CAPITOLO 55

 

 

 

 

 

 

 

Haifa, Israele,

mercoledì 19 febbraio, ore 07:45

 

La baia di Haifa risplendeva della luce rossastra del mattino.

L’aria era frizzante e una piacevole brezza fresca proveniente dal Mediterraneo faceva oscillare le foglie degli ulivi.

Fossati ed Eva avevano parcheggiato la piccola auto dotata di navigatore GPS lungo la strada. Stavano salendo verso le mura del monastero carmelitano di Stella Maris a piedi, su di una scala scoscesa che si inerpicava sulla montagna.

Erano arrivati in Israele nel corso della notte, a bordo di uno splendido Falcon 900EX da dodici posti. Dopo la fuga da Bolzano avevano raggiunto l’aeroporto di Bergamo su un’altra auto a noleggio. Eva aveva pagato in contanti e per tutto il viaggio in macchina aveva parlato al telefono.

Fossati aveva guidato ininterrottamente, con il sole che tramontava davanti a lui e con l’asfalto che si faceva sempre più scuro. Aveva provato ad ascoltare le conversazioni della donna, per cercare di capire se poteva fidarsi di lei. Eva non lo aveva ammazzato, e non aveva paura di lui. Purtroppo non conosceva il danese, o qualunque altra lingua stesse parlando, e quindi non aveva compreso una sola parola delle conversazioni.

«Ho un passaporto per te!», gli aveva poi comunicato all’altezza dell’uscita per Verona. «Non puoi viaggiare con i tuoi documenti e d’ora in poi non potrai più usare le carte di credito».

Fossati aveva annuito.

«Mi vuoi dire esattamente dove andiamo in Israele?», aveva chiesto lei, affabile. «Così prepariamo il piano di volo».

«Haifa. Non credo ci siano voli diretti. Immagino dovremo fare scalo a Tel Aviv», era stata la risposta del PM.

Eva aveva sorriso. «Sono anni che non prendo un volo di linea».

Il resto del viaggio lo aveva fatto nello stesso identico modo. Telefonate, telefonate e telefonate in un idioma velocissimo e incomprensibile.

Fossati si sarebbe aspettato tutto tranne un jet extralusso da ottocento chilometri all’ora pronto sulla pista di Orio al Serio al loro arrivo.

Erano saliti sulla scaletta, Eva aveva stretto la mano al pilota e poi si era lasciata cadere sul morbido sedile in pelle.

Erano decollati appena prima delle nove di sera senza che nessuno facesse loro domande o chiedesse i passaporti.

«Mi vuoi dire cosa ci facciamo qui?», chiese Eva con il fiatone mentre affrontava l’ultima rampa di scale. Oltre gli alberi e gli arbusti fioriti, sotto di loro, si vedeva lo splendido golfo di Haifa, un numero indefinito di grattacieli bianchi e imbarcazioni che andavano e venivano dal porto.

Il fianco della montagna, in quel punto, era coperto di ulivi nodosi e poco distante si scorgeva la funivia che saliva dalla città. Dietro una fila di palme si cominciavano a intravedere la cupola scura e i torrioni del monastero.

«Raduna tutto Israele presso di me sul monte Carmelo insieme con i quattrocentocinquanta profeti di Baal». Le parole di Fossati presero Eva alla sprovvista.

Ci aveva riflettuto a lungo. Lo aveva fatto nel viaggio in auto da Bolzano e poi sull’aereo che li aveva portati a Haifa. Prima o dopo avrebbe dovuto rivelarle il significato del tatuaggio. Non poteva indugiare oltre.

Sicuramente Eva era molto strana, sicuramente aveva a che fare con il Cigno Grigio e con ogni probabilità anche con la morte di Green. Però nel giro di poche ore aveva programmato un viaggio in Israele senza conoscere neppure la destinazione finale. Solo perché lo aveva detto lui. Evidentemente aveva una grande disponibilità di denaro… e una grande necessità di trovare “ciò che cerca il Cigno Grigio”.

Fossati non era ancora in grado di inquadrare la figura di Eva. Era criptica, abituata a fuggire e anche a maneggiare le armi. Ma tanto da essere un’assassina?

Era davvero pericolosa? Questa volta il suo amato istinto gli diceva di no. E c’era di più, un pensiero fisso che continuava a tormentarlo. Lei aveva visto arrivare l’Audi nera, lei gli aveva fatto buttare il cellulare, lei gli aveva detto di non usare le carte di credito. Se non ci fosse stata lei, probabilmente, a quell’ora lui sarebbe morto. Come Pina, Lupatelli e la Cissé.

Mentre rifletteva, con un occhio semiaperto sulla cabina in radica dell’aereo, l’aveva osservata meglio mentre dormiva: era bellissima, con una pelle liscia, bianca, gli zigomi appena sporgenti, le labbra sottili e il naso diritto. Aveva una strana ciocca di capelli grigi che le faceva risaltare ancora di più il collo lungo. Non c’era nessun dubbio, era una donna affascinante.

Presto le avrebbe rivelato il significato del tatuaggio. L’istinto gli diceva che doveva farlo. E quel momento era arrivato.

 

«Il tatuaggio ha a che fare con i Libri dei Re del Vecchio Testamento». Fossati si fermò sulla scalinata per riprendere fiato.

Eva lo guardò con aria di sufficienza. «Non conosco il nuovo, figurati il vecchio… di Testamento!».

«Per la verità il tatuaggio non era poi così criptico. Fin dalla prima lettura avevo intuito che si riferiva al monte Carmelo: ciò che cerca il Cigno Grigio è dove Elia sfidò i profeti». Fossati fece un grande gesto con la mano, per indicare il luogo in cui si trovavano. «È qui che Elia sfidò i profeti».

«Non credo di seguirti».

«Vieni!». Fossati ricominciò a salire e in pochi secondi si trovò alla fine della scalinata. Di fronte a loro c’era un imponente muro di cinta circolare fatto di mattoni grigi. Si vedeva una grande cupola con una croce e due torri laterali, sulla cui sommità svettava un crocifisso: era il monastero di Stella Maris.

«Acab convocò tutti gli Israeliti e radunò i profeti sul monte Carmelo», continuò Fossati. «Elia si accostò a tutto il popolo e disse: “Fino a quando zoppicherete con i due piedi? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui”».

Eva lo osservava con uno sguardo incredulo. Fossati non gli aveva dato l’impressione di essere un esperto di sacre scritture. Eppure recitava a memoria, in inglese, passi della Bibbia. «Chi sei tu?», gli domandò sorridendo.

Fossati ebbe un’esitazione nel vederla sorridere. Era bellissima ed era la terza volta che lo pensava. Rispose con una battuta: «Ti ho già fatto io la stessa domanda… evidentemente non sappiamo abbastanza l’uno dell’altra! Per adesso…». Poi si guardò attorno. Erano arrivati su un grande spiazzo. Davanti a loro c’erano palme con fusti altissimi, due muretti di cinta e una piccola piramide di pietra con una targa incisa e una croce sulla punta. Dalla parte opposta si vedeva la strada e oltre questa, sotto la rupe della montagna, i grattacieli di Haifa e il blu del mare.

«Questo è un posto molto famoso sia per la cristianità che per l’ebraismo», spiegò lui diversi secondi dopo, asciugandosi il sudore con il braccio. «Secondo la Bibbia, nel IX secolo avanti Cristo il profeta Elia viveva sul monte Carmelo. Qui sfidò un gruppo di profeti del dio Baal, quattrocentocinquanta, per la precisione, e vinse».

«Dove Elia sfidò i profeti», mormorò Eva, convinta che l’intuizione di Fossati fosse corretta.

«Credimi, se si conoscono le sacre scritture, non è un enigma molto difficile da risolvere».

«Ok, ma adesso che siamo qui, come troviamo “Ciò che cerca il Cigno Grigio”?».

Fossati allargò le braccia. «In effetti… non ne ho idea. Non ci sono mai stato e, chissà perché, credevo che arrivati qui tutto sarebbe stato più facile».

Eva scosse la testa. Il monte Carmelo, in pratica, era un quartiere di Haifa, con case, palazzi e sinagoghe costruiti sul fianco della montagna. C’era persino l’università tra quelle palme e quelle rocce. Era tutt’altro che facile. «Dimmi di più della Bibbia. Quale altro elemento abbiamo?»

«Non saprei. Potremmo cercare la grotta dove Elia meditava. Dovrebbe essere dentro la cattedrale!».

«Poco come inizio, ma possiamo provarci…». La donna si avviò all’ingresso della chiesa, che sembrava di forma circolare. La porta a due battenti era ancora chiusa. La raggiunse e bussò.

Nessuna risposta.

«Forse è troppo presto», intervenne Fossati. «Non sono neppure le otto».

«Hai un’idea migliore?».

Lui sorrise e scosse la testa.

Eva bussò di nuovo, picchiando con entrambi i pugni sul battente.

Nessuna risposta.

Il sole si stava alzando. Lì, nonostante la brezza, faceva caldo. Fossati si riparò sotto una palma e osservò la donna.

Chi era? Perché, per lei, trovare “ciò che cerca il Cigno Grigio” era così importante?

Inaspettatamente, dopo un tempo che a entrambi parve lunghissimo, si udì un rumore di chiavistello e la porta si aprì lentamente cigolando.

Una suora, in penombra, disse qualcosa in ebraico.

«Parla spagnolo? Russo? Inglese?», le chiese Eva.

«Un po’ di inglese», rispose la donna mentre usciva dalla chiesa chiudendosi l’anta alle spalle.

Era bassa, il volto segnato dal tempo. Aveva il capo coperto, un lungo abito nero e indossava dei sandali che mettevano in mostra piedi piccoli e nodosi.

Fossati si avvicinò lentamente.

«Veniamo dall’Italia, ci dovrebbe essere un pacco per noi, una busta con dei fogli…», provò Eva.

“Fogli? Ah sì?”. Fossati rimase in silenzio ma un campanello d’allarme risuonò nella sua mente.

“Come fa a saperlo? Una busta con dei fogli!

La suora sbuffò ma cercò di mantenere una voce cordiale. «Ancora con questo pacco. L’ho già detto. Non riceviamo noi la corrispondenza».

«Avete un custode, o qualcosa di simile?», intervenne Fossati.

«Sì, infatti!», gli fece eco, stizzita, la suora, che gli indicò il tetto di una casa oltre un muretto di cinta. «L’ho già detto ai vostri amici. È il signor Eliyahu, il custode, che si occupa di tutto! Questo è un convento, non un ufficio postale».

Eva, nell’udire quelle parole, rimase pietrificata.

L’ho già detto ai vostri amici? Erano arrivati prima di loro? Li avevano preceduti?

Ma ciò che più la stupì fu quel nome: il signor Eliyahu. Era un parente di Yaniv Eliyahu, alias David Green, o un semplice omonimo?

Fossati, che pure aveva colto il significato delle parole della suora, la salutò molto gentilmente. Le strinse le mani per ringraziarla e si fece spiegare come raggiungere l’alloggio del custode.

Sessanta secondi dopo erano davanti alla porta di una casupola bianca a due piani. Sorgeva poco distante dal monastero, affacciata direttamente sulla baia.

«Pensi che sia parente di Yaniv?»

«Non credo nelle coincidenze», chiarì Eva.

E neppure lui ci credeva.

«Potrebbe avere senso, potrebbe aver spedito la busta a qualche parente!», confermò lei.

“Di quale busta sta parlando?”. Fossati suonò il campanello. «Magari, prima o poi mi racconterai qualcosa di più», l’apostrofò, mentre si sgranchiva il collo muovendolo in su e in giù.

In quel momento scorse, dietro una tenda al piano superiore, un’ombra che si muoveva. Qualcuno li stava osservando.

Il PM sfiorò il braccio di Eva e le indicò la finestra. «Lassù!», sussurrò.

La tenda si mosse. Pochi istanti dopo si udì un rumore sordo, come di una porta che si chiudeva.

«Di là», urlò Eva. «Sta scappando!».

La casa del custode era piccola, ma evidentemente aveva due uscite. Poco lontano dalla loro posizione scorsero una figura in movimento: sembrava un uomo, grasso e per nulla agile, e si stava dirigendo verso il convento.

«Presto», incalzò la donna. Estrasse la piccola Glock 29 e si mise a correre.

Fossati rimase immobile per qualche istante, poi, non avendo altra scelta, la seguì.

 

 

 

 

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