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Roma, 25 ottobre. 02:50.
-19:09:12 alla deadline.
Le poche auto che percorrevano la strada a quell’ora lasciavano dietro di loro un fiume di catarifrangenti rossi, interrotto da lunghi momenti d’oscurità.
Henkel si sporse dalla finestra del secondo piano, affacciata su via della Conciliazione, e adocchiò il marciapiede. Non c’era ancora nessuno.
Tornare a Roma era stato un azzardo e ancor di più lo era rifugiarsi in quell’appartamento, ma non aveva avuto scelta.
Dopo il decollo da Atene era chiaro che se davvero volevano sperare di ritrovare i papiri la destinazione successiva non poteva che essere il Vaticano. Avevano così convinto Walid a portarli in Italia, augurandosi che l’aeronautica militare o qualche torre di controllo non li individuasse. E non era successo, segno evidente che il giovane palestinese, con il volo radente del suo Cessna, sapeva come evitare i radar.
E adesso erano lì: dopo essere atterrati in un campo alle porte della città, si trovavano in un monolocale minuscolo stipato di mobili Ikea, ad attendere che arrivasse l’aiuto che avevano chiesto.
«Sei certo che questa casa sia sicura?», domandò Viola ad alta voce. Erano nei pressi della porta di Santo Spirito, a ridosso dei bastioni, quindi decisamente troppo vicini alla Santa Sede.
Henkel, di spalle, annuì senza rispondere. Non era stato lui a scegliere il luogo dell’appuntamento, ma era obbligato a fidarsi.
«Se i tuoi amici del Servizio Segreto Vaticano lo conoscono potrebbe essere una trappola».
«Se è una trappola lo scopriremo presto», grugnì, osservando una grossa auto nera che si stava fermando sul bordo della strada proprio in quell’istante. Attese alcuni secondi senza che scendesse nessuno. Poi, lentamente, la porta posteriore si aprì.
«E questa sarebbe la cavalleria?», scherzò, sempre in inglese, Elisabeth, sporgendosi dal davanzale e scrutando sulla strada. Walid, dopo averli sbarcati, aveva deciso di tornarsene in Israele con il favore del buio, e lei aveva deciso di fermarsi. La motivazione ufficiale era che a Gerusalemme sarebbe stata in pericolo, ma Henkel e Viola credevano che la vera ragione fosse che voleva vedere i famosi manoscritti degli Illuminati. Ciò nonostante l’avevano accontentata, visto che certamente ne sapeva più di loro su quei papiri.
«È il segretario di Stato Vaticano…», la rimbrottò Henkel, osservando Perrone che entrava da solo nel portone. «Se c’è un uomo di cui ci possiamo fidare è lui».
Dopo pochi istanti la porta d’ingresso del soggiorno si aprì lentamente ed entrò un anziano intabarrato in un cappotto nero. Aveva i capelli arruffati, lo sguardo assonnato e in mano teneva una borsa portadocumenti. «Dobbiamo finirla di incontrarci a questi orari assurdi!», scherzò Perrone, lasciandosi cadere su una delle sedie attorno al tavolo. Subito dopo, squadrando Henkel e le due donne, il suo viso stanco si incupì. «Sei ricercato… Andreas. Siete ricercati!».
«Per questo le devo un grande ringraziamento, eminenza. Non potevo rientrare personalmente in Vaticano e non so più di chi fidarmi».
Perrone scosse il capo. Prese fiato e, dopo aver radiografato il piercing alla narice di Elisabeth, si rivolse ancora a Henkel. Gli chiese ragguagli sulla ricerca dei rotoli e su Stella e ascoltò con molta attenzione quanto era accaduto negli ultimi due giorni. «E quindi pensi che Raniero Savelli, in qualche modo, sia coinvolto?», azzardò alla fine.
L’agente dell’SSV annuì, convinto. «Ho parlato con lui due notti fa. Ha ammesso di aver partecipato all’asta ma dice di non avere nulla a che fare con il furto! In ogni caso potrebbe sapere qualcosa che non mi ha rivelato…». Henkel si staccò dalla finestra e si andò a sedere accanto al segretario di Stato. Poi aggiunse: «È riuscito a ottenere i dati che le ho chiesto?».
Perrone accennò un sorriso amaro e aprì la borsa, estraendo una cartellina. «Non è stato facile… soprattutto a quest’ora».
Henkel fece scorrere sul tavolo i documenti e cominciò a leggerli. «Ci sono tutte le utenze telefoniche di Savelli? Sono i tabulati dell’ultimo mese?»
«Esatto. Fortunatamente anche i suoi cellulari personali sono intestati agli Archivi Vaticani. Pare che sia un tipo molto tirchio…».
Viola, dopo aver sussurrato qualcosa a Elisabeth, si avvicinò all’agente dell’SSV, che le passò una decina di fogli.
«Questo numero è del Servizio Segreto Vaticano», osservò Andreas, picchiettando con l’indice su alcune chiamate del giorno precedente.
«Sì, me ne ero accorto e ho chiesto chiarimenti. Pare che abbia spedito l’agente Dawe da qualche parte, ma nessuno sa nulla».
Henkel elaborò quell’informazione: conosceva Dawe molto bene. Era stato lui a reclutarlo nell’SSV e in passato avevano lavorato insieme. Una volta lo aveva anche salvato da un’imboscata tesa da un gruppo di estremisti religiosi. Possibile che Graham fosse stato incaricato direttamente da Savelli di una missione segreta che aveva a che fare con i rotoli?
«Ehi». Viola attirò l’attenzione dei due uomini, indicando su una pagina due chiamate del giorno precedente. «041. Il prefisso di Venezia. Pare che abbia chiamato diverse volte da quelle parti».
«Hai ragione, l’avevo notato anche io», la interruppe Henkel.
«Non mi hai detto che il Toro lavora per i Cavalieri Guardiani di Pace di Venezia? Ci potrebbe essere una correlazione?».
L’agente annuì. «È possibile…», assentì. Poi si rivolse a Elisabeth, sul divano, e le porse un foglio. «Puoi risalire agli intestatari di questi numeri telefonici?».
Lei sorrise, contenta di potersi finalmente rendere utile. Aveva perso la maggior parte della conversazione, che si era svolta in italiano, ma grazie a poche battute tradotte da Viola ne aveva afferrato il senso. «Jawohl, mister Kevod».
«Guarda. Qui e qui», notò ancora Viola, sventolando un altro foglio A4. «Le telefonate allo stesso numero di Venezia sono anche di due settimane fa. Poi, negli ultimi giorni, si sono intensificate».
«Chiesa di San Giovanni Battista in Bragora», si intromise Elisabeth, mostrando sullo schermo del portatile una pagina internet che aveva rintracciato a tempo di record. «Quel numero corrisponde a un indirizzo in campo Bandiera e Moro, sestiere di Castello».
«È la sede dei Cavalieri di Malta», osservarono in coro Henkel e Perrone.
«Per quale ragione Savelli si è rivolto a loro?», si interrogò Perrone, stupito.
Henkel raccontò che, durante i due giorni precedenti, avevano più volte incrociato sulla loro strada un emissario dei Cavalieri. Evidentemente anche loro, in qualche modo, erano coinvolti.
«Ma i Guardiani di Pace», osservò alla fine del racconto il segretario di Stato, «seppur a volte con metodi abbietti, hanno come fine il bene della Chiesa. La sua salvezza!».
«Forse è quello che credono di fare anche questa volta… togliendo di mezzo tutte le persone che sono a conoscenza dell’esistenza dei manoscritti degli Illuminati».
«E Savelli potrebbe avere lo stesso fine?», domandò Viola, una piccola incertezza nella voce. «Da come l’avete descritto non ne sarei così sicura…».
Henkel tamburellò con le dita sul tavolo, meditabondo. Forse la spiegazione era più semplice di come appariva. «Le ragioni per cui Savelli si è rivolto ai Cavalieri possono essere solo due», ipotizzò. «Per aiutarlo a impossessarsi dei rotoli, per fini forse anche poco nobili, oppure per recuperarli dopo che qualcuno li ha rubati!».
«Quindi il prefetto era solo una pedina…», sottolineò il sottotenente. «Anche lui voleva i rotoli, ma gli sono stati rubati sotto il naso».
«La questione è più complessa. O forse, tremendamente più semplice di come l’abbiamo vista fino a ora!». Henkel scattò in piedi e cominciò a gironzolare per la stanza. «Se la nostra teoria è giusta, e cioè che i Cavalieri di Malta vogliono proteggere la Chiesa nascondendo il vero significato di quei rotoli, gli omicidi sono solo un tassello di un piano più complesso!».
«Cosa intendi?», Perrone incrociò le braccia e piantò gli occhi in faccia all’agente dell’SSV.
«Il vero pericolo non è che qualcuno che ha visto i rotoli si limiti a parlarne… ma che la comunità scientifica, o addirittura qualche teologo, possa leggerli ed esaminarli».
«Sono loro i ladri. Li hanno rubati loro!», concluse la frase Viola. «È la spiegazione più logica: li rubano, forse li distruggono, e al contempo uccidono chi ne è a conoscenza! E il segreto, vero o falso che sia, è al sicuro!».
«Questo spiegherebbe anche le due vittime durante l’attentato… entrambe partecipanti all’asta! Chi ha rubato i rotoli ha cominciato il lavoro già da Paolini».
«I papiri potrebbero essere in loro possesso, forse addirittura a Venezia», concluse Viola. Poi ripeté il suo ragionamento in inglese, per dar modo anche a Elisabeth di comprendere quel passaggio, che reputava fondamentale. «E a questo punto, Savelli potrebbe anche essere in pericolo!».
«In pericolo o no, proprio ieri ha telefonato anche all’hotel Danieli», aggiunse Elisabeth, tamburellando con i polpastrelli sul computer.
«Il nostro amico è andato dritto in pasto ai lupi», constatò Viola, estraendo due piccoli oggetti metallici dalla tasca. «È giunto il momento di giocare l’unico jolly che abbiamo in mano».