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Lugano, Svizzera. 21:40.
Due mani possenti gli infilarono un cappuccio nero sulla testa e lo trascinarono via di peso.
Henkel non oppose resistenza, non avrebbe potuto: aveva le mani ammanettate dietro la schiena, era disarmato e i suoi aggressori erano in evidente vantaggio numerico.
Non era la prima volta che si trovava in situazioni di pericolo, ma di solito, se capitava, era a causa del suo lavoro nei servizi segreti del Vaticano. In quel caso era diverso: lui si trovava a Lugano per questioni relative alla sua vita privata, la vita che condivideva con Stella.
La frequentava da quasi tre anni e, ironia della sorte, si erano conosciuti proprio grazie alla loro professione. Lei, in qualità di magistrato, era stata chiamata a indagare su un attentato alla Sacra Sindone e quell’indagine li aveva avvicinati.
Negli ultimi dodici mesi, però, le cose si erano complicate. Non avevano trascorso un periodo facile: il padre di Stella – il potente ministro Rosati – era morto per un attacco cardiaco. In più, all’incirca negli stessi giorni, la donna aveva scoperto di non poter avere figli.
Non che ne avessero mai parlato. Né di figli e neppure di matrimonio. Lui, nonostante avesse superato i cinquanta, non era neppure certo di sentirsi pronto a legarsi e a fare il padre.
Eppure sapeva che per Stella quella era la priorità assoluta, prima del suo lavoro e prima dell’amore per un uomo. Il loro rapporto ne aveva risentito: si erano lasciati e si erano rimessi insieme, come due ragazzini che non hanno ben chiare le dinamiche di coppia. E poi c’era stata la telefonata, inaspettata e risolutiva al tempo stesso.
«Si può fare», gli aveva sussurrato, le lacrime agli occhi. «In Svizzera c’è uno studio legale. Sono in contatto con gli Stati Uniti. Presto saremo una famiglia».
Così avevano agito esattamente come aveva voluto lei: erano saliti sul suo SUV ed erano andati a colloquio con un borioso avvocato di Lugano.
E a quel punto era entrato in scena l’uomo con i capelli rossi che l’aveva trascinato in quella trappola.
«Come siete prevedibili voi uomini di legge», osservò una voce. Subito dopo si udì il sibilo di una porta scorrevole e una ventata d’aria lacustre. «Basta gettarvi l’amo giusto e abboccate senza fare domande».
«Cosa volete?», fu la risposta dura dell’agente dell’SSV.
«Non abbia fretta di sapere», tuonò la voce, mentre in lontananza si udiva lo stridio di uno pneumatico. «Sarà una lunga nottata».
Henkel udì un rombo avvicinarsi. In lontananza risuonavano gli schiamazzi della città e i rumori di qualche auto. Alla sua sinistra, oltre la via che aveva intravisto pochi attimi prima, ci doveva essere il lago.
Subito dopo si sentì spingere su qualcosa di morbido. Con gli occhi coperti non poteva vedere, ma dai rumori delle portiere intuì che nel veicolo si erano seduti altri due uomini.
Una mano gli tenne la testa incollata al sedile, e quel particolare convinse Henkel che erano in un’auto piuttosto che su un furgone: se c’era l’esigenza che lui rimanesse giù, significava che dal finestrino qualcuno avrebbe potuto vederlo.
Mentre la macchina partiva a razzo, cercò di elaborare un piano. Aveva le mani legate dietro la schiena e non era in grado di vedere quanti aggressori avesse attorno. Forse avrebbe potuto usare le gambe con quelli che gli stavano accanto, ma l’effetto sorpresa sarebbe durato troppo poco per fornirgli una concreta via di scampo.
«Dove mi state portando?», provò a domandare. Se non poteva scappare tanto valeva guadagnare tempo e acquisire informazioni.
«Abbiamo preparato per lei una bella sorpresa!», lo sferzò la stessa voce, con lieve accento mediorientale. Sembrava provenire dal sedile anteriore. «Non abbia fretta. Tra poco saprà ciò che le serve».
«Perché io?»
«Perché sappiamo per chi lavora…».
Per chi lavora.
C’entrava il Vaticano quindi?
«E se proprio lo vuole sapere», continuò la voce, «perché si è comportato esattamente come ci aspettavamo quando le abbiamo messo alle calcagna il buon Frédéric».
In quel momento l’auto voltò a destra e subito dopo a sinistra. Evidentemente avevano girato attorno all’edificio. Probabilmente adesso stavano costeggiando il grande parco che aveva visto al suo arrivo al casinò.
Per alcuni minuti rimase in silenzio, cercando di memorizzare il percorso dell’auto. Era stato addestrato a farlo. L’aveva imparato nell’STB, il servizio di sicurezza cecoslovacco, dove si era formato professionalmente prima di passare ai Servizi Vaticani. In quella circostanza era più difficile però, perché non conosceva affatto le strade di Lugano.
Contò mentalmente il numero di svolte e i secondi che intercorrevano tra una e l’altra. Calcolò che a una velocità media di sessanta chilometri orari potevano aver percorso tra i quindici e i venti chilometri.
Improvvisamente, dopo una doppia curva a destra, l’auto rallentò e affrontò una lieve discesa.
«Avant». Una voce roca risuonò nell’abitacolo. Subito dopo, udì il motore diesel spegnersi e la porta alla sua sinistra aprirsi.
Qualcuno lo afferrò di peso e un attimo dopo si trovò a camminare lungo una superficie liscia, forse di marmo. C’era odore di disinfettante e si udiva il ronzio dei condizionatori. Una lieve brezza proveniva da davanti a lui.
Procedette per centottantasette passi, svoltando solo una volta a sinistra, e alla fine le solite possenti mani lo costrinsero a sedersi. Un nuovo paio di manette lo immobilizzò alla sedia.
Qualcuno rimosse il cappuccio e in un primo momento la luce che aveva puntata negli occhi gli impedì di capire dove si trovava.
Gli occorsero alcuni secondi, poi, le ombre che aveva intorno presero la forma di tre energumeni dotati di mitraglietta.
Davanti a lui, oltre la lampada, c’era una stanza vuota e un grosso televisore OLED, appoggiato su un tavolo in noce addossato alla parete.
«Dove sono?», si informò, certo che nessuno gli avrebbe risposto.
Un tizio calvo e con gli occhi scavati, lo stesso che l’aveva atteso fuori dall’ascensore, si limitò a sorridergli e a fare un cenno.
Frédéric si avvicinò alla TV e l’accese.
Una schermata blu si parò davanti a lui. Si vedeva la rappresentazione di una ruota dentata che girava in senso orario e una percentuale: 50%. 80%. 100%.
D’un tratto, il blu dello sfondo scomparve, sostituito dall’immagine di un tunnel, con le pareti bianche arrotondate e sulle quali erano impresse strane sigle. Sopra c’erano due file di neon accese, che arrivavano fino a una paratia metallica con una porta. Il pavimento era anch’esso di metallo e al centro sembrava ci fosse una sorta di binario.
«Buonasera, signor Henkel», disse un uomo distinto, sulla cinquantina, che entrò dalla porta in fondo al tunnel e avanzò in direzione della telecamera. Spingeva lentamente una sedia a rotelle con una persona incappucciata e ammanettata ai braccioli. «Mi chiamo Herman Van Buuren e sto per proporle un affare».
Quando fu esattamente di fronte all’obiettivo della telecamera, Henkel trasalì. Il sangue gli gelò nelle vene. Anche se portava un cappuccio, capì immediatamente chi c’era sulla carrozzina: Stella.