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Firenze. 10:42.

-59:17:49 alla deadline.

 

L’auto li lasciò nei pressi di una bancarella di souvenir, di fronte alla basilica di Santa Croce.

Nonostante a Firenze fosse praticamente impossibile fermare un taxi, erano riusciti a prenderne uno al volo nei pressi della rotonda del Brunelleschi, appena fuori dall’ospedale.

Quando Henkel aveva compreso ciò che stava accadendo, il suo istinto lo aveva convinto a fuggire. Aveva preso per mano Viola, visibilmente scossa, e attraverso i corridoi del pronto soccorso avevano guadagnato l’uscita. Avevano corso per alcune centinaia di metri e poi erano arrivati al parcheggio di via del Castellaccio. Lì, sotto gli alberi, avevano trovato una Citroën C4 con a bordo il taxista che leggeva la «Gazzetta dello Sport».

«Entriamo nella basilica», la incitò Henkel, tirandola per il camice. Lo aveva rubato durante la fuga e glielo aveva fatto indossare per camuffare l’uniforme insanguinata. «Sul sagrato qualcuno potrebbe vederci».

«Lasciami!», sbottò lei. «Dobbiamo tornare indietro. Devo chiamare il comando».

«Abbassa la voce». Le gettò un’occhiataccia e le appoggiò la mano muscolosa sulle labbra. «Diamo troppo nell’occhio».

«Non ti conosco neanche!», replicò lei, inviperita. Cercò di liberarsi dalla presa e si spostò di un passo, quasi fosse pronta a fuggire. «Perché siamo scappati? Sarebbe stato sufficiente consegnarci e spiegare la situazione!».

Henkel non rispose e si guardò in giro, circospetto. Davanti alla facciata gotica in marmo policromo della chiesa sostavano alcuni turisti e sui gradini c’era un gruppetto di giovani con la chitarra. Nella piazza, invece, alcuni operai sotto il pallido sole autunnale stavano montando una struttura prefabbricata. Nessuno li stava guardando, nessuno sembrava averli notati.

«Siamo stati incastrati», disse con un sospiro. «Non avresti potuto spiegare nulla!».

«Non dire idiozie…».

«Pensaci», la rimbrottò ancora, abbassando la voce. «Quanto tempo è passato tra l’agguato in piazza della Signoria e l’arrivo dei tuoi colleghi carabinieri, un quarto d’ora? Venti minuti?»

«E allora?»

«Non ti sembra troppo poco? Non ti sembra troppo facile che qualcuno ti abbia ripreso mentre sparavi e poi abbia pubblicato il video su internet?»

«Succede ogni giorno. Su YouTube ci finisce di tutto…». Viola scosse la testa, ma sotto sotto le parole di Henkel l’avevano colpita. Il video, forse, poteva essere casuale, ma l’intervento dei carabinieri, mandati così in forze e così repentinamente per arrestarla, di sicuro aveva qualcosa di strano.

«Devono averci rintracciato dal GPS sulla gazzella o triangolando il cellulare. Ma non avevano motivo di pensare che fossimo fuggiti, dopotutto eravamo all’ospedale. Qualcuno deve aver provato a addossarci la colpa… E le immagini confuse della web-TV hanno fatto il resto».

Viola rimase in silenzio per alcuni istanti, poi si avviò su per la scalinata d’ingresso, passando accanto al monumento a Dante Alighieri. «Da quel video non si capisce nulla. E poi non ho sparato io al capitano Aruta: la balistica lo confermerà!».

Henkel la seguì con lo sguardo e le andò dietro. «Forse… Ma considera la dinamica: uccidono il tuo capo e per poco noi non facciamo la stessa fine. Subito dopo i carabinieri vengono a cercarci».

«Non capisco dove vuoi arrivare». Lei abbassò la voce. Nel frattempo varcò l’ingresso e si ritrovò nella navata laterale. Anche all’interno, alla poca luce proveniente dalle vetrate trecentesche, si vedeva qualche turista davanti alle tombe di Michelangelo e Galileo. Camminò per alcuni metri e si sedette in una delle ultime panche. Non era del tutto convinta di ciò che stava dicendo Henkel, tuttavia era d’accordo con lui: meglio non dare nell’occhio.

«È evidente che qualcuno vuole toglierci di mezzo». Henkel si accomodò accanto a lei, gli occhi verso l’altare maggiore. «Non essendo riuscito a uccidere anche noi, ci mette contro la forza pubblica».

Viola non rispose e il suo silenzio dette l’impressione che non fosse in grado di trovare argomenti per replicare. Come ogni turista si limitò a perdere lo sguardo sulla volta, sulle nervature a ombrello e sulle strette bifore. Quella chiesa ispirata al gotico francese le era sempre piaciuta. In più, il fatto che fosse una sorta di pantheon degli artisti faceva sì che fosse sempre piena di curiosi. E quella, forse, era la ragione per la quale Henkel aveva deciso di farsi lasciare lì dal taxi.

«Tu cosa proponi, Andreas Henkel della Gendarmeria Vaticana?». Sussurrò appena, quasi temesse ciò che aveva detto. «Sempre ammesso che questo sia il tuo vero nome».

«Dobbiamo capire chi ci vuole mettere fuori gioco. Se lo troveremo, tu avrai il tuo assassino e potrai scagionarti e io avrò la Bibbia».

«Chi può avere interesse a uccidere per una Bibbia?». Viola lo domandò a se stessa, più che a Henkel.

«Dimmelo tu. Se hai pestato i piedi a qualcuno significa che eri vicina a scoprire qualcosa di importante. Su cosa lavoravi?».

Lei fece una smorfia, scettica. «Nulla di particolare. Non avevamo molti elementi. Non eravamo neppure convinti che i quattro omicidi fossero collegati».

«Come hai detto?». Henkel si voltò verso di lei. Adesso che ci pensava non era la prima volta che Viola parlava di quattro omicidi. Lo aveva già fatto sull’auto, poco prima dell’agguato. «Perché quattro?», indagò, strofinandosi il mento. «I due sconosciuti da Paolini e il gallerista, ok. Ma chi è la quarta vittima?»

«Un certo Lamberto Zonca, un domenicano di Bologna che aveva partecipato all’asta».

Henkel incrociò le braccia. «E cosa sapevi di lui?»

«Molto poco. È stato ucciso da uno sconosciuto ieri sera alla stazione di Santa Maria Novella». Viola armeggiò nella camicia dell’uniforme, che ancora indossava sotto il camice, ed estrasse la stampa della lettera del Duecento. «Addosso aveva questa».

L’agente dell’SSV la prese e cominciò a leggere. Il suo latino era fluente, quindi non ebbe difficoltà a comprendere il testo, vergato elegantemente su un papiro ingiallito.

Per qualche minuto rimase immobile con lo sguardo fisso sul foglio. Si domandò se gli «scritti che il latore della presente porta con sé», potessero essere i manoscritti degli Illuminati. L’autore della missiva aveva un tono preoccupato e chiedeva a un amico di custodirli. Non c’erano elementi per essere certi di quell’interpretazione, ma qualcosa gli diceva che era così. Soprattutto perché il proprietario della lettera era stato ucciso…

«Non può essere una coincidenza che anche questo Zonca sia stato ammazzato», disse infine, sfiorando con l’indice la firma di Bonifacio degli Aleramici. «Chi è a conoscenza di questo documento?»

«Solo Aruta. L’aveva affidato a me». Gli occhi di Viola si riempirono di lacrime, pensando alle ultime immagini del capitano steso sul marciapiede. Dopo quanto era successo al padre, era la prima volta che si trovava così vicina alla morte. Era consapevole che qualche suo collega sarebbe potuto “cadere” in servizio. Glielo avevano insegnato all’Accademia. Tuttavia, trovarsi davanti a quella situazione l’aveva scombussolata molto più di quanto avrebbe creduto possibile.

«Che idea ti sei fatta?»

«Non credo alle coincidenze», singhiozzò lei, asciugandosi una lacrima con il dorso della mano. «La lettera potrebbe in qualche modo essere connessa alla Bibbia. Come vedi però il testo non è perfettamente leggibile. Pensavo che potesse valere la pena visionare l’originale, che dalle indicazioni sul copyright dovrebbe essere custodito nel convento di San Domenico».

«A Bologna?».

Viola annuì.

Henkel si convinse e si alzò in piedi. «Hai la carta di credito?», chiese fissando la fasciatura sotto il camice.

Lei annuì nuovamente.

«Perfetto. Allora Bologna è la nostra prossima tappa».