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Colline della Toscana. Sei mesi dopo.
Il grosso SUV con i vetri oscurati sobbalzò sul fondo sconnesso sollevando una nuvola di polvere.
Voltò in un viottolo in lieve discesa, fiancheggiato da vigneti di Chianti che si perdevano nel verde delle colline. Dalla parte opposta della vallata si stagliavano file di pioppi che risalivano i dolci rilievi e arrivavano fino al Tirreno.
Era pomeriggio inoltrato e il sole appeso poco sopra l’orizzonte conferiva alla Maremma un colore lievemente dorato. C’era odore di erba tagliata e di salsedine.
Il SUV proseguì per alcune centinaia di metri a passo d’uomo fino a che non raggiunse una recinzione di mattoni rossi. Oltre il cancello aperto si apriva un sentiero costeggiato da una vegetazione rigogliosa, punteggiata da faggi e ulivi. Non c’erano cartelli né alcun numero civico. In lontananza, tuttavia, emergeva un casolare a due piani con il tetto di coppi color ruggine.
Viola Puccini esaminò la mappa sul navigatore. Quando fu sicura di essere giunta a destinazione, proseguì lungo il vialetto fino a raggiungere il piazzale. Di fronte alla cascina rivestita di pietra c’era un’auto parcheggiata e alcuni rastrelli appoggiati alla parete. Sulla sinistra della casa, sotto un ciliegio in fiore, si vedevano una piccola altalena e uno scivolo.
«Non è stato facile trovarti», disse mentre scendeva dall’auto. Davanti alla veranda c’era Andreas Henkel, barba incolta, cappellino da baseball, jeans e maglione a righe. «Ho provato a telefonarti, ma il tuo cellulare è sempre staccato».
Lui sorrise appena, evidentemente a disagio. «Qui non prende. È uno dei motivi per cui ci siamo trasferiti».
Viola gli andò incontro e lo abbracciò con affetto. «Come state?». Fece una domanda volutamente generica. Anche se non aveva informazioni aggiornate, conosceva lo stato di salute di Stella e soprattutto quello della piccola Anahita.
Henkel accennò un altro sorriso e poi con aria trasognata disse: «Siamo stati peggio». La abbracciò anche lui. «E di Elisabeth hai notizie?»
«L’ho sentita un paio di mesi fa. Sta bene. Ha fondato un blog sugli Elohìm, in cui parla della Bibbia». L’abbaiare di un cane, in lontananza, la interruppe per un istante. «Sta ancora cercando di riconquistare Walid…».
Henkel scosse il capo, divertito, e subito dopo la invitò a entrare.
Attraversarono un atrio con tetto a cassettoni e pavimento in cotto e raggiunsero un grande soggiorno. Aveva un aspetto familiare, ammobiliato con credenze restaurate, un divano a L di fronte al camino e una imponente libreria a parete. Dalla parte opposta, di fronte alla grande finestra da cui si vedeva il mare, c’era un altro salotto, sistemato attorno a un tavolino di vimini. Si sedettero proprio lì.
«È splendida», si sentì in dovere di dire Viola, riferendosi alla casa. Si tolse il trench e dalla tasca estrasse due pagine A4.
«Era del padre di Stella, l’onorevole Rosati», spiegò Henkel, con apparente noncuranza. «Cosa sono?», aggiunse riferito ai documenti che Viola gli porse.
«Il motivo per cui ti volevo telefonare».
Sul foglio era raffigurata una tabella con alcuni numeri e qualche riga di testo: «Phoenix dactylifera? Malus?»
«Sono le tracce fossili rinvenute nella lettera di Bonifacio e soprattutto nel papiro». Sei mesi prima, poco dopo essere fuggiti dalla base, Henkel aveva consegnato a Viola una provetta contenente il DNA fossile estratto dai rotoli. Era fuoriuscita dalla borsa sterile che si era aperta durante la fuga di Xiaochen e lui l’aveva raccolta prima di lasciare l’hangar. «La datazione al carbonio 14 ha dato risultati chiari: risalgono a circa tremilasettecento anni fa».
«Sono le tracce dell’albero della vita?». Henkel restituì i fogli e si appoggiò allo schienale, apparentemente disinteressato.
«Malus, meglio conosciuto come melo, è definito l’albero della conoscenza».
«L’albero della vita e l’albero della conoscenza erano entrambi nel giardino dell’Eden», fece notare Andreas, il tono della voce piatto.
«Secondo la Genesi è così in effetti… Nel giardino dell’Eden c’erano due alberi, entrambi collegati al peccato originale. Ma se il melo è l’albero della conoscenza, quello della vita qual è?». Viola lo chiese sorridendo, quasi sottovoce.
«Gli altri reperti fossili a cosa corrispondono?», tagliò corto Henkel.
«Phoenix dactylifera è la palma da dattero. Cresce fino a circa il trentesimo parallelo, quindi molto più a sud del Sito A». Fece una pausa, osservando gli esami che aveva fatto commissionare ai laboratori dei carabinieri e poi proseguì: «Però era presente nel papiro in abbondanza».
«Non sei venuta qui solo per questi esami, vero?». Lui lanciò un’occhiata al quotidiano di quella mattina, che era sistemato sul tavolo. Poi tornò a guardare Viola.
«Né il melo né il dattero sembrano essere attivatori specifici», proseguì Viola, asciutta. «Almeno non dalle nostre analisi… Nessuno dei due è in grado di sollecitare la telomerasi e di sicuro nessuno dei due è l’albero della vita».
Nessuno dei due.
Henkel fece di tutto per rimanere impassibile. «Quindi sei qui ancora per la tua teoria?»
«La cinese ha mentito… o più semplicemente non ci ha detto tutto ciò che sapeva». Mentre pronunciava quelle parole estrasse dall’impermeabile un altro foglio. Era un ingrandimento dell’originale della lettera di Bonifacio: la parte finale, quella che non si leggeva bene nella riproduzione, adesso era ben restaurata.
«“Il mio spirito non durerà per sempre e non condividerò più i miei liquidi con l’uomo, perché non è che carne e la sua vita sarà di centoventi anni”», Andreas lesse quella frase con apparente noncuranza. «È la frase finale del testo di Bonifacio. La conosco bene e so quello che pensi… ma ti sbagli».
«Ricordi ciò che ti dissi in Turchia, appena rientrati dall’Iran? Ne hai parlato con Perrone?».
Lui annuì.
“Ne hai parlato con Perrone”. Ecco il motivo per cui era andata a trovarlo.
«Il segreto è tutto lì!», proseguì Viola. «Ne sono certa… anche se non ho modo di dimostrarlo».
A quel punto Henkel sospirò. Per quanto si sforzasse di mantenere un atteggiamento distaccato era evidente che rileggere quel testo l’avesse turbato. Conosceva molto bene la somiglianza di quei versi con un noto passaggio della Genesi. I due scritti si differenziavano per un piccolo dettaglio… Ed era esattamente il dettaglio la causa per la quale lui si trovava lì.
Chiuse gli occhi, e con la mente tornò a quella notte di sei mesi prima, poco dopo il raid alla base GenARTIF.