CAPITOLO 9
Roma, ore 10:50
Cesare Baldacci si era seduto in seconda fila nella basilica di San Giovanni in Laterano, con una finta espressione affranta.
Era un omino minuto e con la pelle pallida. Indossava, come spesso gli accadeva, un abito di ottima fattura, che però sembrava più grande della sua taglia. Nonostante fosse visibilmente stempiato, i capelli castani, striati di grigio, erano più lunghi del normale e gli sfioravano il collo della giacca.
Teneva il capo chino sul cellulare e di tanto in tanto alzava lo sguardo oltre la montatura degli occhiali per guardarsi attorno. Non stava più nella pelle, non vedeva l’ora che il funerale terminasse.
Si era sistemato esattamente dietro a Carlo Maria Rosati e se le circostanze non glielo avessero impedito, probabilmente avrebbe avuto un sorriso pacioso dipinto sul viso.
Pochi istanti prima, mentre era ancora sul sagrato di piazza San Giovanni, gremita nonostante la pioggia incessante, aveva ricevuto un SMS da Lorenzo Fossati. E quel messaggio conteneva ottime notizie.
Prima di rientrare in chiesa si era guardato attorno, alzando la testa oltre gli ombrelli neri, per squadrare i volti dei presenti.
A pochi metri da lui, aveva visto Luca Zorzi asciugarsi le lacrime davanti a una telecamera. Lì vicino, con il microfono in mano e l’atteggiamento di chi cerca di dare conforto, c’era la bella Arianna Manzoni, una delle giornaliste più influenti che era riuscito a individuare tra i molti accreditati. Ogni giovedì sera, nel suo salotto televisivo, si riunivano le più importanti personalità politiche e culturali del Paese. Sicuramente le lacrime del fratello del primo ministro sarebbero state uno degli argomenti di discussione. Chissà, magari in un’intervista esclusiva.
Baldacci non conosceva bene Luca Zorzi, ma frequentava i salotti della politica da talmente tanto tempo che avrebbe potuto scommettere che quelle lacrime fossero fasulle.
Il suo sguardo si era spinto oltre i gradini della chiesa. Il silenzio era gelido, tutta quella gente… e nessuno che parlava.
In fondo alla piazza c’erano i furgoni delle televisioni, dei quali era riuscito a scorgere solo le parabole per la trasmissione della diretta.
L’auto con il feretro era arrivata davanti alla chiesa attraverso due ali di folla immobili. Scortata da due veicoli blindati e da quattro motociclette della polizia, si era fermata a pochi metri dall’entrata.
Una tromba aveva intonato Il silenzio.
Subito dopo, il corteo di personalità aveva cominciato a scorrere dietro la bara. Davanti ai suoi occhi erano passati il presidente della Repubblica, il presidente della Commissione Europea, il governatore della Banca Centrale, i reali d’Inghilterra e di Spagna, il presidente tedesco, accompagnato dal primo ministro Sattelmaier, la presidente francese, il presidente degli Stati Uniti d’America con il segretario di Stato e un numero imprecisato di altri esponenti della politica e del mondo della finanza.
Infine, dopo aver squadrato con gli occhi decine di teste, aveva individuato quella di Carlo Maria Rosati.
Si era avvicinato e gli aveva sussurrato tre parole: «Abbiamo un riscontro». Un tiepido sorriso si era dipinto sul suo volto.
Rosati aveva rallentato e in pochi istanti Baldacci gli aveva illustrato la situazione. Poi aveva fatto un lieve cenno d’assenso con il capo ed era entrato in chiesa insieme alle altre personalità.
Dieci minuti dopo era davanti a lui, seduto in chiesa in prima fila e con gli occhi fissi su un candelabro.
Baldacci ne era certo, a tutto stava pensando tranne al funerale del suo amico e collega di partito… come lui d’altronde, che continuava a rileggere l’SMS e ad alzare lo sguardo per cercare di capire chi ne avesse ricevuto uno simile. Volente o nolente, da lì a pochi minuti la notizia sarebbe circolata.