30

 

 

 

 

 

Bologna. 13:15.

-56:44:12 alla deadline.

 

«Siamo fortunati». Le dita di Andreas Henkel tamburellarono sui pulsanti del computer come chicchi di grandine su un’automobile. «Non chiede la password».

Si trovava, in compagnia di Viola, nella cella di Lamberto Zonca, una stanza dalle pareti spoglie e il soffitto a volta sul lato ovest del convento. Fuori dalla piccola finestra si riusciva a scorgere uno scorcio di Bologna, con le due torri che si stagliavano sui tetti rossi del centro.

«Cosa stai cercando esattamente?», si informò il sottotenente, appoggiata al muro con le braccia incrociate.

Lui non rispose e prese a muovere l’indice sul touchpad.

«Sei convinto che sia stato Zonca a rubare la lettera? Per quale ragione?»

«Ti sei chiesta come poteva, un frate domenicano, votato alla povertà, partecipare a un’asta da milioni di euro?». Henkel si voltò verso la ragazza.

«Credi che abbia venduto a qualche collezionista la lettera e con i soldi abbia partecipato all’incanto?»

«È una possibilità. Però credo che quello scritto abbia un ruolo più rilevante in tutta la vicenda… Anche se non so esattamente quale».

Viola non replicò e si limitò a guardarsi attorno. La cella era esattamente come se l’era immaginata: un lettino in ferro battuto, un comodino di truciolato, un vaso di fiori secchi, un crocifisso e un’immagine di San Domenico appesi al muro. Il computer sul quale stava lavorando Henkel, su un piccolo scrittorio di quercia, stonava decisamente.

«Forse ci sono», esclamò l’agente dell’SSV, indicando una finestra sul display. «Dalla cronologia internet risulta che dieci giorni fa ha visitato il sito di YourBank».

Viola si avvicinò a lui, appoggiando la mano sullo schienale della sedia per riuscire a vedere meglio. «Prova a entrare».

Henkel caricò la pagina e si rese conto che non era possibile accedere alle informazioni del conto. Il sito chiedeva nome utente e password. «La nostra fortuna è già finita…».

«Verifica se i dati di accesso sono memorizzati nel browser».

Henkel scosse la testa. «Purtroppo no».

«Ok. Controlla le email, se ha ricevuto un bonifico forse ne ha avuto conferma tramite posta».

«Buona idea». Henkel sorrise e cliccò su un’icona raffigurante un francobollo con un’aquila.

«10 ottobre, 11, 12». Henkel scosse nuovamente la testa mentre scorreva i messaggi in entrata. «Se aveva qualcosa da nascondere lo ha fatto bene…».

«Aspetta un secondo».

Lui si fermò immediatamente, cercando di leggere un indizio negli occhi verdi di Viola.

«Torna un po’ indietro…». Lei indicò sullo schermo il mittente di un’email arrivata il 14 ottobre. «Aaron Friedman. Dove ho già sentito quel nome?».

Henkel non disse nulla, ma continuò a scorrere i messaggi. Mentre Viola rifletteva, lui ne trovò altri tre con lo stesso mittente. «È uno storico israeliano. Pare faccia parte anche lui del Bible Project», disse leggendo l’email che aveva davanti. «E indovina un po’, con Zonca parlava proprio dell’asta».

Viola si alzò di scatto ed estrasse dalla camicia, l’unico indumento che era rimasto della sua uniforme, un foglio piegato in quattro parti. Conteneva un elenco di nomi, incolonnati ordinatamente, con tanto di indirizzo e data a fianco. «Ecco dove l’avevo letto. Era anche lui uno dei partecipanti all’incanto».

«Fammi vedere», sibilò Henkel. Era la prima volta che Viola parlava di quel documento. «Come hai avuto questa lista?»

«Il capitano Aruta aveva chiesto a Paolini di prepararla. Ce l’ha consegnata questa mattina».

Lui sorrise per il nuovo colpo di fortuna. «Questa è un’ottima notizia», sentenziò, alzandosi di scatto dalla sedia e cominciando a leggere i nomi. «Cinque partecipanti in tutto».

«Zonca è morto. Poi c’è un altro nome che conosciamo, quello di questo Aaron Friedman».

«Aspetta un secondo», Henkel si bloccò. «Questi due: Andrej Smirnov e Allison Gray, un russo e un’inglese. Anche loro li ho già sentiti».

Viola scosse la testa. «A me non mi dicono nulla».

L’agente dell’SSV si sedette di nuovo alla scrivania e digitò i due nomi su Google. Il motore di ricerca gli restituì decine di pagine. Lesse la prima, dal sito del «Corriere della Sera»:

 

IDENTIFICATI I CORPI DELLE DUE VITTIME DELL’ATTENTATO IN PIAZZA DELLA SIGNORIA.

 

Seguivano i due nomi e una fotografia di ciascuno. Mentre non c’erano dubbi sul russo, indicato genericamente come un faccendiere, restavano delle incertezze sulla donna. Il giornalista, citando fonti attendibili, avanzava l’ipotesi che non si trattasse di un’inglese come dichiarato dalle autorità, bensì di un’americana.

«Avevo visto la notizia alla TV, mentre ti medicavano all’ospedale», si ricordò l’agente dell’SSV. «A questo punto, quasi tutti i partecipanti a quell’asta sono morti».

«Non solo», aggiunse Viola, mordicchiandosi le labbra. «Parlando con Aruta, Paolini aveva chiarito che solo lui aveva potuto vedere la Bibbia. Pareva che il proprietario avesse insistito affinché i rotoli non venissero esaminati da nessuno tranne il gallerista stesso e gli aspiranti compratori».

Henkel si grattò il capo, incerto. «Quindi, quasi tutti quelli che sono venuti a contatto con la Bibbia, direttamente o indirettamente, sono morti…».

«Se diamo per scontato che il russo e l’inglese non siano due vittime casuali dell’attentato, e che Zonca sia stato ucciso per lo stesso motivo, allora forse Paolini non è stato ucciso per una truffa assicurativa. Come gli altri, aveva esaminato i papiri… Potrebbe essere un movente?». Anche lei sembrò dubbiosa.

«In quella sala c’erano decine di persone, ma gli unici a rimetterci la pelle sono stati due che partecipavano all’asta del lotto 302. E chi non è morto in piazza della Signoria è stato ucciso poco dopo… Non può essere un caso».

«Mi domando chi può avere interesse a uccidere per un libro, per quanto di valore». Viola si spostò e si appoggiò con le spalle alla finestra.

«È quello che dobbiamo scoprire. Il killer, l’uomo che devi trovare per scagionarti, probabilmente è lo stesso che ha rubato i manoscritti. Inchiodiamo lui e avremo recuperato anche i rotoli».

«E come pensi di fare?»

«Abbiamo ancora due nomi sulla lista. Se l’assassino non è uno di loro… allora forse sono in pericolo». Henkel verificò l’orologio che scandiva le ore di vita che restavano a Stella. Si domandò se il fatto di aver abbandonato il cellulare con cui i rapitori potevano contattarlo l’avesse messa in maggiore pericolo. Ma non aveva avuto scelta… «Facciamo in fretta a ritrovarli: tutti quelli che sanno… muoiono».