”, cioè un uomo che nulla aveva a che fare con la divinità e con il suo significato teologico.

A conferma di ciò la situazione descritta nella Genesi appariva molto concreta: ammesso che Yahweh fosse davvero Dio in persona, sosteneva Zonca, bisognava accettare che si muovesse a piedi, si sporcasse, si stancasse, avesse necessità di rifocillarsi e di lavarsi.

Il priore Angelo Cangiano ovviamente la pensava in modo diverso. Anche se Lamberto continuava a dichiararsi “credente”, lui riteneva il suo comportamento ai limiti dell’eresia. Glielo aveva più volte detto, l’aveva rimproverato, avevano discusso spesso anche animatamente. Ma il giovane aveva perseverato nei suoi studi fino a che il Signore, il giorno precedente, aveva troncato per sempre i suoi discorsi blasfemi.

Rallegrato a quel pensiero, padre Cangiano provò una volta per tutte a riflettere su qualcosa di più attuale: c’erano delle esequie da organizzare e dei fratelli da confortare.

Volse lo sguardo verso l’ingresso del refettorio e proprio in quell’istante notò fra’ Luigi, che nonostante la sua sciatica veniva a grandi falcate verso di lui.

«Priore, ci sono delle persone per te», gli sussurrò nell’orecchio, mettendo le mani a coppa. Appariva molto agitato. I pochi capelli bianchi sopra le orecchie erano arruffati, come se prima di decidere di disturbarlo si fosse grattato la tempia, pensoso.

«A quest’ora?», domandò padre Cangiano, lo sguardo perso nel piatto ancora vuoto davanti a sé.

«Sono carabinieri…».