CAPITOLO 28
Ore 18:00
L’uomo che quella mattina aveva telefonato a Carlo Maria Rosati sul suo telefono privato era atterrato nel primo pomeriggio.
Aveva il viso teso e profonde rughe solcavano la sua fronte.
Indossava un asciugamano bianco stretto in vita che metteva in evidenza la pelle flaccida del torace. Sorridente, era sdraiato sul lettino di un centro massaggi esclusivo.
Assieme al fratello gemello – che era a seicento chilometri di distanza a fare una conversazione simile – si era assunto uno dei compiti più importanti: garantire la transizione affinché il Gruppo fosse tutelato nel modo consueto.
Carlo Maria Rosati entrò in quell’istante. Non aveva mai conosciuto di persona l’uomo che gli aveva telefonato, ma sapendo come funzionavano le cose si era aspettato, e aveva sperato, di essere chiamato presto. E la telefonata da Francoforte era arrivata proprio la mattina del funerale.
Quella chiamata era di fatto un’investitura.
Le porte bianche, contornate d’oro, si chiusero alle sue spalle e i due uomini rimasero soli in una ampia stanza con un’illuminazione tenue e rassicurante. Si trovavano nei pressi dell’Aventino, nella più esclusiva spa della capitale.
In fondo al locale, completamente riservato e grande come un appartamento, erano sistemati due lettini con baldacchino. Appoggiata alle pareti c’era una fila di statue di marmo raffiguranti donne intente a mimare atti sessuali. Poco distante zampillava una piccola fontana. Il pavimento era in parquet color rovere. Non c’erano finestre.
Rosati sorrise e tese la mano. L’altro uomo rimase impassibile. Sembrava di plastica. Se non l’avesse ritenuto impossibile, il politico gli avrebbe dato cento anni.
«Ben arrivato ministro!», proclamò in un italiano perfetto, ma con un forte accento tedesco.
«La ringrazio per l’invito, Hans».
Rosati sapeva che l’anziano che aveva davanti apparteneva a un’antichissima famiglia, proprietaria di alcune importanti banche. Soprattutto, era uno dei burattinai che manovravano i fili della BCE.
Il meccanismo con il quale Hans e i suoi amici controllavano la politica monetaria europea era ampiamente consolidato e grazie a una serie di ingranaggi macroeconomici permetteva di tenere i governi nazionali al guinzaglio. Un guinzaglio chiamato debito pubblico, cioè un sistema per il quale erano le banche private, proprio attraverso la BCE, ad acquistare titoli di Stato e a prestare, di fatto, denaro alle nazioni. I soldi prestati negli anni erano talmente tanti che nessuno, mai, sarebbe stato in grado di restituirli. Così i Paesi dell’euro si limitavano a pagare alle banche soltanto le ingenti somme d’interesse su quel debito.
«Non ringraziarmi Carlo Maria», l’uomo fece una smorfia. «Siamo qui per affari!».
Rosati si sistemò l’asciugamano e andò a sdraiarsi supino sul lettino accanto a Hans. Il soffitto a volta era affrescato con scene di guerra.
«Dopo il calo in Borsa di ieri, credo che il mio annuncio di questo pomeriggio farà fare un bel rimbalzo ai mercati, domani mattina!». Rosati pronunciò quelle parole con orgoglio.
«Tutto ciò che fanno i governi ha delle ripercussioni sulla Borsa», osservò asciutto Hans. «Il problema è capire come si collocheranno gli investitori a livello internazionale. Avranno fiducia in un tuo eventuale, futuro governo?».
Eventuale? Futuro?
«…la scadenza della settimana prossima è troppo importante!».
Rosati annuì. Sapeva bene a cosa si riferiva Hans. La settimana successiva si sarebbe tenuta la consueta asta dei titoli di Stato italiani.
La morte di Zorzi poteva far perdere credibilità al governo, dando poca sicurezza ai mercati e costringendo il ministero del Tesoro a vendere i titoli con un interesse maggiore.
«Crederanno in me! Dopo l’annuncio di oggi i mercati non potranno che essere favorevoli. Conterremo i tassi!».
Hans annuì. «Non è necessario che ti ricordi chi tiene in piedi tutto quanto…». L’uomo disegnò un ampio arco con la mano. «Questa giostra sta in piedi grazie a noi. La stabilità del sistema è la nostra priorità. Non possiamo…».
Bugiardo. Rosati sapeva bene che il problema era un altro: a quell’uomo, e a tutti quelli come lui, non interessava nulla della stabilità. Anzi, a lui premeva esattamente il contrario. Più uno Stato era instabile, più aveva bisogno di soldi, più le banche ne prestavano e più avrebbero guadagnato in interessi.
Avevano un solo problema: il sistema è come un elastico. Fino a quando potevano tenderlo prima che si spezzasse? Qual era il limite oltre il quale una nazione non avrebbe più potuto far fronte ai pagamenti sugli interessi del debito?
«Non è necessario che me lo ricordi, Hans. Quello che le voglio dire è solo di stare tranquillo».
«I vostri conti ci preoccupano», osservò tronfio. «Spendete molto più di quello che avete. Se andate avanti così, rischiate il default!».
Default. L’elastico che si spezza.
Hans e le tredici famiglie che da dietro le quinte governavano il sistema economico mondiale recentemente l’avevano visto succedere soltanto una volta: con l’Argentina, pochi anni prima. Non doveva ripetersi. Se lui era lì, era proprio per quella ragione.
Rosati sorrise. «Non preoccuparti. Troveremo il modo di aggiustare i conti. Il nostro ministro dell’Economia ha già fatto una proiezione per i bilanci futuri», millantò Rosati. «Stiamo già lavorando a qualche altro aggiustamento. Come abbiamo sempre fatto!».
Il politico si alzò dal lettino e cercò di guardare Hans in viso, ma il tedesco teneva la testa appoggiata al cuscino e gli mostrava la nuca.
Se fosse diventato presidente del Consiglio dei ministri, lo avrebbero aspettato scelte difficili. La stampa lo avrebbe massacrato, soprattutto dopo i suoi recenti problemi legali.
Qualcuno – lui era certo fosse stato Luca Zorzi – era andato a dare un’occhiata ai suoi conti correnti e soprattutto a quelli della sua convivente. I magistrati lo accusavano che Tiziana, avvocato, avesse moltiplicato esponenzialmente il giro d’affari in un lasso di tempo troppo ristretto. La circostanza, a parere dei giudici, era anomala, perché tutto ciò era accaduto da quando si conoscevano e soprattutto grazie a consulenze d’oro pagate con soldi pubblici. Per merito degli amici di Rosati, il suo fatturato era cresciuto da ventiduemila a quattrocentocinquantamila euro in un solo anno. Le avevano contestato una lunga lista di consulenze dubbie: società dei telefoni, energia, comuni e società partecipate.
E che c’era di male se qualcuno, per ingraziarsi lui, la faceva lavorare? Non l’aveva mica inventato lui, quel sistema.
«Non preoccuparti Hans. In Italia abbiamo venti milioni di pensionati. Taglieremo le pensioni! Come sempre!».
Hans non rispose subito. Si alzò dal lettino e si mise seduto. Poi si voltò e lo guardò dritto negli occhi: «Senti, Carlo Maria… noi abbiamo deciso di darti fiducia». Il vecchio si inumidì le labbra. «Però dobbiamo essere sicuri della vostra stabilità di governo. Sappiamo che il tuo ruolo non è ancora stato ufficializzato».
«Stai parlando di Luca Zorzi?».
Hans non rispose.
«Non dovrete preoccuparvi di lui. Oggi con la conferenza stampa gli ho dato una spallata importante, e ho ancora qualche altro asso da giocare».
Ancora silenzio, poi Hans gli tese la mano. «Bene, ti ringrazio per essere venuto».
Rosati si alzò in piedi. Lo stava congedando?
Strinse la mano e, constatato che il tedesco non diceva altro, si avviò mesto verso l’uscita. Veniva messo alla porta come un qualunque fattorino!
«Un’ultima cosa», mormorò Hans, che osservava distrattamente il fallo di una delle statue. «Per qualche tempo sarai anche a capo del governo che detiene la presidenza di turno dell’Unione Europea».
«Ancora tre mesi!», chiarì lui voltandosi di scatto.
«Vorremmo rassicurazioni sul fatto che non deciderai di portare avanti tutti i progetti del tuo predecessore».
Rosati sorrise.
Si domandò a cosa si stesse riferendo esattamente. Zorzi, come tutti, aveva il problema di mettere in ordine i conti dello Stato italiano. Come tutti, avrebbe aumentato le tasse. Forse non avrebbe avuto il coraggio di diminuire le pensioni o aumentare le spese sanitarie a carico dei cittadini, ma di sicuro non si sarebbe sognato di toccare i forti.
Come tutti.
«Quali progetti?», ridacchiò, sarcastico.
Hans cambiò espressione e per la prima volta sembrò felice. «Bene! In bocca al lupo allora».
Appena si fu rivestito, Rosati attraversò l’atrio di marmo rosa della splendida villa settecentesca. Raggiunse l’auto con il lampeggiante inserito e fece cenno all’autista di partire.
Accomodatosi sul sedile estrasse il cellulare e si concentrò sui problemi più attuali: Luca Zorzi.
«Pronto. Sì. Hai trovato qualcosa?»
«Per adesso no, sembra pulito. Troppo pulito».
«È furbo. Tutto qui!», spiegò Rosati. «Tutti hanno qualcosa da nascondere. Tutti hanno un’amante, un conto segreto, frequentano transessuali o incassano tangenti. Trova qualcosa!».
«Ci sto provando».
«Continua!». Il ministro fece una pausa, quasi gli fosse venuta un’intuizione. «Concentrati sull’amante. Se riusciamo a trovarne una, lo screditiamo con l’elettorato cattolico».
«E se non ce l’ha?»
«Inventala!».