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Città del Vaticano. 04:05.
-65:54:14 alla deadline.
Il segretario di Stato Vaticano camminava nervosamente avanti e indietro nel soggiorno illuminato. La TV al plasma era accesa su RaiNews24 e le sue immagini danzavano riflesse sul pavimento lucente.
Viveva in un piccolo alloggio affacciato sui giardini vaticani, non troppo distante dalla Domus Sanctae Marthae. A differenza dei suoi predecessori aveva preferito quella sistemazione alla splendida Prima Loggia del Palazzo Apostolico, giudicata troppo sfarzosa. Chi lo conosceva, sapeva che rinunciare a ciò che gli spettava di diritto era esattamente nel suo stile.
Si chiamava Camillo Perrone, e oltre a essere una persona estremamente umile, si considerava l’uomo meno adatto del mondo a ricoprire il ruolo di segretario di Stato. Eppure, nonostante soffrisse di cuore e non sopportasse lo stress, il Santo Padre glielo aveva chiesto.
Era successo un paio d’anni prima, alcuni mesi dopo lo scandalo che aveva coinvolto il suo predecessore, arrestato per aver partecipato all’attentato alla Sacra Sindone.
«Camillo, ho bisogno di te». Erano state le uniche parole del papa. Le aveva pronunciate con il solito tono autoritario e cordiale al tempo stesso e Perrone non era stato in grado di dire di no.
E così, dopo oltre trent’anni dedicati alla Chiesa, all’insegna dell’onestà e del più assoluto rigore morale, era salito di un ultimo gradino. Era passato dal gravoso incarico di arcivescovo di Torino a quello titanico di segretario di Stato Vaticano, ruolo che in una democrazia sarebbe stato paragonabile a quello di un primo ministro.
Il periodo, inoltre, era tutt’altro che facile: gli scandali nella Santa Sede erano sempre più numerosi e si susseguivano a un ritmo quasi incalzante. Dopo aver affrontato la più abietta delle perversioni, la pedofilia, adesso gli toccavano anche la corruzione e i reati finanziari. Si diceva che alcuni alti prelati utilizzassero fondi neri per finanziare fondazioni di dubbia moralità. Alcuni sospettavano che se ne servissero solo per mantenere un tenore di vita poco consono agli uomini di Dio.
E adesso ci si metteva anche Andreas Henkel. Gli aveva telefonato pochi minuti prima, in piena notte.
«Eminenza, ho bisogno di aiuto», aveva sussurrato, con un tono che a tutto assomigliava tranne che a uno scherzo. «Si tratta di Stella».
«A quest’ora?», si era limitato a rispondere lui. In ogni caso, soffrendo d’insonnia, passava gran parte della nottata a rigirarsi tra le lenzuola o a leggere. La telefonata aveva avuto, se non altro, il merito di spezzare la monotonia.
«È questione di vita o di morte», aveva proseguito l’agente. Andreas Henkel era una persona fidata e il Santo Padre lo stimava moltissimo. Se avesse avuto una missione difficile da affrontare, una che magari avrebbe potuto comportare dei rischi per la Santa Sede, certamente si sarebbe affidato a lui. Valeva la pena ascoltare cosa aveva da dire.
Henkel uscì con l’auto dal cortile del Belvedere, le luci dei fari che fendevano la foschia notturna. Percorse a bassa velocità, nel buio, via del Governatorato e si diresse verso piazza Santa Marta. Lì parcheggiò la Kia e proseguì a piedi, come un’ombra, fino alla palazzina dell’Arciprete.
Perrone gli aveva assicurato che avrebbe lasciato il portone aperto e così fu. Salì i gradini a due a due e in pochi secondi se lo trovò davanti.
«Andreas… cosa succede?», mormorò l’anziano religioso, in un filo di voce. Aveva le guance di un colorito rossastro, lo stesso che assumevano quando era molto nervoso. Come in quel momento. «Vieni. Accomodati». Gli tese la mano, affinché l’agente mimasse il bacio dell’anello.
Henkel sorrise appena, accennò una riverenza e poi si diresse verso il salotto.
Il locale era ampio, ben illuminato e con grandi travi in quercia che sostenevano un soffitto affrescato. Sebbene il mobilio apparisse modesto, un grande arazzo campeggiava comunque sulla parete più lunga. Davanti alla TV accesa c’erano due sculture lignee raffiguranti cardinali.
«Cosa succede?», indagò ancora il religioso, con ansia crescente.
«Stella, eminenza. È stata rapita», gemette Henkel, mentre si accomodavano su un divanetto di pelle a tre posti.
Perrone rimase senza fiato e non riuscì a rispondere. Avrebbe voluto dire qualcosa di rassicurante, qualcosa di adatto a una situazione come quella. Eppure nessuna parola gli uscì dalle labbra socchiuse in un’espressione stupefatta.
Conosceva abbastanza bene Stella Rosati, il magistrato che era stato distaccato all’Ispettorato presso il Vaticano della Polizia di Stato. Era stata lei, tre anni prima, a sventare insieme a Henkel la cospirazione ai danni della Chiesa ordita dal suo predecessore. Sapeva che i due erano molto uniti… e adesso lei era in pericolo di vita.
«Minacciano di ucciderla se non consegnerò questi rotoli di papiro», continuò Andreas a bruciapelo, mostrando il catalogo della casa d’aste Paolini.
Perrone lo prese in mano e si sistemò gli occhiali a tartaruga sul naso. Le mani gli tremavano per l’agitazione. Sfogliò lentamente la pubblicazione e si fermò quando tra due pagine trovò un foglio di carta piegato. Era la stampa dell’email censurata, quella che Henkel aveva trovato nell’archivio.
«Sono qui principalmente per quella…», chiarì Henkel, indicando l’A4.
Il cardinale studiò il foglio per alcuni istanti, con uno sguardo che l’agente segreto non seppe interpretare. Poi lo mise da parte e dedicò la sua attenzione al catalogo. «Ne ho già sentito parlare…».
«Dell’email o dei manoscritti degli Illuminati?»
«Dell’asta da Paolini. C’è stato un attentato, questa mattina. Due vittime, pare… e qualcuno ha rubato degli antichi codici».
Henkel annuì. «I rapitori di Stella credono che sia stato il Vaticano…». Lo disse con tono titubante, quasi non riuscisse a crederci neppure lui. «Credono che qualcuno abbia trafugato i rotoli e li abbia portati negli Archivi Segreti».
Perrone alzò gli occhi sopra la montatura, l’espressione tra il divertito e il dubbioso. Scosse la testa ripetutamente. «Non è il nostro stile… tuttavia…».
«Tuttavia?». Il viso di Henkel si illuminò d’improvviso e un lampo di speranza gli attraversò lo sguardo. «Cosa intende, eminenza? Ne sa qualcosa?»
«Nulla di certo, naturalmente». Socchiuse gli occhi, cercando di schiarirsi la mente. «Però il nome “manoscritti degli Illuminati” mi fa pensare alla leggenda secondo la quale la setta degli Illuminati avrebbe raccolto un numero consistente di testi esoterici. Si dice contenessero antichi segreti in grado di distruggere la Chiesa: tieni presente che il loro fine era proprio quello. Comunque, recentemente, un archeologo di nome Cassini avrebbe trovato in Islanda degli antichi rotoli di papiro: i cosiddetti libri dei Veggenti».
«E questo cosa ha a che fare con i manoscritti degli Illuminati?»
«Cassini sostiene che Dante Alighieri, insieme a pittori del calibro di Raffaello, Leonardo e Botticelli, avrebbe celato nelle sue opere degli indizi per ritrovare queste antiche scritture. Non dimenticare che molti artisti, durante il Rinascimento, probabilmente facevano parte della setta degli Illuminati… Visto l’argomento di cui trattano, è possibile che i manoscritti messi all’asta siano proprio i libri dei Veggenti trovati in Islanda: testi nascosti dagli Illuminati e che avrebbero consentito a questi ultimi di raggiungere i propri abietti fini. Se fossero autentici si spiegherebbero molte cose…».
«Credo di non seguirla. A cosa si riferisce, esattamente?».
«Alla Bibbia. Come sai, le scritture che utilizziamo oggi sono basate sul codice di Leningrado, il testo redatto dai Masoreti partendo dalla Biblia Hebraica Stuttgartensia». Perrone si alzò in piedi e andò alla libreria che occupava la parete opposta al divano. «Ma quella non è l’unica fonte esistente. Per noi cattolici sono canonici un totale di quarantasei libri dell’Antico Testamento. Gli ebrei e i protestanti ne riconoscono invece soltanto trentanove, perché per loro sette non sarebbero stati ispirati da Dio. I greco-ortodossi utilizzano il testo dei Settanta, la Bibbia del III secolo avanti Cristo scritta in greco. I rabbini, dal canto loro, rifiutano la Bibbia dei Settanta e considerano valida solo la Torah, che si differenzia dal nostro Testo Sacro per migliaia di varianti…».
«Eminenza, conosco la Bibbia abbastanza bene ma non capisco dove vuole arrivare», lo interruppe l’agente dell’SSV, fissando l’orologio che segnava le ore e i minuti che rimanevano a Stella.
«Voglio semplicemente dire che esistono molte Bibbie differenti. Il testo più antico su cui basiamo la nostra religione è quello di Qumran, del II secolo avanti Cristo». Perrone estrasse finalmente un volume e cercò velocemente una pagina. «Eccolo. Questo».
Henkel fissò l’immagine. Si vedeva la fotografia di alcuni rotoli simili a quelli di Paolini, ingialliti e rovinati nella parte sottostante. «Sono i manoscritti del Mar Morto?», provò a indovinare.
«Esatto. Tra quel testo e il solo libro di Isaia ci sono quasi duecentocinquanta differenze. Vi sono parole in più che si leggono nell’uno e che mancano del tutto nell’altro, parole diverse, parole omesse, forme grammaticali differenti, lettere mancanti, differenze nelle consonanti». Perrone fece una pausa e tornò a sedersi di fronte a Henkel. Accavallò le gambe e proseguì. «Se i rotoli messi all’asta fossero veri… se davvero quei manoscritti risalissero a un’epoca precedente ai rotoli di Qumran, forse si potrebbe avere una lettura diversa della nostra Bibbia. Soprattutto perché quando un testo non rientrava pienamente nei loro canoni, erano i Masoreti stessi a farlo scomparire. Libri del genere, secondo gli Illuminati, potevano contribuire a distruggere il Vaticano…».
«Mi sta dicendo che, per impedire che venissero alla luce, gli Archivi Segreti potrebbero aver ordito un attentato terroristico al fine di impossessarsene…?».
Perrone scosse il capo, scettico. «Francamente non credo, ma forse posso dare una spiegazione a quell’email. Eri qui per quella, no?»
«Esatto. Speravo che essendo arrivata in copia anche alla Segreteria di Stato vi fosse ancora l’originale sui vostri server…».
Camillo Perrone si alzò e a grandi falcate attraversò il soggiorno.
Henkel gli andò dietro fino allo studio privato, un ufficio con due grandi librerie coperte da ante di vetro e un’imponente scrivania vicino alla finestra. Sul lato destro c’era un moderno iMac con tastiera e mouse wireless.
«Di quand’è l’email?»
«Del 16. Il mittente è un certo Lamberto Zonca».
Perrone mosse il mouse e cominciò a leggere. «Da qui ho l’accesso alla casella principale del segretariato. Di solito la guardano gli impiegati perché arriva un sacco di spam. È necessario molto tempo per selezionare i messaggi buoni dalla spazzatura».
«È possibile che chi ha censurato il file sul protocollo abbia pensato anche alla vostra casella email?», tagliò corto Henkel.
«Tutto è possibile», si limitò a replicare il religioso, che faceva scorrere le comunicazioni con una sorprendente abilità. «Tuttavia, se è come penso, non credo. E guardare non ci costa nulla… hai fatto bene a venire, è un tentativo ragionevole».
Henkel incrociò le braccia, scettico ma attaccato a quell’unico indizio.
«Eccola», annunciò alla fine Perrone, abbassandosi gli occhiali, un sorriso pacioso dipinto sul viso. «Ricevuta alle 14:43 del 16 ottobre. Da Lamberto Zonca. Oggetto: Incanto relativo al lotto 302 della casa d’aste Paolini. Richiesta incontro».