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Firenze. 09:45.
-60:14:11 alla deadline.
La gazzella dei carabinieri si infilò nella stretta via della Condotta, alle spalle di piazza della Signoria, e procedette a passo d’uomo.
Andreas Henkel era seduto sul sedile posteriore in compagnia di un agente, che fissava distratto fuori dal finestrino. Alla guida c’era Viola Puccini e sul sedile del passeggero Fabio Aruta.
Dopo aver parlato con il sottotenente e con il capitano su Ponte Vecchio, li aveva convinti a tornare nella sede della Paolini CA. Sapeva che nel corso della mattinata, al più tardi nel pomeriggio, il suo nome sarebbe finito sulla lista dei ricercati della Gendarmeria. Per guadagnare tempo, aveva così raccontato solo una minima parte della verità. Aveva spiegato che, invece che per sé, stava cercando di recuperare la Bibbia rubata per conto del Vaticano. Aveva anche raccontato che Paolini poteva essere coinvolto nel furto e che forse, per tale ragione, era stato ammazzato.
«Cosa spera di trovare nella sede della casa d’aste?», indagò Aruta, per nulla convinto ad assecondare Henkel. «Le due vittime dell’attentato non sono ancora state identificate».
«La Paolini CA ha restituito tutte le cauzioni dei partecipanti alla procedura d’asta», chiarì l’agente dell’SSV, molto più calmo di quanto realmente era. «Forse tra i documenti fiscali potremmo trovare degli indizi utili. Magari qualche acquirente scontento, oppure delle tracce di una truffa assicurativa».
«Ne dubito», replicò il capitano. «I carabinieri hanno perquisito ogni centimetro quadrato di palazzo Beltrami. Non hanno trovato nulla di insolito».
«Perché quella Bibbia è tanto importante?», cambiò discorso Viola, molto più convinta di Aruta che Henkel li potesse aiutare.
«È un testo molto antico», le spiegò l’agente dell’SSV. «È sfuggito al lavoro dei Masoreti e quindi potrebbe contenere dettagli importanti per i biblisti».
«I collezionisti però di solito non arrivano a organizzare attentati…».
Henkel fece spallucce.
«E se non è stato un biblista, chi potrebbe avere interesse a uccidere quattro persone?»
«E quello che spero di scoprire. Se voi troverete l’assassino, io, forse, avrò trovato l’autore del furto».
«Nessuno ci assicura che stiamo cercando la stessa persona…», intervenne stizzito Aruta.
Nel frattempo l’auto, destreggiandosi tra i passanti dediti allo shopping, si fermò all’incrocio con via dei Cerchi. Alla loro sinistra, oltre le vetrine di una valigeria, si stagliava la sagoma inconfondibile di Palazzo Vecchio con la sua torre trecentesca.
Viola parcheggiò all’imbocco di via delle Farine, accanto ad alcuni automezzi elettrici.
Aruta e Henkel scesero simultaneamente, pronti a percorrere a piedi il breve tratto di strada che li avrebbe condotti in piazza della Signoria. Ma nessuno dei due si mosse. Entrambi si voltarono verso l’imbocco della stradina dalla quale erano arrivati.
Viola, che scese un secondo più tardi, fu l’ultima a comprendere ciò che stava accadendo.
Un piccolo furgone Mercedes-Benz color argento, lanciato a tutta velocità, era comparso in fondo alla strada.
Henkel si abbassò d’istinto, proprio mentre un colpo di arma da fuoco fu esploso dal finestrino.
Nessuno dei presenti riuscì a vedere in volto l’autista, perché man mano che il furgone si avvicinava gli spari si moltiplicarono.
Urla di terrore saturarono l’aria e la gente cominciò a correre in maniera scomposta da ogni lato.
Viola estrasse l’arma e la puntò oltre il tettuccio della gazzella, verso Aruta, che era immobile. Sparò due colpi, ma non riuscì a impedire al furgone di avvicinarsi ulteriormente.
Quando gli fu davanti, altri tre o quattro spari si susseguirono a distanza ravvicinata. Uno la colpì di striscio.
La donna portò la mano al fianco sanguinante e trattenne il fiato per il dolore. Contemporaneamente anche Aruta si accasciò, esanime.
Tutto accadde in pochi istanti e, come era venuto, il furgone si allontanò, strisciando una fiancata sul muro di via della Condotta.
Henkel sorresse il capitano e lo appoggiò a terra. Poi risalì in macchina dal lato del passeggero. «Forza», gridò. «Seguiamolo».
Viola strinse i denti, rientrò nell’auto e si mosse in retromarcia.
Mentre alcuni turisti riprendevano la scena con i telefonini, il sottotenente osservò Aruta dal finestrino. Era sul marciapiede, incosciente. Ma non ebbe il tempo di riflettere. Ingranò la prima e sgommando si mise alle calcagna del furgone.
Il Toro sterzò con decisione per evitare un pedone. Era furibondo. Da quando era tornato in attività per “sostenere la causa” era la prima volta che commetteva un errore simile. «Risolva il problema», gli aveva ordinato E.C. Non sapeva se Henkel fosse a conoscenza del “segreto” e se quindi meritasse di morire, tuttavia doveva eseguire. E aveva fallito: l’operazione era stata pianificata troppo in fretta e l’agente vaticano era stato fortunato, abbassandosi proprio nel momento esatto in cui lui aveva premuto il grilletto.
Controllò lo specchietto retrovisore e pigiò sull’acceleratore. Da predatore era diventato la preda: la gazzella era dietro di lui, a trenta metri. Aveva acceso la sirena.
In quel punto la piccola strada era pedonale. Il Toro ignorò le urla dei passanti. Proseguì dritto, fino a incrociare via dei Calzaiuoli, la strada più elegante di Firenze. Era larga, brulicava di turisti ed era piena di negozi da entrambi i lati.
Voltò a destra, con uno stridio di pneumatici sul selciato, e puntò verso il Duomo. Davanti a lui, in mezzo alla strada, c’era un carretto trainato da un cavallo. Lo superò, voltando di scatto prima a sinistra e poi a destra. Lo scooter, che era sistemato nel retro del furgone, si mosse pesantemente.
La gazzella non aveva ancora svoltato perché dal retrovisore non riusciva a inquadrarla. Ne approfittò per accelerare ancora, digrignando i denti. Improvvisamente, una coppia di turisti con sacchetti della spesa gli si parò davanti. Non fece in tempo a schivarli che sentì qualcosa che strisciava sulla fiancata.
Le urla di terrore si moltiplicarono. Fissò ancora lo specchietto e riuscì a vedere una donna sdraiata nel centro della carreggiata. Mentre la guardava, con la coda dell’occhio vide comparire l’auto dei carabinieri.
Percorse ancora qualche metro di strada, fino a via degli Speziali. Quando la incrociò, però, davanti a lui si materializzò un folto gruppo di turisti. Si trattava di almeno cento orientali, sorridenti, spaesati e muniti di grosse macchine fotografiche. Si riversarono su via dei Calzaiuoli e quando lo videro, lanciato a tutta velocità verso di loro, cominciarono a sparpagliarsi confusamente.
Il Toro puntò dritto verso di loro. Forse poteva volgere a suo favore quell’imprevisto.
Voltò a destra, andando verso l’incrocio con via del Corso e poi, azionando il freno a mano, tornò sulla strada principale. Compiendo un’inversione a U, riuscì a evitare i turisti e a proseguire verso il Duomo.
Strinse il volante e, quando davanti a lui comparve il campanile di Giotto e la sagoma inconfondibile della cattedrale, capì di avercela fatta.
La gazzella doveva essere bloccata dietro i turisti. Ma non sarebbe rimasta ferma per molto.
Superò due ambulanze e parcheggiò il furgone davanti alla splendida loggia rinascimentale del Bigallo. Alcuni curiosi lo guardarono sbigottiti. Si infilò nella parte posteriore del furgone, montò sullo scooter e aperta la porta saltò giù.
In pochi secondi scomparve dietro il battistero di San Giovanni.
Dieci minuti più tardi, una serie di telefonate si incrociarono tra Venezia, il Vaticano e il Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Firenze.
L’ultimo telefono a squillare, alle dieci in punto, fu quello della redazione del quotidiano «La Nazione».