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Base di ricerca Sito A, Nord dell’Iran. Ora locale 20:40.

 

Fuori dai cancelli era calato un buio fitto, squarciato solo da qualche luce da campeggio.

Lungo la recinzione, un muro di cemento armato alto sei metri e sormontato da inferriate acuminate, erano accampate diverse centinaia di persone. Alcuni disponevano di sacchi a pelo e tende da campeggio, mentre altri dormivano su giacigli di fortuna.

Massoud Dinmohammadi era uno dei più fortunati: aveva reclinato il sedile del suo pick-up e si era coperto con un plaid a quadri. Faceva molto freddo, eppure la piccola Ana era sudata fradicia. Sdraiata sul sedile posteriore aveva gli occhi serrati, con le palpebre gonfie che non smettevano un secondo di tremare.

La guida le accarezzò dolcemente i capelli biondi e riuscì a stento a trattenere un singhiozzo. Aveva deciso che non sarebbe rimasto con le mani in mano ad aspettare che sua figlia morisse. La cinese gli aveva mentito, di quello era certo. Ecco perché era tornato al Meidan, ignorando perfino il messaggio urgente di suo fratello, che diceva di avergli trovato un nuovo lavoro.

Fissò l’orologio, impaziente: era quasi ora.

Per ingannare l’attesa rivolse lo sguardo verso la base. Dalla sua posizione soprelevata, ai limiti del bosco, riusciva solo a scorgere gli edifici più alti, con alcune finestre accese. Guardando verso sud, oltre il muro di cinta, era però possibile individuare la sagoma scura dell’immensa cupola chiamata il Giardino.

Mentre provava a seguire un fascio di luce sparato verso il cielo dalla torre di controllo, la porta della sua Nissan si aprì. Una donna, con gli occhi neri come quella notte, forse di una quarantina d’anni, si sedette sul sedile.

«Ci sei riuscita?», le domandò, senza aspettare che richiudesse lo sportello.

Lei indicò il cancello della base che, seppur abbastanza distante, da lì si vedeva benissimo. «Non qui».

Massoud non fiatò e mise in moto. L’aveva conosciuta solo pochi giorni prima, al suo arrivo all’accampamento. Come lui, aveva un familiare malato e aveva sentito delle voci sulle guarigioni miracolose. E come lui, purtroppo, non aveva ottenuto alcun risultato. Fino a quel momento.

«C’è un problema», comunicò la donna, appena l’auto si fu spostata tra gli alberi, in un punto abbastanza appartato. Poi estrasse dalla tunica alcuni fogli a quadretti piegati in più parti. «Ho solo questo!».

«Fa’ vedere». Massoud glieli strappò dalle mani e li portò a favore di luce. Si vedeva uno schema piuttosto grossolano degli edifici, delle strade e dell’aeroporto della base.

«Qui è dove tengono i malati». Lei passò con il dito ossuto sulla parte centrale del disegno. «Sono sei hangar, grandi come campi di calcio».

«Questo è l’edificio dove sono stato io», fece notare invece la guida, indicando un’altra grande costruzione rettangolare, situata di fronte agli hangar. «Qui invece, dalla parte opposta rispetto a noi, ci sono l’ingresso secondario e gli alloggi». Accarezzò con l’indice il disegno su cui era tracciato un tondino rosso.

«Non riusciremo mai a entrare. La guardia non è stata di parola», si giustificò lei, quasi volesse mettere subito le mani avanti.

In quel momento lo scricchiolio di un ramo spezzato fece trasalire entrambi. Massoud si affrettò a infilarsi in tasca i fogli e trattenne il respiro. Ma un secondo dopo l’allarme rientrò: un grosso cinghiale rischiarato dalla luna fece capolino tra gli alberi. Annusò il terreno per alcuni istanti e poi proseguì in direzione dell’accampamento.

«Qual è il problema?», bofonchiò lui, subito dopo. «La mappa sembra a posto».

La donna scosse il capo. «Vuole più soldi, tre miliardi di riyāl».

Un gelido silenzio cadde tra i due. Per un instante Massoud smise perfino di respirare. Poi, invece, batté violentemente il pugno sul volante. Quella cifra – che al cambio ammontava a circa centomila dollari – era assolutamente fuori dalla loro portata. «Non erano questi gli accordi!», imprecò, digrignando i denti. «Doveva anche farci entrare!».

«Dice che quello che gli abbiamo dato è appena sufficiente per questi disegni».

«Papà?». La voce delicata di Anahita li interruppe.

L’uomo si voltò verso la bimba e le sorrise: era seduta sul sedile, un piccolo peluche in mano e i capelli arruffati. «Amore mio, ti sei svegliata». Le accarezzò la guancia.

Lei gli sorrise, ma Massoud sentì un brivido percorrergli la schiena. Nei suoi occhi vuoti riuscì a leggere solo rassegnazione.

«Tra poco starai meglio», la rassicurò, sapendo di mentire. Immediatamente dopo, però, fece cenno di no con il capo: sembrava fosse stato colpito da un ceffone. Si rivolse alla donna e disse: «Siamo arrivati fino a qui e non ci fermeremo certo adesso!».

«E dove pensi di trovare tanto denaro?».

Massoud estrasse il cellulare e richiamò un numero dalla memoria. «Forse un modo c’è».