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Città del Vaticano. 05:45.
-64:14:23 alla deadline.
La Città del Vaticano era ancora avvolta dal buio quando Henkel attraversò nuovamente piazza Santa Marta. Era diretto a palazzo San Carlo, poco distante dall’alloggio di Camillo Perrone.
Raggiunto il portone a doppio battente, individuò l’interno 12A e suonò ripetutamente il campanello.
Era lì perché, subito dopo aver letto il testo completo dell’email, il segretario di Stato gli aveva esposto la sua teoria. Gli aveva rivelato che, dall’anno precedente, dopo lo scandalo Vatileaks, alcuni alti prelati del Vaticano erano sottoposti a inchieste interne.
Uno degli indagati era proprio il prefetto degli Archivi Segreti Vaticani. Monsignor Raniero Savelli era accusato di aver distratto fondi dallo IOR per ristrutturare un grande attico nel quale si era da poco trasferito. Si trattava di una reggia a tutti gli effetti: quasi quattrocento metri quadrati che erano stati ottenuti unendo due appartamenti prima occupati da altri cardinali.
Il motivo della censura sulla email poteva quindi essere molto più semplice di quanto avevano immaginato: aveva lo scopo di nascondere dei fondi neri.
«Il meccanismo è piuttosto banale, a dire il vero», aveva spiegato Perrone, mentre mostrava un fascicolo rilegato a Henkel. «Ma se alcuni funzionari sono compiacenti, magari perché ben pagati, è possibile. Vedi?»
«Cosa devo guardare con precisione?». Henkel aveva davanti quello che sembrava il testo dattiloscritto di una legge, diviso in articoli e con alcune tabelle già evidenziate.
«Come sai, il regolamento dell’APSA prevede che il prelato segretario invii alla Segreteria di Stato alcuni verbali…». L’APSA era la struttura del Vaticano che si occupava dell’amministrazione del patrimonio della Santa Sede. «Nell’ultima commissione cardinalizia, cinque giorni fa, è stato approvato un restauro da due milioni di euro per generici “reperti degli archivi”. La richiesta è direttamente di Savelli».
Henkel aveva annuito.
«L’avevo già notato. È stato fatto tutto con molta fretta, senza un progetto preciso e con un preventivo a dir poco sintetico».
«Cosa intende?». Henkel aveva incrociato le braccia. Era evidente che i sospetti del segretario di Stato sulle attività di Savelli fossero maturati molto tempo prima del suo improvviso arrivo.
«La cifra, intanto. Due milioni di euro tondi tondi. Non un euro di più, non uno di meno», aveva proseguito Perrone, sfiorando il foglio con l’indice. «E poi è tutto troppo generico, nessun dettaglio. Né autorizzazioni, né pareri. Qui gli unici documenti sono quelli firmati da Savelli stesso…».
«Sta dicendo che il prefetto ha usato la banale scusa di un restauro per crearsi un fondo nero di due milioni di euro?»
«Non è un’ipotesi così peregrina…».
«Ok. Ammettiamo che lei abbia ragione», aveva tagliato corto l’agente dell’SSV. «Mi sembra tutto troppo raffazzonato! Se ci siamo arrivati noi, in meno di mezz’ora, ci poteva arrivare chiunque!».
«È vero. Ma forse ha avuto poco tempo per organizzarsi. In effetti di solito è più accorto…».
Quelle parole avevano confermato i sospetti di Henkel: Perrone indagava sulle attività di Savelli certamente da molto tempo. Tuttavia in quel momento la sua attenzione si era spostata altrove. «E qual è la correlazione tra i fondi neri e i rotoli che stiamo cercando?»
«Guarda qui, sull’email di quel frate», Perrone aveva indicato un punto preciso della comunicazione. «Lamberto Zonca diceva di aver bisogno di due milioni di euro per partecipare all’asta. Era un importo che considerava “congruo”».
Osservando quei numeri, Henkel si era convinto che Perrone potesse avere ragione. Sulla lettera censurata erano sparite soltanto le informazioni relative agli importi dell’asta. Chi avesse fatto una ricerca non avrebbe trovato correlazioni tra i restauri richiesti da Savelli e quella email. Poi, casualmente, pochi giorni dopo, era comparsa una richiesta di finanziamento per dei restauri il cui costo ammontava proprio a due milioni di euro.
Non erano prove schiaccianti, tutt’altro. Poteva essere una banale coincidenza e per dimostrare il contrario sarebbero occorse altre indagini… Ma il tempo scarseggiava e così Henkel aveva deciso di parlarne con il diretto interessato. Magari mettendolo alle strette avrebbe potuto scoprire qualcosa di più.
«Ss-sì?», balbettò una voce assonnata al citofono del palazzo barocchetto di San Carlo.
«Gendarmeria Vaticana. Siamo qui per monsignor Savelli. Apra, per favore», Henkel mentì, ma il suo tono autoritario non lasciava spazio a repliche.
Il giovane prete, infatti, non se lo fece ripetere. In pochi secondi si catapultò giù dalle due rampe di scale e fu alla porta dell’edificio.
«Portami da lui!», ordinò Henkel, spingendolo all’interno ed estraendo una Sig Sauer P220.
Il giovane non emise un fiato. Alla vista della pistola il suo viso già pallido sbiancò del tutto.
«Chi è lei?», si informò Savelli subito dopo, appena i due attraversarono le colonne a spirale di marmo che delimitavano l’ingresso. Stava in piedi, lo sguardo vigile e l’aspetto rubicondo. Poteva avere una sessantina d’anni, era minuto e più basso di almeno una testa di Henkel. Il volto era ben rasato e i capelli biondo cenere, che gli cingevano la nuca e coprivano parte della fronte con un vistoso riporto, erano perfettamente pettinati. Nonostante l’ora, sembrava appena uscito dal barbiere.
Henkel fece una smorfia e tese il braccio con la pistola verso di lui. «So dei due milioni», lo ammonì, senza giri di parole. Immaginava che le telecamere di sorveglianza lo avessero ripreso, quindi aveva i minuti contati. «Risponda alle mie domande e non le accadrà nulla».
Savelli indugiò, in silenzio, spostando il peso da un piede all’altro. Poi, dopo qualche secondo, guardò il suo segretario. «È tutto apposto, Leandro. Torna a letto. So cosa vuole il nostro ospite».
Il giovane parve titubante, ma alla fine fu felice di scomparire dietro una porta coperta da un fine tendaggio.
«Sa chi sono, vero?». Henkel ripose l’arma nel giubbotto. Il suo bersaglio era inerme: impalato nel centro di un locale sontuoso, che paragonato all’alloggio di Perrone sembrava la reggia di Versailles.
«Immaginavo sarebbe arrivato qualcuno, ma addirittura il cane da guardia del pontefice…».
«Dove sono i rotoli?». L’agente dell’SSV non cadde nella provocazione. «Per ora non sono interessato al suo attico, né ai fondi che ha utilizzato per ristrutturarlo».
«È venuto fin qui per nulla, signor Henkel», lo rimbeccò Savelli e, incurante dell’intruso, si diresse all’angolo bar. «Si trattava di reperti troppo importanti per lasciare che se li aggiudicasse qualche fanatico. Temo però che sia arrivato tardi!».
Henkel avanzò sul pavimento di marmo lucente e si fermò sotto un grande lampadario di cristallo. Il prefetto degli Archivi Segreti era immobile con due calici in mano, il viso impassibile.
«C’è stato un attentato, l’avrà saputo…». Gli porse un bicchiere, ma l’agente non mosse un dito per prenderlo. Savelli non sembrò preoccuparsene e andò verso un salottino Luigi XIV. «È vero: avevo predisposto i documenti per l’asta e avevo dovuto arrangiarmi velocemente a trovare la copertura finanziaria. Purtroppo è stato tutto inutile; qualcuno ha giocato d’anticipo».
«Non le credo». Henkel scosse il capo e, ripensando alle parole di Van Buuren, lo accusò: «C’è lei dietro il furto!».
Il prefetto sorrise appena e si lasciò cadere sui soffici cuscini di velluto color crema. «Francamente non mi interessa ciò che crede… tuttavia posso provarle che io non c’entro». Savelli gesticolò con la mano e indicò il grande tavolo di cristallo alle spalle dell’agente. Sopra facevano bella mostra di sé due vasi di fiori con composizioni di calle e gigli. Accanto c’era un computer portatile chiuso. «Lo apra».
Henkel eseguì e il MacBook Air si accese all’istante.
«Quello che vede è il portale d’accesso a un conto offshore. I due milioni che lei ha scoperto sono ancora tutti lì. Compresa la cauzione».
Andreas si concentrò sulla schermata che aveva di fronte. Si vedevano il saldo e i movimenti eseguiti. In effetti, l’unico versamento su quel conto era di tre giorni prima: 2.000.000,00. C’era poi un solo bonifico in uscita di duecentomila euro a favore della casa d’aste, che però era stato stornato il pomeriggio precedente.
«…Visto che la cauzione è stata appena restituita, potrà immaginare che l’asta non è andata come ci auguravamo». Savelli si stava riferendo al fatto che nelle procedure di gara la cauzione provvisoria – ovvero l’importo corrisposto in anticipo per rendere credibile l’interesse per un determinato lotto – viene resa a tutti i partecipanti che non siano risultati vincitori.
«Sul fatto che i rotoli non siano stati venduti non ci sono dubbi», sottolineò Henkel. Intanto, con il trackpad, cambiò schermata per assicurarsi che quelle pagine non contenessero qualche trabocchetto studiato ad arte.
«So a cosa sta pensando… ma organizzare un attentato con i soldi del Vaticano, per quanto possano parlar male di me, non è proprio nel mio stile. Potrà inoltre immaginare quanto siano importanti e delicati quei rotoli di papiro».
L’agente dell’SSV lo fissò. Lo trovava spregevole, ma i dati che aveva visto sul computer, dando per scontato che non potevano essere stati preparati in anticipo, sembravano credibili. Così come la sua storia. Oltretutto, se il prefetto aveva dovuto occultare dei fondi neri per partecipare all’asta, evidentemente non aveva altre disponibilità di denaro. Non avrebbe quindi neppure potuto pagare dei mercenari, come pensava l’olandese.
«La domanda che mi faccio da questa mattina è la seguente», rincarò la dose Savelli, vedendo Henkel dubbioso. «Chi ci guadagna dal furto? Oltre ai ladri stessi, intendo».
«Sta insinuando che dietro l’attentato ci potrebbe essere la casa d’aste? Una truffa all’assicurazione forse?»
«Questo non lo so… quello di cui sono certo è che i Lloyd’s di Londra staccheranno un considerevole assegno a favore di Paolini», concluse il prefetto. «Se vuole i rotoli, come li voglio io, le consiglio di seguire il denaro. Di solito è un buon inizio».