CAPITOLO 85
Ore 09:55
Non era mai stato un appassionato di cinema. Ma aveva una dote: non dimenticava facilmente i film che vedeva.
In particolare, si ricordava di averne visto recentemente uno del 1961. Si intitolava I cannoni di Navarone ed era stato girato sull’isola di Rodi, nei pressi di un paesino di nome Lindos. Una delle scene più famose era stata ripresa sulle scogliere a strapiombo sul mare di quella che, in seguito, era poi stata ribattezzata baia di Navarone, un angolo di paradiso di sabbia dorata e acqua color smeraldo.
Lorenzo Fossati era arrivato a Lindos basandosi solo su quel debole indizio. Si era ricordato della fotografia mostratagli da Eva in un piccolo albergo in Provenza. Gli era rimasta impressa perché, pur non essendoci mai stato, da quella foto aveva creduto di riconoscere le ambientazioni del film.
Quando Eva non si era presentata all’appuntamento a Buxelles, Fossati aveva preso una decisione. D’istinto, come spesso gli era accaduto nella sua vita. Era giunto il momento di essere l’artefice del suo destino. Doveva smettere di fuggire dalle opportunità che la vita gli metteva a disposizione.
Aveva conosciuto quella donna ed era sicuro fosse quella giusta. Doveva provarci. Doveva trovarla. Non gli importava affatto che lei lo avesse abbandonato ed era convinto che, nonostante fosse un’assassina di professione, avrebbe potuto, in qualche modo, aiutarla a redimersi.
Così, non potendo tornare in Italia, al suo lavoro, per paura di essere trovato e ucciso, con i soldi della moglie di Defour si era messo alla ricerca di Eva.
L’indizio della baia di Navarone non era molto, ma era un inizio.
Una volta a Rodi aveva fatto domande e si era guardato in giro. Aveva visto la foto della villa solo una volta e molto velocemente. Però si ricordava la baia, si ricordava la terrazza, la struttura in cemento armato e la vetrata affacciata sul mare. Non era stato troppo difficile trovare la casa.
La conferma l’aveva avuta quando, rotti i sigilli della polizia, una volta dentro aveva riconosciuto Eva in una gigantografia in bianco e nero appesa al muro.
«Non ti muovere!», ingiunse una voce femminile. Era inconfondibile. «Non ti muovere o sparo!».
Fossati sorrise. «Veramente avevo immaginato un’accoglienza diversa!», replicò il PM, che quando si era introdotto nella casa non aveva idea di quanto tempo avrebbe dovuto aspettarla.
Eva rimase immobile. Incredula.
Fossati si voltò lentamente, tenendo le mani bene in vista, e le sorrise di nuovo.
Eva sorrise a sua volta.
«Lorenzo! Ma come…», balbettò lei. Era visibilmente commossa e i suoi occhi sprigionavano felicità.
«Puoi abbracciarmi se vuoi», le disse lui, ironico.
Lei rimase ferma con la pistola ancora tra le dita.
«Non mi interessa chi sei. Non mi interessa cosa hai fatto per vivere. Quello che mi interessa è che voglio stare con te!».
La donna, finalmente, abbassò l’arma e gli andò incontro. Prima camminando, poi, dopo qualche istante, correndo.
Si abbracciarono. Un lungo e intenso abbraccio. Lei, senza sapere il perché, cominciò a piangere. Le lacrime cominciarono a sgorgare sempre più abbondanti e mentre lo baciava ne sentiva il sapore salato.
«Me l’avevi promesso», mormorò Fossati tra un bacio e l’altro.
«Cosa?», domandò lei, le lacrime agli occhi.
«Mi avevi promesso che quando questa storia sarebbe finita saremmo rimasti insieme».
Eva si ricordò. Era stata la stessa sera in cui avevano discusso della fotografia. «Veramente ti avevo promesso che se fosse finita bene saremmo rimasti insieme!».
Fossati sorrise. «Se sei tornata a casa tua… significa che la questione è risolta. E comunque siamo insieme. È già un buon inizio!».
Eva lo abbracciò forte. «Veramente io ho lavorato per entrambi». Gli sorrise. «Siamo salvi! Siamo salvi».
Fossati la guardò: era bellissima, proprio come la ricordava. Nonostante le lacrime, gli occhi le brillavano di una luce inconfondibile: era felice e non faceva nulla per nasconderlo.
Eva si staccò da lui e gli prese la mano. «Vieni, entriamo in casa».
Fossati la seguì.
Finalmente gli sembrava naturale e a suo agio.
Non fu un giro turistico per la villa. Si diressero subito in camera da letto.
I due rimasero vicini, l’uno accanto all’altra per lunghi interminabili minuti. Le carezze di Fossati le regalarono brividi di piacere. I suoi baci la mandarono in estasi. La pelle liscia di Eva era premuta sul corpo di lui. Più l’accarezzava più lei si avvinghiava alle sue braccia. Il suo odore, il suo sapore… tutto era molto più intenso e penetrante di quella prima volta a Barcellona.
A entrambi sembrava di conoscere da sempre ogni lembo di pelle dell’altro. Mentre la schiena diritta di lei si inarcava, i muscoli di lui si contraevano sotto il suo peso.
Restarono vicini e uniti a lungo, poi, dopo un gemito e un lungo bacio, i due rimasero immobili l’uno nelle braccia dell’altra e si addormentarono.
A pomeriggio inoltrato, quando il sole aveva cominciato a disegnare lunghe ombre sul pavimento della camera, Fossati si svegliò. Nel letto era solo.
Si alzò svogliatamente e si diresse in bagno in cerca di Eva. Non la trovò, e con indosso una vestaglia da donna cominciò, scalzo, a perlustrare la villa.
Quando rientrò nell’ampio soggiorno notò che Eva aveva raccolto i vetri e addossato al muro il tavolo rotto. Anche in cucina la macchia di pioggia era stata asciugata e il pavimento ripulito.
Fossati salì i tre gradini e si ritrovò nel terrazzo.
Il sole era striato di rosso e i colori del tramonto conferivano a quella vista mozzafiato un fascino tutto particolare. Si era rialzata una piacevole brezza che faceva ondeggiare su e giù i rami dell’oleandro bianco.
«Eva?», chiamò Fossati.
Nessuna risposta.
Si appoggiò alla balaustra e ne approfittò per guardare dall’alto la splendida baia sottostante. Era semideserta. Più al largo si intravedeva una piccola imbarcazione a motore.
«Eva?», ripeté Fossati.
Non ricevendo risposta rientrò in casa e si guardò in giro.
Tutto quello che fino a poche ore prima gli era parso fuori posto, era stato riordinato. Ripercorse l’intero soggiorno fino ad arrivare vicino all’ingresso, dove era sistemato il divano in pelle e un tavolino. Sopra c’era un foglio scritto a mano.
Fossati, titubante, lo afferrò delicatamente, lo avvicinò al naso e lo lesse.
Caro Lorenzo,
Ti avevo promesso che saremmo rimasti insieme a una condizione: che tutti i cattivi fossero stati puniti e noi fossimo ancora vivi.
Mi sono resa conto di avere ancora una cosa importante da fare. Spero potrai aspettarmi ancora per un po’…
:-) Eva
“Ancora per un po’. Quanto esattamente?” Lorenzo scosse la testa.
Lasciò il messaggio sul divano e tornò sulla veranda. Non era arrabbiato, lei sarebbe tornata. Doveva solo aspettare.
Il sole stava andando a nascondersi dietro l’orizzonte e il cielo era striato di colori che andavano dal rosso al giallo.
Fossati si appoggiò alla balaustra, respirò a pieni polmoni e scrutò il Mediterraneo. Infine sorrise.