CAPITOLO 42
Roma, ore 23:20
Fossati guardò ancora lo specchietto retrovisore: i fari dell’auto erano sempre lì, dietro di lui.
Accelerò ancora.
Ormai la sua mente era completamente sgombra.
Tutti i ragionamenti che l’avevano assillato fino a un secondo prima erano scomparsi in un lampo, alla vista di quella grossa Audi nera.
Il suo unico pensiero, adesso, era la fuga. Non importava da chi, non importava da cosa.
“Prima scappa, poi chiedi chi è!”.
Via Salvini, in quel punto, piegava a sinistra. Il sostituto procuratore voltò e scalò la marcia.
Il potente motore rombò e le gomme della moto slittarono sull’asfalto ancora umido.
Fossati sfiorò il serbatoio e dette un’altra fugace occhiata agli specchietti: l’Audi non si vedeva, probabilmente stava ancora completando la curva.
Arrivato nei pressi di via Petrolini, vide un piccolo veicolo proveniente dalla sua destra.
Avrebbe dovuto dare la precedenza, ma il PM non rallentò.
Neppure l’auto rallentò.
L’MV Agusta F4 si immise nell’incrocio come un missile.
Fossati accelerò ancora per cercare di evitare l’impatto.
L’auto frenò e subito dopo sbandò. Uno stridore di pneumatici fu l’unica cosa che il centauro percepì da sotto il casco. L’autista voltò prima a desta poi a sinistra con il solo scopo di evitare la moto.
Fossati schivò il paraurti dell’utilitaria all’ultimo istante. Gli parve quasi di sentire la gomma posteriore sfiorare l’auto.
Dopo aver provato inutilmente a evitare la motocicletta, la macchina, come impazzita, andò a concludere la sua corsa contro la vetrina di una farmacia, all’incrocio con una strada privata.
Un clacson cominciò a suonare.
Fossati riprese l’equilibrio e proseguì la corsa forsennata.
Guardò ancora il retrovisore. Dietro di lui si vedeva una piccola colonna di fumo. Indugiò ancora per verificare la presenza dei fari dell’Audi. Forse aveva rallentato. Era più lontana, sembrava avere perso terreno.
In quel punto via Salvini girava ancora a sinistra. Era come un circuito ovale che alla fine l’avrebbe riportato nella posizione di partenza.
Proseguì senza rallentare e continuando a guardare ossessivamente lo specchietto.
L’auto era sempre più lontana.
Superò un furgoncino che procedeva lentamente davanti a lui. L’Audi non avrebbe potuto superarlo perché la strada era troppo stretta.
Sulla destra c’era un chiosco di piante e fiori che stava chiudendo. Lì davanti trovò un intoppo: un cantiere e la strada sbarrata da due transenne.
Non rifletté troppo. Non ne aveva il tempo. Tirò dritto verso l’unica apertura visibile. Rallentò appena e si infilò nel poco spazio lasciato libero dai cartelli stradali.
Il fondo era sconnesso. Anche se i lavori di sistemazione dell’asfalto venivano fatti di sera, non c’era traccia di operai al lavoro.
D’un tratto successe qualcosa di inaspettato. Guardò per la centesima volta lo specchietto e vide una strana scena.
L’Audi procedeva lentamente. Rallentò ancora, mise la freccia e svoltò a destra, andando dalla parte opposta rispetto a lui.
Non poteva non averlo visto proseguire per il cantiere. Eppure non aveva indugiato neppure un secondo. Aveva voltato dalla parte opposta e si era diretta verso una strada che sembrava senza uscita.
Si era sbagliato? Un altro falso allarme come quello del Vittoriano?
Ormai non importava più. Ormai aveva deciso. Non voleva tornare a casa… e c’era solo un posto dove poteva rifugiarsi.
Guardò la spia del serbatoio: era a metà. Se avesse guidato tutta la notte fermandosi per il pieno, poteva arrivare a destinazione per l’alba.
Era deciso.
“Le coincidenze non esistono”. Quello strano inseguimento era un nuovo segnale, l’ennesimo.
Fece inversione e uscì a bassa velocità dal cantiere, dirigendosi verso la circonvallazione.
Dieci minuti dopo imboccò l’autostrada.