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Firenze. 23:30.

 

«Il tizio muscoloso era lì». Il sottotenente Viola Puccini era sulla banchina numero 8 della stazione di Santa Maria Novella. Teneva lo sguardo fisso su un tablet, mentre un carabiniere in divisa ne sfiorava lo schermo con l’indice. «Se ne resta immobile per tutto il tempo… Aspetta che arrivi il treno, fa due passi avanti e poi spinge la vittima sui binari».

«Mi faccia rivedere le immagini», ordinò il capitano Aruta, a pochi passi di distanza insieme a un gruppetto di militari in divisa.

Il binario era stato chiuso e la zona delimitata con un nastro giallo. Dal marciapiede opposto, tuttavia, due fotografi avevano cominciato a scattare istantanee con grossi teleobiettivi. Il corpo dilaniato era coperto da un telo verde, ma in più punti si vedevano macchie di sangue.

Viola lo guardò in silenzio e poi attese che il carabiniere premesse nuovamente il tasto “play”. Sullo schermo ricomparvero le immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza. «Zonca era più o meno dove è lei adesso. L’aggressore è rimasto sempre alle sue spalle».

«Poi si sposta da questa parte… fino a qui». Il capitano, un omone di novanta chili con i capelli ricci striati di grigio, impersonò l’aggressore e andò verso Viola. «E infine lo spinge sotto il treno».

«E a quel punto alla vittima cade la lettera che aveva in mano. Questa», proseguì la giovane militare, mostrando il foglio, infilato in una busta per le prove. «Il motivo per cui mi avete voluto qui…».

«Il nome del frate era Lamberto Zonca», la interruppe, senza troppo riguardo, un terzo militare con i gradi di maresciallo. Si avvicinò ai due con l’andatura da cammello e proseguì. «Era un domenicano. È confermato che questa mattina fosse tra gli ospiti della casa d’aste. Ha riportato lievi ferite e dopo aver rilasciato la sua dichiarazione al PM è stato dimesso dal pronto soccorso».

Aruta ignorò Viola e si rivolse al carabiniere con un tono solenne. «Stando al primo rapporto, l’attentato è servito ai terroristi per rubare dei manoscritti antichi, di contenuto religioso. Il colonnello Randazzo crede che ci sia quindi una correlazione tra questo omicidio e quanto è successo da Paolini. A proposito, non c’erano telecamere alla casa d’aste, giusto?»

«Purtroppo no». Il giovane, con un’espressione vuota, sembrò studiare Viola. «Però abbiamo richiesto i video di sorveglianza a un paio di banche con sede nella zona. E il comune dispone di una rete di telecamere su parte della piazza…».

«Le due vittime di questa mattina sono state identificate?», insistette il capitano. «Abbiamo qualcosa di concreto su cui lavorare?»

«Si tratta di un uomo e di una donna, quasi sicuramente stranieri». Il maresciallo scosse la testa e allargò le braccia, come per giustificarsi. «Purtroppo non sappiamo ancora i loro nomi».

Aruta si morsicò il labbro inferiore e si chiuse in un silenzio meditabondo per diversi secondi. Nonostante non sembrasse che i due eventi fossero direttamente collegati, i suoi superiori gli avevano ordinato di considerare anche quell’ipotesi.

Nel frattempo, alcuni giornalisti si avvicinarono all’area delimitata con il nastro. «Possiamo fare qualche domanda?», si informò la prima, una trentenne con tacchi da dodici centimetri e pantaloni attillati.

Il capitano la fulminò con lo sguardo. Avrebbe voluto risponderle male ma l’altoparlante della stazione, che annunciava il ritardo di un Frecciabianca, lo dissuase. «E lei, dottoressa, cosa può dirmi della lettera?», sospirò, rivolto a Viola. Non era convinto che il sottotenente Puccini potesse rivelarsi realmente utile all’indagine, ma si sforzò di non darlo a vedere.

La giovane sorrise timidamente. Era immobile, le mani lungo i fianchi e lo sguardo fisso sui binari. I capelli neri tagliati a caschetto le sfioravano le spalle e il berretto con la fiamma, calato sulla fronte, metteva in risalto i suoi occhi verdi. Indossava i pantaloni con la banda rossa e la giacca dell’uniforme femminile allacciata in modo impeccabile.

Lavorava al Nucleo Tutela Patrimonio Culturale – il comando dei carabinieri che si occupava di prevenire i traffici di opere d’arte – da poco più di sei mesi ed era la prima volta che partecipava a un’indagine per omicidio. Nonostante fosse stata chiamata esclusivamente per la sua esperienza con reperti documentali medioevali, era però molto contenta di essere lì.

«Be’», cominciò Viola, fingendo di ignorare la poca considerazione che i colleghi le avevano dimostrato fino a quel momento. «Questa, purtroppo, è solo una copia. Sul retro viene indicato che è stata riprodotta su licenza del convento di San Domenico di Bologna, che immagino sia il titolare dell’originale. Per poter fare un’analisi completa bisognerebbe poterlo visionare, l’originale, intendo… In ogni caso, possiamo ipotizzare che la lettera sia stata scritta con un inchiostro ai sali di rame, che con il trascorrere dei secoli è divenuto verdastro».

«Vada avanti».

«È vergata di pugno e redatta completamente in latino. La forma lessicale è compatibile con un testo del milleduecento».

«E il contenuto?», chiese ancora Aruta. «Cosa dice esattamente? Può avere a che fare con i manoscritti religiosi rubati questa mattina», azzardò.

Viola controllò velocemente il testo. «È stata inviata da Bonifacio degli Aleramici, marchese del Monferrato, a un certo Poggi di Monte Renzolo, definito “magister dello Studium”. Dovrei verificare le fonti, ma la data del 1206 è coerente con la morte del marchese, che credo sia avvenuta un anno dopo».

«E di cosa parla?», la incalzò Aruta.

«Di alcuni documenti che l’Aleramici chiede di custodire all’amico».

«Non c’è altro?».

Viola scosse la testa, scettica. «La parte finale non si legge molto bene… Sembra comunque che parli di un Profeta, un uomo che visse “per oltre mille anni”».

«Matusalemme era un Profeta… e visse mille anni», la sferzò Aruta. «La Bibbia ne parla in più punti. Potrebbe essere la correlazione che cercavamo?». Non sembrava nemmeno lui troppo convinto.

E anche Viola parve dubbiosa. «A dire il vero sospetto che questo testo contenga qualcosa di più complesso… È possibile che ci siano riferimenti biblici. In effetti c’è un richiamo ad Abramo e a un Profeta, di cui peraltro non viene indicato il nome. La parte finale però, come le ho detto, appare poco leggibile».

Il capitano fece una smorfia, seccato. Poi andò verso gli altri militari che stavano completando il rilievo. «E invece dell’aggressore cosa sappiamo?»

«Era a capo scoperto», rispose uno dei tre, «ma sembrava sapere esattamente dove fossero le telecamere di sorveglianza. Dai filmati non si riesce a estrapolare nessuna immagine chiara dei suoi lineamenti. Forse aveva un pizzetto…».

«Insomma, non abbiamo nulla…», fece notare il capitano, fissando Viola con gli occhi socchiusi. «Suggerimenti?».

La ragazza si avvicinò e, agitando la lettera di Zonca, disse: «Se c’è una minima possibilità che i due crimini siano collegati, forse dovremmo parlare con il titolare della casa d’aste».