CAPITOLO 24

 

 

 

 

 

 

 

Ore 13:45

 

«Cosa significa esattamente?». Carlo Maria Rosati era in piedi, nell’anticamera della sala stampa di palazzo Chigi, con il cellulare in mano.

«Sto andando lì adesso!», gracchiò la voce di Cesare Baldacci attraverso la cornetta. «Ho già dato disposizione di chiudere ogni accesso finché non decidiamo cosa fare. Per adesso entreranno solo i miei uomini».

Erano le due meno un quarto. Al di là della porta intarsiata a doppia anta, centocinquanta giornalisti attendevano l’inizio della conferenza stampa. Erano stati annunciati importanti sviluppi sull’attentato ad Alberto Zorzi.

«Ma come è stato possibile!». Era furibondo, sembrava un toro appena sceso nell’arena.

«Erano vestiti come agenti della polizia. Avevano i tesserini magnetici abilitati!».

Il ministro dell’Interno scossa la testa. Per i suoi piani, quella conferenza stampa era troppo importante. La notizia che gli avevano appena comunicato era disastrosa.

«Non è possibile rimandare la conferenza fino a quando non ne sapremo di più?». Baldacci immaginava già la risposta.

«Non se ne parla neppure!». Rosati deglutì e rifletté bene sulle parole che stava per pronunciare. «Questa mattina eravamo sicuri di avere l’esecutore materiale. Abbiamo l’arma, abbiamo la foto. Abbiamo il colpevole. Punto».

La conversazione si interruppe per un secondo, poi il ministro riprese a parlare.

«Per quanto terribile, non mi interessa quello che è successo dopo. Noi abbiamo già un colpevole, aggiungere altri dettagli alla vicenda creerebbe solo confusione. I cittadini non capirebbero… non smuoviamo troppo le acque. Almeno per oggi!».

Baldacci rimase in silenzio.

«Questa storia va approfondita, ma senza far trapelare nulla».

Ancora silenzio.

«Baldacci… mi ha capito? Sono stato abbastanza chiaro? Non posso permettermi di perdere la faccia. Non oggi!».

Non oggi.

«D’accordo!». Non ci fu nessuna esitazione. Il numero uno dei servizi segreti si aspettava un ordine simile. Se Rosati avesse dato in pasto alla stampa il colpevole che già avevano, David Green, la sua notorietà sarebbe salita alle stelle e, con ogni probabilità, avrebbe avuto anche l’incarico di formare il nuovo governo.

Era così importante quello che era successo dopo? Era importante che il corpo del presunto colpevole fosse stato trafugato e che nel laboratorio della Scientifica ci fosse stato uno scontro a fuoco? Come la bellezza, anche la verità può stare negli occhi di chi guarda.

«Aggiungere altri dettagli alla vicenda creerebbe solo confusione». Baldacci si convinse che Rosati aveva ragione. Non c’era motivo di gettare in pasto alla stampa una vicenda ancora poco chiara. Per i dettagli ci sarebbe stato sempre tempo, intanto c’era una conferenza stampa troppo importante.

«Per adesso potremmo dire che i due poliziotti sono morti per una fuga di gas!», improvvisò. «Certamente una disgrazia, ma non necessariamente collegata al cadavere… o alla morte di Zorzi! Dopotutto erano in un seminterrato e sappiamo bene che le norme di sicurezza…».

«A questo punto dobbiamo avocare le indagini!», proseguì Baldacci. «Potremmo usare la storia del polonio e dire che il cadavere l’hanno preso i miei uomini. Dobbiamo guadagnare tempo. E per qualche giorno dobbiamo evitare che la procura ficchi troppo il naso! Quelli hanno la lingua lunga!».

«Non mi interessa come farà. Lo faccia e basta!». Il ministro serrò le labbra in una smorfia di rabbia. «Ovviamente, cerchi di capirci qualcosa di più e tenga fuori la stampa. Se qualcuno ha eliminato due operatori della Scientifica e fatto sparire il cadavere non vorrei ci fosse da preoccuparsi! Non mi piacciono i fuori programma!».

 

Quindici minuti dopo Carlo Maria Rosati era seduto con una finta espressione affranta nella sala stampa della presidenza del Consiglio. Dietro di lui campeggiava uno splendido dipinto di Giovanni Battista Tiepolo intitolato Verità nuda.

Ironia della sorte, quello che stava per raccontare Carlo Maria Rostati era tutt’altro che la “verità nuda”.

«Signori, buongiorno», esordì, con un volto da sfinge. «Vi ringrazio per essere qui».

Di fronte a lui, disordinatamente accomodati sulle poltroncine nere della sala, c’erano numerosi giornalisti, fotografi e telecamere.

«Oggi è un triste giorno. Vi abbiamo convocati però proprio questo pomeriggio per dimostrare che lo Stato c’è! Ci sono importanti novità sull’attentato al presidente del Consiglio». Rosati si fermò in una pausa teatrale. «Le indagini della nostra intelligence ci permettono di affermare che l’attentato al nostro amico Alberto Zorzi sia stato effettuato da un pazzo. Un mitomane».

«Ministro!», squillò la voce di una giornalista che schizzò in piedi. Subito fu seguita da flash e dal vociare degli altri. «Una domanda, ministro!», incalzò un uomo baffuto in seconda fila. Le voci si sovrapposero in un crescendo che non lasciò a Rosati altra scelta se non rimanere in silenzio.

«Signori. Calma! Scusate…». Il fedele segretario, che fino ad allora, come un’ombra, era rimasto in piedi dietro di lui, intervenne con tono deciso allargando le braccia. «Lasciate finire il ministro. Per oggi non sono previste domande».

I giornalisti, con qualche mugugno, tornarono svogliatamente a sedersi.

Quando il silenzio calò di nuovo, Rosati poté continuare: «Abbiamo acquisito sufficienti elementi per potere affermare che l’assassino si chiamasse David Green, di nazionalità israeliana. Gli esami del DNA arriveranno a giorni e in quell’occasione ne sapremo di più!».

Un mormorio riempì il locale ma nessuno osò dire nulla.

«Purtroppo, non avremo l’occasione di interrogare l’assassino perché proprio questa mattina il suo cadavere è stato trovato nel Tevere. Si è suicidato».

«Ma…». La voce era della bella Arianna Manzoni, seduta in prima fila con una minigonna nera e delle scarpe dai tacchi vertiginosi.

«È stato già detto che il ministro non risponde…».

Rosati si voltò facendo segno al segretario di fermarsi. «Le risponderò, signora Manzoni. Dica pure!».

«Non le sembra che sia troppo comodo? Il presunto assassino è morto e nessuno gli può più fare domande!».

Rosati sorrise senza mostrare i denti. «Purtroppo non siamo noi a decidere… fosse stato per noi avremmo preferito…».

«Quali sono le circostanze della morte?», disse un’altra voce, più decisa e squillante di quella della Manzoni.

«Ho già detto…».

Il vocio dei giornalisti sovrastò nuovamente le parole di Rosati.

«Signori! Signori! Vi prego di lasciar concludere il ministro. Al termine della conferenza vi consegneremo tutti gli elementi di cui avrete bisogno per poter scrivere i vostri articoli!».

Parole magiche.

Subito tornò il silenzio.

«Purtroppo…». Rosati sorrise e riprese a parlare. «Purtroppo il presunto assassino è deceduto. Siamo certi sia stato un suicidio. Abbiamo tuttavia gli elementi per poter affermare che l’attentatore sia lui. Abbiamo il fucile. Abbiamo un biglietto aereo per Monaco. Abbiamo una fotografia che lo ritrae sulla scena del delitto. Soprattutto, abbiamo prove che dimostrano si trattasse di un mitomane. Di un pazzo. Al termine della conferenza vi saranno fornite tutte le informazioni da poter pubblicare».

«Il caso è chiuso quindi?», urlò una reporter dalla seconda fila. «È possibile che l’attentato sia stato causato dalle continue affermazioni del presidente Zorzi a favore di Israele?».

Rosati era al settimo cielo. Si inumidì le labbra e cercò a fatica di sembrare umile. «Le indagini sono ancora in corso. Però riteniamo che il colpevole sia già stato trovato! Ci riserviamo ogni ulteriore valutazione per quanto riguarda il movente. Nel frattempo ringrazio tutti gli uomini e le donne che hanno lavorato per ottenere questo risultato. A quattro giorni dall’attentato la nostra nazione e l’amico Alberto hanno trovato giustizia!».

Da una parte della sala scoppiò un applauso. Ad alcuni sembrò quasi pilotato ma nonostante tutto riuscì a essere fragoroso quanto desiderava il ministro. Soprattutto, venne ripreso dalle numerose televisioni presenti.

Più tardi furono distribuite le cartelle stampa che contenevano tutti i dettagli, le fotografie e un breve comunicato. Anche i più scettici si buttarono sui documenti: la storia era succosa.

«Ovviamente, vi terrò informati sugli ulteriori sviluppi!», precisò Rosati. «Come detto, era giusto comunicarvi oggi queste importanti novità. Oggi è stato seppellito il nostro presidente. Era il giorno giusto perché fosse resa giustizia!».

Oltre agli entusiasti, che avrebbero composto titoli trionfali per il ministro, nella sala c’era però anche qualche scettico. Arianna Manzoni scuoteva la testa. Non era per nulla convinta di una storia che sembrava confezionata su misura per la stampa… e per le ambizioni di Carlo Maria Rosati.

«Ministro!», urlò saltellando sui tacchi. «Ha sentito dell’incidente nella palazzina di via Tuscolana? Può essere collegato in qualche modo all’attentato?».

Rosati la fissò. “Come fa a saperlo?”. Cercò di apparire calmo ma dentro di lui la rabbia gli arrivò fino allo stomaco. «Non vedo come!», la sferzò.

«In via Tuscolana non c’è la sede della polizia Scientifica? Se il corpo dell’assassino è stato trovato questa mattina allora, forse, poteva essere lì».

«Le garantisco che non è così. Concentriamoci sulle cose importanti!». Rosati fece una pausa da attore consumato e poi guardò dritto nell’obiettivo della telecamera. La TV satellitare stava trasmettendo la conferenza in diretta. «Amici, lo Stato, come vedete, c’è! A soli quattro giorni, gli uomini del mio ministero ci hanno consegnato il colpevole. Questo è un fatto e i cittadini lo capiscono!».

Arianna Manzoni rimase in piedi scuotendo la testa. Ciò nonostante cercò di prestare attenzione alle parole del ministro.

«…Il nostro Paese ha vissuto momenti terribili. Proprio per questo adesso ha bisogno di un governo stabile. Questa mattina ho parlato con il presidente della Repubblica e abbiamo convenuto che presto dovrà essere formato il nuovo esecutivo».

Era cominciata la parte che gli interessava di più, il coup de théâtre.

«Io credo che entro pochi giorni il presidente Pulvirenti sarà in grado di cominciare le consultazioni. Da parte mia, gli ho garantito piena collaborazione».

«Significa che il candidato per AD sarà lei, non ci saranno le primarie?», indagò uno dei commentatori.

«Non credo sia questo il momento di parlarne». Rosati fu felice per la domanda ma il suo viso rimase impassibile. «Tuttavia, se il congresso lo deciderà, io mi metterò umilmente a disposizione del Paese!».

Il dado era tratto. Il messaggio chiaro. Gli altri avrebbero dovuto venire allo scoperto.

Arianna Manzoni rimase impassibile. Uscì dalla sala pochi minuti dopo e salì sul furgone di Canale 9. «Andiamo in via Tuscolana!», ordinò all’autista.

 

 

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