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Periferia Ovest di Gerusalemme, Israele. 13:25.

-33:34:59 alla deadline.

 

La vecchia Mercedes-Benz W126 seguì i cartelli per Sderot Begin e si lasciò il centro di Gerusalemme alle spalle.

Si trovavano sull’autostrada 1, l’arteria principale che si dirige verso le città della costa. Il traffico era tranquillo e tutto intorno, sulle collinette circostanti, scorrevano campi coltivati, ulivi, arbusti e palme. Sullo sfondo, nuvole spumose si stagliavano su un cielo azzurro. Alcune casette candide dal tetto in coppi rossi sbucavano come spine dai cespugli sulle alture.

«Avevi detto che ti saresti resa utile». Henkel strinse il volante e guardò fugacemente lo specchietto retrovisore. Ancora una volta aveva intavolato la conversazione in inglese, l’unica lingua che tutti e tre parlavano fluentemente. «A che punto sei?».

Elisabeth era sul sedile del passeggero con un ultrabook sulle ginocchia. Picchiettava sui tasti solo con gli indici ma a una velocità da far impallidire un pianista. «Intanto, mister Kevod, non mi pare di aver sentito un grazie per avervi trovato un’auto!», ghignò sarcastica. «Ti piace “signor Kevod”, o preferisci che ti chiami direttamente “gloria di Dio”?».

Mentre metteva la freccia per superare un furgoncino, Henkel si limitò a emettere un grugnito e a scuotere la testa. Anche se all’apparenza teneva il broncio, era inutile negarlo: quella ragazzina allampanata gli piaceva. A parte le sue folli teorie sugli UFO, Elisabeth – che per età avrebbe potuto essere tranquillamente sua figlia – si era dimostrata molto sveglia. Aveva compreso immediatamente la situazione e aveva afferrato l’unica opportunità di salvarsi: loro. Chissà, forse aveva anche altri motivi, ma nel frattempo valeva la pena farle fare gli onori di casa.

D’altra parte, anche se portarsela dietro era rischioso, avrebbe potuto realmente rendersi utile. Soprattutto perché, quando le avevano detto che la tappa successiva sarebbe stata Atene, lei si era subito attivata per aiutarli a espatriare. E non era una cosa affatto facile, in un Paese in cui i controlli di polizia erano a ogni angolo e i loro passaporti svizzeri erano rimasti nell’hotel.

«Dei documenti non dovete preoccuparvi», aveva sentenziato lei, dopo che Henkel le aveva raccontato per sommi capi cosa stava accadendo. Le aveva spiegato che loro erano del Vaticano e che i manoscritti degli Illuminati erano stati ritrovati qualche mese prima in Islanda. Purtroppo, aveva aggiunto, erano stati rubati e il loro compito era di ritrovarli.

«È stata una fortuna che i tuoi vicini ti abbiano prestato la macchina», intervenne Viola, affacciandosi dal sedile posteriore. «Non ne vedevo una così dagli anni Ottanta».

«A Issawiya sono sempre stati tutti molto gentili con me…», replicò lei, con un sobbalzo nella voce e senza alzare gli occhi dal computer.

«A che punto sei?», domandò ancora Henkel, questa volta con maggior tatto.

«In Grecia ci sono tre operatori telefonici mobili: WIND Hellas, Vodafone-Panafon e Cosmote», spiegò Elisabeth, con aria da maestrina. «Di solito i sistemi di protezione dei dati sono solidi. Quello che gli operatori curano di meno però è la sicurezza dei portali internet».

«Riesci a trovare quel numero o no?», insistette Henkel, che per un secondo distolse lo sguardo dall’asfalto per guardare lo schermo del computer.

Prima di partire dalla città, Elisabeth aveva voluto fermarsi davanti a una grande farmacia sormontata da una croce medica illuminata. Era entrata e ne era uscita pochi istanti più tardi senza spiegare il motivo della sosta. Poi si erano diretti dove lei aveva indicato, non prima, però, di aver deciso di fare un passo ulteriore: il Toro poteva già essere in viaggio verso la sua prossima vittima. La prima cosa da fare, nell’impossibilità di raggiungerla prima di lui, era quindi di avvisarla telefonicamente del pericolo. Poiché nell’elenco di Viola c’era soltanto l’indirizzo – e il telefono di casa suonava libero – era necessario riuscire a reperire un numero di cellulare. Sempre ammesso che ne avesse uno.

«Sei sicura di riuscire a violare tutti e tre i portali?», la interrogò il sottotenente, sporgendosi ancora tra i sedili.

«Non dobbiamo necessariamente violarli tutti. Non se siamo così fortunati da trovarlo al primo colpo…», rispose lei, con una punta di malizia. «E direi che lo siamo. Dimmi di nuovo come si chiama?».

Viola prese il foglio con i partecipanti all’asta e lesse l’ultima riga: «Yanis Simonides, 19B Mitropoleos & Pentelis Str. Syntagma, Athens, Attiki 10557».

Elisabeth sorrise. «Cosmote era il portale più facile da violare. Hanno duecentoquattro clienti di nome Yanis Simonides… ma solo uno risiede a quell’indirizzo!».

«Hai il numero quindi?»

«Jawohl, mister Kevod».

«Chiamiamolo!».

Nello stesso istante la Mercedes arrivò a uno svincolo con l’indicazione per Ascalona. Di fianco a loro adesso scorreva una serie di edifici dalle facciate candide e le imposte azzurre. L’aria cominciava a essere impregnata dell’odore del mare. «Di là», indicò Elisabeth, picchiando sul parabrezza con il dito. «Imbocca la Strada 3».

«Andiamo verso sud? Verso Gaza?». Henkel mise la freccia, chiaramente preoccupato. Sapeva che nelle aree limitrofe ai “Territori”, i controlli dell’esercito erano molto frequenti. Spesso i palestinesi lanciavano colpi di mortaio verso gli insediamenti al confine della striscia e così lo Stato d’Israele – che formalmente mantiene il controllo militare della zona fin dalla guerra dei sei giorni del 1967 – aveva intensificato il livello di guardia. «Mi vuoi dire esattamente come intendi fare a farci espatriare? L’aeroporto di Tel Aviv è dalla parte opposta!».

«Non ho mai detto che saremmo partiti da Ben Gurion», sentenziò lei, gelida. «Andiamo nella striscia di Gaza».