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Città del Vaticano. 22:10.

 

Monsignor Raniero Savelli, prefetto degli Archivi Segreti Vaticani, si lasciò cadere sulla poltrona dello studio e strinse il cellulare tra le dita.

Prima di rispondere al suo interlocutore, si concentrò sulla pagina di un catalogo davanti a lui. Si vedeva l’immagine di una pergamena scritta in greco, raffigurante il Codex Vaticanus, uno dei più antichi manoscritti della Bibbia. Rispetto al testo di riferimento della Chiesa di Roma presentava oltre duemila varianti ma era considerato canonico dalla dottrina greco-ortodossa.

Era la seconda volta che quel documento gli creava problemi, oltretutto durante il periodo che il papa aveva definito “Operazione trasparenza”.

Poco più di un anno prima, un archeologo napoletano aveva condotto una campagna di scavi in Islanda per cercare alcune parti mancanti del Codex. Da quanto sapeva, quella spedizione non aveva avuto buon esito e Savelli aveva archiviato la questione. Almeno fino al lunedì precedente, quando un domenicano che non aveva mai sentito nominare aveva bussato alla sua porta.

«C’è un’asta, a Firenze», aveva esordito il giovane frate, un teologo del Bible Project di Gerusalemme. «Come le ho scritto qualche giorno fa, potrebbe trattarsi di una scoperta sensazionale, almeno da quello che si vede qui».

Lamberto Zonca aveva mostrato al monsignore il catalogo, nel quale erano raffigurate alcune immagini di rotoli scritti in ebraico e in greco. Si vedevano papiri fotografati su uno sfondo di velluto rosso e particolari di testo perfettamente leggibili. Nella pagina di fianco erano riportate le caratteristiche del lotto 302 e le indicazioni sulle modalità di partecipazione alla gara, definita a “offerta segreta”.

Il prefetto aveva fissato le immagini con i suoi occhi grigi senza dire nulla.

«Si sa da dove provengono? Chi è il proprietario?», aveva domandato poi, stupito. La mente gli era andata inevitabilmente alla spedizione islandese. Gli avevano assicurato che era stata un fallimento… potevano avergli mentito?

«La casa d’aste non fornisce queste informazioni. Si sa soltanto che l’intermediario è un grosso studio legale svizzero. Evidentemente il proprietario non intende rivelare il suo nome».

Monsignor Savelli aveva guardato a lungo fra’ Zonca, dubbioso sul significato di quella visita. «Perché è venuto da me?»

«Veramente speravo che gli Archivi partecipassero all’asta. So che avete un budget molto elevato. Potrebbero essere documenti determinanti per lo studio degli antichi testi dei Masoreti».

I Masoreti.

Si trattava dei cosiddetti custodi della tradizione israelita: studiosi che fra il VI e il IX secolo si erano occupati di riordinare i libri biblici e aggiungere le vocali, che fino a quel momento venivano solo pronunciate ma non scritte. Il loro lavoro era stato quello di identificare le singole parole, che nei testi originali erano tutte unite in un’unica stringa continua di consonanti, e appunto vocalizzarle. In quei quattro secoli di studio, in cui la scuola di Tiberiade si era affermata sulle altre scuole masoretiche, erano stati così determinati i significati definitivi poi tramandati ai posteri. Molti studiosi della Bibbia, in seguito, avevano anche sospettato che i Masoreti avessero occultato deliberatamente alcuni dei messaggi in contrasto con la dottrina del Vaticano. Nonostante ciò, il loro lavoro era giunto fino all’età moderna e continuava a fungere da riferimento per tutti i testi cosiddetti canonici.

«Gli Archivi non partecipano alle aste!», aveva sentenziato il prefetto. «Capisco che, se si dimostreranno veri, quei documenti potrebbero essere importanti per i biblisti. Ma avrebbero un uso prettamente accademico. Non sono di nostro interesse, mi spiace».

Fra’ Lamberto Zonca era rimasto senza parole. Se l’oggetto di quell’asta era ciò che lui immaginava, il messaggio per la Chiesa sarebbe stato dirompente. Era possibile che in Vaticano non se ne volessero interessare?

«Mi ha fatto piacere conoscerla». Savelli si era voltato verso la cupola di San Pietro illuminata e poi l’aveva liquidato. «Le faccio i miei auguri per l’asta».

Appena Zonca era uscito, il prefetto si era passato un dito sulle labbra e in pochi minuti aveva deciso come agire. Aveva richiamato dalla memoria del suo cellulare un numero catalogato sotto le iniziali E.C. e l’aveva composto.

La settimana successiva si trovava nello stesso studio affacciato sul cortile del Belvedere, seduto sulla stessa poltrona e al telefono con la stessa persona.

«C’è qualcosa che non torna. La cauzione è stata restituita…», l’apostrofò tra i denti, il tono molto meno amichevole di quanto avrebbe voluto. «Ho bisogno che facciate quello che è necessario per riparare ai danni».

Dall’altro capo del telefono, una voce lo rassicurò. «Eccellenza, gli imprevisti capitano. Stia tranquillo, risolveremo la questione».

«Non credo sia il caso che sottolinei l’importanza della faccenda», ribadì il religioso.

«Sono perfettamente consapevole della posta in gioco. Se ne stanno occupando i nostri uomini migliori».

Savelli chiuse la comunicazione con uno scatto d’ira, ma si sforzò di rimanere concentrato. Davanti a lui, alla televisione, si vedevano le immagini di un violento terremoto in Medio Oriente. Ciò che gli interessava, però, erano le notizie che scorrevano nella parte bassa del teleschermo: ATTENTATO ALLA CASA D’ASTE PAOLINI: 2 MORTI ACCERTATI.

Quella vicenda era andata oltre ogni immaginabile limite. Non poteva rimanere con le mani in mano. Afferrò la cornetta e compose il numero di un interno del Vaticano. «Graham, ha visto la TV?», borbottò alla voce dall’altro capo del telefono. «Bene, la storia di Paolini non mi convince. Ho bisogno che parta questa sera stessa!».