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Lugano, Svizzera. 21:10.

 

Il suono sommesso del telefono strappò Stella dai suoi sogni agitati.

Aprì gli occhi, respirando lentamente e stirando le braccia come se avesse dormito per dodici ore filate. Ma non era così: l’abat-jour della sua stanza d’hotel era ancora accesa e l’orologio sulla parete segnava le nove e dieci.

Si mise seduta sul letto e afferrò la cornetta sul comodino. «Sì?»

«Dottoressa Rosati, qui è la reception». La voce ebbe un’esitazione. «Scusi l’ora, ma volevo avvisarla che c’è la Polizia cantonale. Stanno salendo».

Stella non rispose e volse lo sguardo dall’altra parte del letto, ancora perfettamente in ordine. “Dov’è Andreas?”, si domandò.

L’iPad, abbandonato sul copriletto damascato, era ancora acceso sull’ultimo sito internet consultato. Se non era andato in standby, significava che doveva essersi appena appisolata. Era salita in camera da sola, dopo cena, e Andreas era rimasto nella hall, rassicurandola sul fatto che sarebbe arrivato subito.

“Studio legale de Chailly. Adozioni internazionali”, diceva la pagina del sito. Si vedevano scorrere le foto di famiglie felici alle prese con parchi giochi, piscine e giardini fioriti.

«Come forse saprà, gli Stati Uniti hanno ratificato la Convenzione dell’Aja del 1993», aveva esordito quella mattina l’avvocato Robert de Chailly. «Si tratta del principale strumento di tutela dei minori adottabili e degli aspiranti genitori adottivi. Il motivo della ratifica è che, non essendoci negli USA politiche sociali, ci sono oltre cinquecentomila minori che vivono nelle foster family care, le cosiddette famiglie affidatarie».

«E per quanto riguarda l’adozione come forma di prevenzione dell’aborto?», aveva domandato Stella, molto più interessata di quanto il suo tono avesse lasciato trasparire.

De Chailly aveva sorriso. Quella era la parte del suo lavoro in cui era più bravo, la ragione per la quale molti aspiranti genitori andavano da lui. «Naturalmente conoscete il fenomeno delle baby mamme. Ragazze spesso troppo giovani, o che non vogliono, o semplicemente che non hanno i mezzi per accudire i nascituri».

Stella si era limitata ad annuire.

«Esistono diverse organizzazioni che provano ad arginarlo. Alcune sono ONG ma molte altre sono vere e proprie agenzie. Sono loro che mettono in contatto queste ragazze con le aspiranti famiglie adottive».

«Al telefono mi diceva che la cosa è perfettamente legale», l’aveva incalzato Stella. Sapeva che in Italia, non essendo sposata, non aveva alcuna possibilità concreta di adottare un bambino. E anche dopo il matrimonio con Andreas Henkel, che le sedeva accanto in un silenzio meditabondo, le sarebbero occorsi anni per portare a termine le pratiche legali.

«Certo», aveva confermato l’avvocato, impettito nel suo abito blu. «Qui, nella Svizzera italiana, siamo in contatto con molte di queste agenzie. Sono necessari alcuni documenti e la redazione di pratiche che gestiamo normalmente. Una volta completata l’adozione in America, ci occuperemo di farvi ottenere il riconoscimento anche in Italia».

La voce roca del concierge la fece tornare brutalmente alla realtà. «Dottoressa Rosati, mi sente?»

«Come ha detto?», indagò lei, stupita e assonnata allo stesso tempo.

«La Polizia cantonale, signora. Stanno salendo alcuni agenti accompagnati da un ispettore».

«Polizia ha detto?», indagò di nuovo.

«Sì, hanno semplicemente chiesto il numero della camera e poi si sono diretti all’ascensore. Ormai saranno quasi…».

Stella non fece neppure in tempo a metabolizzare le parole del giovane addetto della reception che qualcuno bussò alla porta.

Sgusciò fuori dal letto e si infilò la vestaglia nera. Passando davanti allo specchio del corridoio si sistemò i capelli biondi alla meno peggio. Era sempre stata considerata da tutti una bella donna, aveva un fisico flessuoso, zigomi alti, labbra fini e naso dritto. I suoi occhi verdi, di solito vigili, in quel momento erano però spenti e stanchi e l’eye-liner era sbavato da un lato.

“Dove diavolo è Andreas?”, si domandò di nuovo, cercando di sistemare il trucco con il dito inumidito di saliva.

Ancora un bussare violento alla porta.

Scalza, si avvicinò all’ingresso della stanza e domandò: «Chi è?»

«Polizia cantonale, signora Rosati». La voce autoritaria, con un forte accento, confermò ciò che le aveva anticipato il concierge. «Apra!», ingiunse l’uomo.

Per un secondo Stella rimase immobile. Per quale ragione la polizia era lì?

«Signora Rosati, apra immediatamente!», fece eco la voce.

Mentre si avvicinava allo spioncino il pensiero le andò all’avvocato de Chailly. Non doveva essere tutto legale? E se non era per quello, per quale altra ragione quegli agenti stavano bussando alla sua porta? Dopotutto era arrivata in Svizzera da soltanto un giorno e nessuno sapeva che lei e Henkel erano lì.

Sospirò e girò la maniglia.