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Venezia. Pochi minuti dopo.
Una barca in mogano e ottone, con un’appariscente C dorata sulla chiglia, si staccò dal pontile di campo Manin e lentamente si addentrò nel canale.
E.C. si mise comodo nel centro dell’imbarcazione e diede un’ultima occhiata alla piazza già avvolta nell’oscurità. Oltre la statua di Luigi Borro, si stagliava la sagoma imponente della Cassa di Risparmio di Venezia, l’edificio dal quale era appena uscito.
Fino a quel momento, tutto era andato come programmato.
Ripensò ai quattordici rotoli consegnatigli dal Toro in autostrada due giorni prima e a tutte le difficoltà che aveva dovuto superare per essere lì in quel momento. Ma ne era valsa la pena: quei maledetti papiri erano adesso custoditi nel caveau della banca e nessuno avrebbe mai più potuto leggerli.
Anche i testimoni erano ormai tutti sistemati. Chi era a conoscenza del segreto, doveva morire. Lo aveva detto al Toro e ci credeva anche lui. Non gli interessava quale fosse il vero messaggio contenuto nei manoscritti degli Illuminati. Non voleva davvero sapere come un archeologo napoletano – interpretando indizi lasciati da Dante, Raffaello e Leonardo – li avesse rinvenuti in Islanda nonostante gli sforzi che aveva fatto per impedirlo. Non gli interessava neppure sapere se la Bibbia era stata davvero coperta da una coltre di misticismo per nascondere verità che non potevano essere rivelate. Ciò che gli premeva, la sola cosa importante, era salvare la Chiesa, consapevole che da sola non ci sarebbe potuta riuscire.
Il fatto che Raniero Savelli, un paio di settimane prima, lo avesse contattato per informarlo dell’asta da Paolini era stato un aiuto insperato. Il prefetto degli Archivi Segreti Vaticani aveva assicurato che sarebbe riuscito ad aggiudicarsi l’incanto, ma lasciare a lui una responsabilità così grande era un errore: Savelli era un inetto, che pensava solo alla sua carriera e al denaro, e i manoscritti degli Illuminati erano troppo preziosi.
E.C. aveva così contattato il suo più fidato collaboratore – lo stesso che alcuni mesi prima era andato alla ricerca dei rotoli in Islanda – e aveva messo in atto il suo piano. Era stato deciso che i papiri sarebbero stati rubati a quell’asta e che tutti i partecipanti sarebbero stati uccisi.
E così era avvenuto: durante l’attentato erano stati eliminati un russo e un’inglese. In seguito, tutti quelli che avevano potuto vedere i rotoli erano stati assassinati. Restava solo un ostacolo da eliminare, ma ci avrebbe pensato personalmente.
In quel momento il gondoliere dette una vogata energica e l’imbarcazione entrò lentamente nel bacino Orseolo rischiarato dai lampioni. Si trattava di uno degli imbarcaderi più frequentati di Venezia, una secca lagunare a forma di mezza luna nel sestiere di San Marco. Anche in quel momento era pieno di turisti, i cui riflessi si rispecchiavano nell’acqua scura e salmastra.
«Grazie», disse E.C. al marinaio al timone, una banconota tra le dita. Poi attese che la barca attraccasse al pontile di legno e scese.
Superò la calle Salvadago e sbucò in piazza San Marco. La attraversò con passo marziale fino a che, tra la nebbia, non gli apparvero le guglie del balcone di Palazzo Ducale. Si infilò sotto il colonnato e si diresse al ponte della Paglia.
«Sono atteso alla Terrazza», bofonchiò poco dopo, a un concierge dell’hotel Danieli. «Ci dovrebbe essere un tavolo per due a nome Savelli».
Il giovane, grassottello e con un sorriso pacioso stampato sul viso lentigginoso, verificò su un registro e sorrise. «Savelli per due», confermò. «Il collega l’accompagnerà. Ultimo piano».
Pochi istanti più tardi le porte dell’ascensore si aprirono su una splendida sala dai colori pastello. Dalle imponenti vetrate si godeva una veduta mozzafiato sulla laguna e le lampade rossastre sopra i tavolini conferivano all’ambiente un tono vagamente romantico. C’era brusio e un lieve tintinnio di stoviglie sovrastava la melodia diffusa dagli altoparlanti.
«Da questa parte», esordì un cameriere in guanti bianchi, riconoscendo subito E.C. «Il suo ospite è già arrivato».
Quella cena era programmata dalla mattina. Prima di far arrivare l’invito a Savelli, l’anziano si era però preoccupato di sapere se quel “particolare” dipendente del ristorante era in servizio. E quella sera c’era: si trattava di un confratello che conosceva da molti anni e di cui era certo di potersi fidare.
Attraversarono la sala, passando accanto a una bacheca di vini pregiati, e arrivarono al tavolo. «Se mi ha fatto venire qui… immagino ci siano buone notizie». Il prefetto degli Archivi Segreti Vaticani tese la mano, sorridendo e facendo dondolare il capo avanti e indietro.
«Purtroppo no», mentì mellifluo il Gran Maestro. «Nonostante i nostri sforzi, non siamo ancora riusciti a recuperare ciò che ci sta a cuore». Si accomodò accanto a un grande specchio profilato d’oro e sospirò. Prima di continuare, accarezzò, nella tasca dei pantaloni, la superficie della piccola chiave che apriva la cassetta di sicurezza in cui erano custoditi i rotoli. Se Savelli avesse saputo che i manoscritti degli Illuminati erano sempre stati in suo possesso, certamente l’avrebbe fatto uccidere…
«Il nostro uomo è stato a Gerusalemme e ad Atene. Sospettava che uno dei partecipanti all’asta avesse rubato i reperti, ma si è rivelata una pista morta».
Raniero parve contrariato, ma non fece in tempo a replicare. Il cameriere che aveva accompagnato l’anziano si avvicinò di nuovo al tavolo e gli porse il menu, lanciandogli un’occhiata d’intesa.
«Stiamo facendo del nostro meglio per difendere la Chiesa, come ben sa», rincarò la dose E.C. quando il giovane si fu allontanato.
«E Henkel? Almeno lui l’avete tolto di mezzo?».
E.C. alzò lo sguardo dalla lista e fece cenno di no, questa volta sincero. «Ci è sfuggito», rispose, ripetendo a memoria le parole che il Toro gli aveva scritto poco prima. «Ma non è più un pericolo… non ci sono tracce che portino a noi».
«A voi forse no… ma a me sì!», ribatté seccato il religioso. «Mi sono dovuto scoprire molto per partecipare a quell’asta. E in più mi dicono dal mio ufficio che gli americani hanno chiesto di me».
«Ha lasciato indizi che li conducano qui a Venezia?»
«Sono stato attento!», esclamò il religioso, stizzito. «Ma non è questo il punto: la CIA non mi preoccupa, non sanno nulla. Sono gli altri che temo di più».
«Non si allarmi, risolveremo questa grana».
Savelli sbuffò ma preferì non aggiungere altro. Dopotutto, anche se l’uomo che aveva davanti non gli piaceva, sembrava essere l’unico in grado di risolvere quel dannato problema. «Se non ha buone notizie, perché mi ha fatto venire?», l’apostrofò poi, indicando il ristorante con un gesto della mano.
«A dire la verità, volevo una sua opinione».
«Su cosa?»
«Sul Salmo 23, nella parte in cui si dice: “Del Signore è la Terra, l’universo e i suoi abitanti”».
Savelli parve stupito da quella domanda così diretta. «Prego?»
«Si è mai domandato perché mai il salmista abbia voluto, dopo aver citato la Terra, ricordare anche l’universo con i suoi abitanti?»
«Senta…», il monsignore sbuffò, stanco di quella inutile conversazione. Non era lì per parlare di teologia, ma tanto valeva chiarire come stavano le cose: «So cosa nascondono quei rotoli, se è ciò che mi sta chiedendo».
E.C. lo fissò, impassibile come una sfinge.
Il religioso, indeciso se proseguire, fece cadere lo sguardo sulla tenda drappeggia accanto al tavolo. Poi, d’un tratto, si convinse: «In Vaticano sono in molti a saperlo. Da anni illustri esponenti della Chiesa predicano che anche gli extraterrestri, se esistono, sono creature di Dio. Lo stesso Tommaso d’Aquino parla di “molteplici mondi”».
«Quindi lei ci crede?», tagliò corto l’altro.
Il prefetto gli lanciò un’occhiata condita da un sorriso arguto. «È davvero importante?».
Trascorse un istante interminabile, in cui si udì soltanto il tintinnio delle posate sulla porcellana.
«In effetti no…», concluse a un certo punto E.C., sorridendo, nel tentativo di stemperare la tensione.
Ma non ottenne l’effetto che sperava: il suo sguardo vuoto, con gli occhi di un colore indefinito, era più simile a quello di un cadavere che a quello di un uomo. Un brivido percorse la schiena di Savelli. In quel momento non seppe spiegarsi quella sensazione sgradevole, che si trascinò per oltre un’ora, l’intera durata della cena. Tirò un sospiro di sollievo solo quando si salutarono con finta cordialità e si diedero appuntamento per il giorno successivo.
Mentre E.C. scendeva con l’ascensore calcolò però che il religioso avrebbe cominciato a star male entro poche ore. Se il cameriere aveva seguito alla lettera le indicazioni sul veleno, per il prefetto non ci sarebbe stato quindi alcun appuntamento e alcun domani.