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Base di ricerca Sito A, Nord dell’Iran. 00:13.
-00:16:58 alla deadline.
Xiaochen Zhao scattò in piedi, allarmata. Si precipitò alla grande vetrata del suo alloggio e cercò di scrutare in direzione dell’esplosione.
Fino a quel momento era rimasta sdraiata sulla sua chaise-longue di pelle, collegata alla solita flebo. Quella speciale soluzione, ancora non ufficialmente sul mercato, la faceva sentire meglio: purificava le sue arterie e alcalinizzava il PH corporeo. Per lei era diventato quasi un rito, si collegava alla boccetta e mentre aspettava che la sostanza le entrasse in circolo, fissava le sue cavie sul grande monitor a parete.
Quella sera era rimasta con gli occhi fissi sull’hangar 4 e sul suo unico occupante, il 45. Stella Rosati, legata a un tavolo metallico e con un grosso oggetto cilindrico in bocca, era ripresa da diverse angolazioni. Sembrava stesse dormendo. La donna, che inizialmente le era servita solo per riuscire a impossessarsi dei rotoli vecchi di tremilasettecento anni, si era dimostrata la cavia più promettente. Le sue analisi erano incoraggianti: finalmente sembrava che i suoi telomeri – il cui accorciamento è la principale causa biomolecolare dell’invecchiamento umano – si autoripristinassero totalmente come nelle cellule staminali.
Ed erano solo all’inizio. Le sequenze di DNA trovate nei papiri avevano confermato le sue teorie: c’erano tracce evidenti di un vegetale antenato della palma da dattero, la Phoenix dactylifera. Esattamente quello che avevano sintetizzato nella miscela 3. Certo, quei primi esperimenti erano stati portati avanti con i pochi resti fossili rinvenuti nella lettera di Bonifacio, ma presto le cose sarebbero migliorate: i papiri erano molto più antichi e per quella ragione con molti più frammenti da poter estrarre.
Dopo essersi sdraiata aveva così posato lo sguardo sulle riprese di Stella. Pochi minuti più tardi una forte esplosione aveva scosso la base.
E adesso si trovava alla finestra del suo alloggio con lo sguardo puntato su una colonna di fumo nero. «Cosa è successo?», sbraitò, stringendo il telefono con la sua mano minuta.
«I manifestanti…», si limitò a dire Henry Lee dall’altro capo, con un suono a metà tra un rantolo e un sospiro. «Sembra abbiano piazzato dell’esplosivo ai cancelli ovest».
«Mandate tutti gli uomini disponibili…», ordinò lei, con voce ferma. «Non possiamo permetterci che quei pezzenti riescano a entrare».
Al telefono ci fu un’indecisione. «Veramente… sono già dentro».
Xiaochen divenne verde di rabbia. Batté un pugno sul tavolo con tutta la sua forza. Subito dopo azionò i comandi dei monitor di sorveglianza e su una parte dello schermo comparvero le immagini dei cancelli: in quello principale si vedeva un fiume di gente che avanzava minaccioso verso gli hangar. Avevano cartelli in mano e urlavano slogan nella loro lingua. Ma non fu quello a terrorizzarla di più: anche il cancello secondario, l’ingresso B, era spalancato, con le due guardie di sorveglianza a terra.
Capì immediatamente cosa poteva essere accaduto: la bomba serviva solo a distrarre i suoi uomini dall’obiettivo principale.
Si strappò la flebo dall’avambraccio con un gesto d’ira e si diresse a grandi falcate verso l’ingresso. Lo aprì e si bloccò di colpo.
«Dove crede di andare?». Massoud Dinmohammadi le puntò la pistola alla fronte e la spinse all’interno dell’appartamento.