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Roma. 6 ore prima.
«Eccolo. Quello è il nostro attentatore!». Viola Puccini era in piedi nella centrale operativa dei carabinieri, di fronte a un grande schermo OLED. Davanti a lei scorrevano al rallentatore le immagini dell’omicidio di Simonides.
L’idea di contattare i suoi colleghi le era venuta poco dopo il colloquio con Perrone. Il prefetto Savelli probabilmente era in pericolo di vita: era l’occasione giusta per mettere in pratica il piano che l’avrebbe scagionata. Un piano che, con una prontezza di spirito che non sospettava neppure di possedere, era riuscita a escogitare quando ancora erano ad Atene.
La sera precedente, durante l’aggressione in cui era stato ucciso il genetista, aveva avuto la fortuna di rifugiarsi in un antro nel retro del locale. Davanti a lei si erano materializzati una fila di monitor e un piccolo server IBM che gestiva la videosorveglianza.
«È il Toro», aveva sussurrato, mentre le pallottole fendevano l’aria ed Elisabeth carponi strisciava verso la stanzetta. Subito dopo, appena prima del terzo sparo, aveva avuto un’illuminazione: aveva aperto i tray – gli appositi cassettini in cui erano alloggiati i supporti di memoria che registravano i video – e aveva estratto due dischi di metallo, scollegandoli da un ciuffo di cavi colorati. In seguito il killer aveva rinunciato a uccidere anche loro e lei, Andreas e l’israeliana erano riusciti a fuggire.
«Ho le immagini dell’uomo che ha ucciso tutti i partecipanti all’asta», aveva esordito al telefono poche ore dopo. Si trovava già a Roma, nell’appartamento di Henkel, e avevano appena scoperto che Savelli si era recato a Venezia. Nonostante la tarda ora, il colonnello Aurelio Randazzo, l’unico nell’Arma che avrebbe davvero potuto aiutarla, aveva risposto al cellulare.
E adesso erano lì, nel vicino edificio di piazza San Lorenzo in Lucina, catapultati nella modernissima sala operativa dei carabinieri. Le otto postazioni informatiche, dotate di schermi piatti, erano tutte occupate da agenti indaffarati e sui display a parete scorrevano le immagini del Toro. C’era un andirivieni continuo di militari e il telefono non smetteva un istante di squillare.
«È la prima volta che disponiamo di immagini così nitide di quell’uomo», constatò Randazzo, collegato in videoconferenza.
Dopo che Viola gli aveva raccontato dettagliatamente ciò che era accaduto negli ultimi giorni, era stato lui a mobilitare la centrale operativa e a indirizzare la giovane ricercata lì. Si era quindi assunto personalmente la responsabilità di quell’ordine e per farlo aveva dovuto smuovere anche importanti conoscenze personali. Se le cose, tuttavia, erano davvero andate come gli era stato descritto, il sottotenente Puccini veniva del tutto scagionato…
«Avete inserito i dati nel database? Ci sono riscontri con le immagini di cui disponevamo già?», chiese l’ufficiale.
«I video a circuito chiuso della stazione di Firenze, quelli dell’omicidio del frate, non sono chiari», replicò un carabiniere. Nel frattempo, aprì e accese il vecchio portatile che era stato proprio di Lamberto Zonca e che Viola gli aveva consegnato poco prima. «È possibile però estrapolare alcuni punti del reticolo facciale del sospetto», continuò. «Se li incrociamo con le nuove immagini emerge una corrispondenza del novantaquattro percento».
L’ufficiale annuì, soddisfatto. «Avete verificato anche le riprese fatte dalle telecamere di sorveglianza nella zona della casa d’aste?».
Da un’altra postazione, una giovane agente, con i capelli biondi raccolti in uno chignon, rispose senza alzare gli occhi dal display. «I carabinieri di Firenze avevano richiesto al Comune e ad alcuni privati i video di sorveglianza delle ore precedenti l’attentato. Abbiamo appena effettuato un incrocio con il nuovo reticolo facciale e il Weblase ci dà un riscontro: la telecamera di un bancomat… nei pressi di piazza della Signoria».
«Guardate…», commentò Henkel, avvicinandosi al monitor dell’agente, in cui si vedeva un’immagine in bianco e nero del Toro. «Sembra tener d’occhio l’ingresso di Paolini. E la ripresa è delle nove e quindici del 22 ottobre!».
«Mezz’ora prima dell’attentato».
«Ottimo lavoro, sottotenente Puccini», si complimentò Randazzo, il viso stanco ma sorridente che campeggiava dal grande schermo a parete. «Queste immagini collocano l’uomo sulla scena del crimine… e insieme al referto della balistica dimostrano la sua innocenza!». Il colonnello si riferiva al fatto che durante quella giornata era anche arrivato il rapporto sulla morte di Aruta. Il capitano era stato colpito da un proiettile calibro 11.45 che non poteva essere stato esploso da una Beretta 92, l’arma d’ordinanza di Viola.
«Ho un altro riscontro», intervenne all’improvviso la bionda, dalla sua postazione. «È di mezz’ora fa: il sospettato è arrivato alla stazione di Venezia Santa Lucia». Conoscendo il successivo obiettivo del killer, poco prima le immagini di Viola erano state inviate anche ai carabinieri di Venezia. Evidentemente il Toro era stato riconosciuto.
«Savelli è in pericolo!». Henkel incrociò le braccia.
«Potrebbe essere diretto alla sede dei Cavalieri o addirittura all’hotel Danieli», aggiunse Viola, orgogliosa del ruolo determinante che aveva avuto in quella scoperta.
«Allertate i GIS», ordinò Randazzo, riferendosi al Gruppo di Intervento Speciale dei carabinieri «Teniamo d’occhio entrambe le sedi e all’occorrenza interveniamo!».