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Firenze. 21:45.
Il Frecciarossa diretto a Bologna sarebbe arrivato alle ventidue in punto. La banchina numero 8 della stazione di Santa Maria Novella era gremita e fra’ Lamberto Zonca faticò a raggiungerla: zoppicava e trascinava dietro di sé un ingombrante trolley verde militare.
Anche se era claudicante per la caduta subita durante l’attentato di quella mattina, se l’era cavata solo con alcune costole incrinate e una lieve commozione cerebrale.
I medici dell’ospedale di Firenze avevano insistito affinché trascorresse almeno una notte sotto osservazione. Il domenicano, però, aveva deciso di tornarsene subito nella sua Bologna.
Prima di essere dimesso aveva parlato con gli inquirenti, ma il suo contributo era stato tutt’altro che determinante. Il religioso rammentava pochi particolari ed era riuscito a fornire solo una vaga descrizione di uno degli attentatori. Da quanto ricordava, si trattava di un uomo muscoloso, tarchiato, con un vistoso crocifisso d’oro al collo.
Così, a tarda sera si era diretto verso la stazione. Mentre camminava lungo la banchina, Zonca scosse la testa e ripensò al fuoco e alle due esplosioni. Il fumo era ancora davanti ai suoi occhi, e le urla di terrore di tutti gli spettatori dell’asta gli rimbombarono nelle orecchie. Ne era certo: la sorte l’aveva aiutato ma, nonostante tutto, non era più tanto convinto che il merito fosse di Nostro Signore.
Da qualche tempo, Dio non era più il suo primo pensiero al risveglio e l’ultimo prima di addormentarsi. La sua fede vacillava. La sua facciata esteriore, quella che i suoi confratelli vedevano, era sempre la stessa: un religioso umile e soprattutto un teologo serio e affidabile. Però qualcosa in lui era mutato.
Proprio quella che era la sua principale virtù, ovvero la capacità di leggere e tradurre l’ebraico antico, adesso era la causa del suo turbamento.
Lamberto Zonca, nonostante la sua giovane età – aveva da poco superato i quarant’anni –, era infatti uno dei teologi più apprezzati del Bible Project. Si trattava di un progetto cominciato alla fine degli anni Cinquanta che si proponeva di pubblicare una nuova versione della Bibbia. Quella definitiva, si diceva, in cui tutti i dubbi e le incongruenze tra le decine di testi sparsi nel mondo fossero stati definitivamente appianati.
Zonca si recava mensilmente alla Hebrew University di Gerusalemme e nel silenzio degli ulivi si dedicava a ciò che sapeva fare meglio: esaminare gli antichi Testi Sacri e tradurli.
«Fino agli interventi dei Masoreti, ogni testo biblico trascritto a mano o sotto dettatura era sempre diverso dal precedente», usava dire ai suoi allievi. «Ma da un certo momento in avanti, nel “Tempio” si decise che il testo ufficiale era uno e soltanto uno. Da allora, tutti i libri vennero corretti e quelli molto divergenti, non potendoli distruggere, furono seppelliti».
E quella era la ragione dei suoi recenti turbamenti, la stessa che l’aveva spinto ad andare prima in Vaticano e poi a Firenze.
«Il treno Frecciarossa 9562 proveniente da Roma Termini e diretto a Milano Centrale è in arrivo sul binario 8», comunicò una voce femminile all’altoparlante.
Zonca, che quando viaggiava non indossava abiti secolari, si sistemò il giaccone nero e la sciarpa che gli copriva la folta barba. Poi, come mosso da un riflesso condizionato, tastò la tasca interna, per verificare che la lettera fosse ancora lì.
Per un istante, sfiorando l’interno della giacca con le dita infreddolite, gli parve di non sentirla. Lasciò il trolley sulla banchina e si aprì il giubbotto. E infine la trovò: una riproduzione a colori di una missiva datata 1206. L’originale era stato custodito per otto secoli nella biblioteca di San Domenico, ma recentemente era stato necessario farlo uscire dal convento. In ogni caso, era a causa di quello scritto, firmato da Bonifacio I degli Aleramici, condottiero della IV crociata, che aveva saputo dell’asta da Paolini.
Il domenicano ne guardò la copia per l’ennesima volta ma non fece in tempo a rimetterla al suo posto che una ventata d’aria gelida annunciò l’arrivo del Frecciarossa.
Nello stesso istante, un uomo soprannominato il Toro era immobile alle spalle del religioso.
Nonostante fosse un armadio di muscoli che non passava inosservato, era riuscito a seguire Zonca senza essere visto. L’aveva tenuto d’occhio fin dal suo ingresso in Santa Maria Novella ma, come da istruzioni, si era tenuto a debita distanza. Fino a quel momento.
Quando gli altri passeggeri sulla banchina si spostarono, pronti a salire, l’uomo si avvicinò al domenicano.
Il muso affusolato del Frecciarossa comparve alla loro sinistra. Era a cinquanta metri e avanzava a velocità ancora sostenuta.
Il Toro attese un secondo e fece un altro passo verso Zonca.
Un fischio stridulo risuonò nell’aria appena un attimo prima che l’uomo piombasse sul religioso.
Non fu necessaria molta forza. Una lieve spinta e il domenicano perse l’equilibrio. Qualcosa gli cadde di mano. Provò ad aggrapparsi, ma invano. Barcollò e rovinò sui binari un secondo prima che il treno sfrecciasse davanti a lui.
Qualcuno urlò per il terrore, ma era troppo tardi. Il Frecciarossa non accennò minimamente a rallentare e, quando il macchinista si rese conto dell’accaduto, il Toro si era già dileguato.
Sulla banchina numero 8, oltre alla valigia di Zonca, rimase soltanto una lettera ingiallita con il simbolo di uno scudo e la data del 1206.