CAPITOLO 54
Ore 22:00
L’iniziato si era preparato per molto tempo al passo che stava per compiere. Era la sua strada, il suo percorso già delineato da tempo.
All’interno del cappuccio il respiro era affannoso. Aveva un cappio al collo, il pantalone sinistro arrotolato sopra il ginocchio, la camicia aperta fino all’ombelico e la manica destra rimboccata sopra il gomito. Sul costato, poco sopra il fegato, una lunga cicatrice – segno inequivocabile di un’operazione non troppo recente – era stata coperta con un’abbondante dose di cerone affinché il suo corpo apparisse “puro”. L’abbigliamento si ispirava a quello di un eretico d’epoca medievale.
I seggi della loggia – che era identica nell’aspetto a ogni altra loggia al mondo – erano disposti in senso longitudinale, in doppia fila, ed erano gremiti di apprendisti davanti e di compagni dietro.
L’uomo incappucciato percepiva le ombre in movimento, il brusio, il forte odore di incenso e di cera bruciata.
Si trovava di fronte ai tre gradini d’accesso al podio del Venerabile. Davanti a lui, appoggiato su un cuscino di velluto rosso, c’era il Libro della Legge Sacra e la squadra con il compasso incrociati l’uno sull’altra. Poco più indietro vedeva, attraverso il cappuccio, le ombre di sette fiamme ardenti su un candelabro.
Prima di raggiungere il Tempio, una grande sala rettangolare, aveva pensato a lungo. Si era rinchiuso nel Gabinetto di riflessione, una stanzetta dalle pareti completamente nere, e ne era uscito con l’unica decisione possibile. La scelta era obbligata: era un passo che molti ritenevano l’inizio di una nuova vita. Lui aveva soppesato tutti gli aspetti di quel solenne giuramento: i sani principi ai quali si sarebbe dovuto attenere e anche, perché no, i benefici che ne avrebbe ottenuto. Poi, aveva attraversato la Sala dei passi perduti, aveva varcato l’unica porta di accesso e si era fermato ai piedi del podio.
Sapeva che ai lati della porta, disposta a occidente, c’erano a destra una colonna corinzia con incisa la lettera J e a sinistra una colonna dorica con incisa la lettera B. Dietro, da una parte la statua di Venere e dall’altra quella di Ercole. Dal cappuccio non le aveva viste ma, come tutto in quella stanza grande come un campo di basket, ogni cosa aveva un significato preciso.
Non si trattava di dettagli inutili o insignificanti. Ogni appartenente sapeva che nessun rito è privo di valore. I fratelli, proprio attraverso quei rituali vecchi di secoli, sentivano di essere membri di una stessa comunione. Di avere il medesimo fine: il perfezionamento dell’individuo.
L’uomo sospirò. Stava immobile con i piedi appoggiati su un pavimento con grandi mattonelle bianche e nere disposte a scacchiera.
Carlo Maria Rosati era ad almeno dieci metri dall’iniziato. Mentre osservava lo scranno rivestito in oro del Maestro Venerabile e l’occhio che dominava la grande stanza, rifletteva anche lui.
La condizione di uomo libero e di buoni costumi era l’ultima delle sue priorità: aveva problemi molto più impellenti che comprendere il segreto della Libera Muratoria.
Zorzi era la più grossa seccatura. Quell’uomo si stava muovendo bene. Fin troppo bene. Alcuni passi che aveva compiuto erano stati ampiamente previsti, mentre altri gli erano sembrati una sorpresa. In quel momento, ovviamente, non aveva alcuna possibilità di intervenire ma le mosse del “fratellino” andavano contrastate in ogni modo. Per alcune non poteva fare nulla, erano inevitabili, ma per altre… soprattutto per quella che sarebbe andata in scena di lì a due giorni in uno studio televisivo, doveva fare qualcosa. Quella mossa rischiava di assestare un colpo decisivo alla sua possibile candidatura.
«Oggi, nel diciottesimo giorno del secondo mese…». Le parole che venivano liberate nell’aria avevano un tono solenne, ma Rosati non le ascoltava e di certo non lo impressionavano. «…di questo nuovo millennio di Vera Luce».
I sani principi che avevano provato a inculcargli durante gli anni non lo riguardarono più. Gli insegnamenti secondo i quali il mistero della Libera Muratoria è per sua natura inviolabile e ciascuno lo conosce solo per intuizione, non per averlo appreso, su di lui non avevano mai avuto effetto.
Non era la persona che i suoi Fratelli credevano che fosse, o più probabilmente non si era applicato a sufficienza. La conseguenza era stata che il Segreto, per lui, non aveva mai avuto un significato chiaro e lampante.
Però non gli importava. Uno degli scranni di quella loggia era suo e grazie a quello ne aveva ottenuto uno molto più importante: quello del Viminale.
Mentre osservava da dietro l’iniziato, si domandò se un giorno sarebbe stato in grado di apprenderlo, quel segreto. Decise che non gli interessava e sorrise tra sé, appoggiando le mani sudate sul paramento che come tutti indossava a mo’ di grembiule.
«Sotto lo sguardo del Grande Architetto dell’Universo, Padre di tutti gli Uomini e di ogni Vita…». Il Venerabile, con una medaglia al collo e un paio di guanti bianchi, continuava l’oratoria, ma Rosati non riusciva proprio a rimanere fermo sulla poltroncina.
«C’è un problema più grosso adesso», gli aveva riferito poco prima di entrare alla cerimonia un Fratello che conosceva molto bene.
«Cioè?», aveva risposto lui.
«Una lista di nomi».
Non era un problema. Su Internet c’erano decine di liste degli appartenenti a questa o quella loggia. Una seccatura, sì.
«E c’è anche il mio di nome?».
Il fratello aveva scosso la testa e stretto le labbra. «Purtroppo sembra di sì».
«Verrà resa pubblica?».
L’uomo questa volta fece andare la testa avanti e indietro. Indicò il gigantesco triangolo con l’occhio onniveggente e rispose seccamente: «So che se ne stanno già occupando».