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Al largo delle coste islandesi, estate 1217.
Alle prime luci dell’alba del sesto giorno, i tre legni salpati dal Nord della Francia presero a navigare di conserva.
Si trattava di una piccola flotta composta da una imponente tarida catalana e da due kogge adatte a solcare le acque del mare del Nord. Sulla prima, un bialbero dal fondo piatto, erano stati stipati i cavalli, mentre sulle altre due, più piccole e maneggevoli, avevano trovato posto ottanta cavalieri.
«Avete esaminato i disegni delle sculture?», si informò Guillaume de Chartres sul castello di prua del primo veliero. L’aria del mattino era gelida e il sole, basso e rosso, sembrava galleggiare sul pelo dell’acqua.
Un giovane religioso a fianco a lui, il volto emaciato per il mal di mare, fece due passi sull’assito e si avvicinò. «Il Santo Padre ha dato disposizioni molto chiare».
«Quindi ritenete che seppellire il baule sia la scelta giusta?»
«Non sta a me dirlo. In quella cassa vi sono documenti preziosi che non possono essere distrutti…».
«E così ci limiteremo a nasconderli… Sperando solo che nessuno li trovi mai!».
Il prete non replicò, lo sguardo tagliente verso gli occhi azzurri del Gran Maestro.
«Cosa sapete di questo Annunciatore?», incalzò ancora de Chartres. «Vi fidate?».
Il religioso socchiuse appena le palpebre e questa volta rispose: «Mi fido di Sua Santità. È lui che ha deciso di incaricare Snorri Sturluson».
Il templare non apparve convinto. «Già… Snorri Sturluson», mugugnò tra sé.
Non lo aveva mai incontrato, ma gli avevano riferito che era un famoso poeta e storico dell’isola dei Ghiacci. Ogni estate tutti i capi tribù si riunivano davanti a lui in una sorta di parlamento all’aperto, su una piana verdeggiante chiamata Thingvellir. Lì, Snorri Sturluson svolgeva il ruolo di Lögsögumaður, di “annunciatore”: a lui spettava il compito di risolvere le controversie e quello di declamare le leggi vigenti. E a lui, quell’estate, sarebbe anche toccato il compito di scortare i suoi ottanta templari nel luogo prescelto.
«Non spetta a noi giudicare le decisioni prese», aggiunse il prete, abbassando lo sguardo sull’acqua spumosa sotto di lui. Il rostro in bronzo, che fuoriusciva dalla chiglia della nave, scintillava alla luce del sole. «Quei rotoli possono provocare sconvolgimenti inauditi se cadono in mani sbagliate… il nostro compito è fare in modo che non accada».
“Appunto!”, avrebbe voluto dire de Chartres. “Proprio per questa ragione sarebbe stato meglio bruciarli…”. Lui avrebbe potuto dedicarsi alla quinta crociata, come desiderava, e nessuno, mai, avrebbe potuto leggerli.
Ma il papa aveva deciso diversamente; e poiché era un uomo d’onore, il templare avrebbe eseguito i suoi ordini alla lettera. Avrebbe scortato il baule nel centro dell’isola e lo avrebbe seppellito in una grande caldera, all’ombra di quattro sculture.
Sapeva che non avrebbe mai potuto parlare di quella sortita con nessuno. Pur non condividendo il modo in cui si era deciso di cancellare dalla storia quei documenti, ne comprendeva però il motivo.
«Terra», annunciò all’improvviso dalla coffa uno dei marinai, rompendo lo sventolio ritmico delle vele.
Il Gran Maestro lanciò un’occhiata a tribordo, in direzione del sole, e sospirò. “Sei giorni dalla Britannia, quindi”, si disse. “Ab ora Britannica sex dierum iter”.
Prima di sbarcare annotò quelle stesse parole sul suo diario di viaggio e infine si fece il segno della croce. Non poteva sapere che nei tre secoli successivi alla sua morte, alcuni artisti, studiosi e scienziati chiamati Illuminati avrebbero disseminato nelle loro opere una serie di indizi per permettere ai posteri di ritrovare ciò che lui stava per nascondere.