CAPITOLO 74

 

 

 

 

 

 

 

Bruxelles, Belgio,

ore 19:50

 

Il quartiere di Uccle, un reticolo di vie residenziali che ricordano lo stile architettonico parigino, si trova nella parte sud-ovest della capitale del Belgio.

Eva e Lorenzo Fossati ci arrivarono poco prima delle otto di sera. Era buio, piovigginava e il freddo era pungente.

Avevano trascorso la prima parte della giornata per le strade di Etterbeek. Avevano visto gli edifici nei quali avevano sede le istituzioni dell’Unione Europea: dal palazzo Berlaymont della Commissione, al palazzo Lipsius, sede del Consiglio. Si erano anche fermati per qualche istante davanti all’edificio circolare e alla fila di bandiere fradice di pioggia del parlamento europeo.

La prima impressione era stata di città grigia e triste ma si erano dovuti ricredere quando erano arrivati sulla Grand Place. Lì, poco distante dall’Hotel de Ville, avevano consumato un pranzo a base di pane casereccio, marmellata, cioccolata spalmabile e dolci di ricotta e mandorle.

Nel tardo pomeriggio si erano diretti a casa di Sophie Defour.

Nessuno dei due sapeva cosa la donna avrebbe raccontato, ma entrambi avevano avuto l’impressione che fosse molto spaventata.

«Che facciamo, arriviamo alla porta e bussiamo?». Fossati sorrise.

«Ci ha invitato lei! Tu hai un’idea migliore?», replicò Eva. Poi aprì la portiera e scrutò le finestre ad arco del palazzo. Due erano illuminate e, nella parte superiore, sotto una serie di decorazioni che assomigliavano a rami fioriti, se ne vedeva una terza.

Attraversarono la strada, salirono tre gradini e bussarono. L’attesa fu sorprendentemente breve. Una donna in tuta da ginnastica e pantofole andò ad aprire: aveva il viso stanco e la pelle di un pallore che, forse a causa delle luci della sera, sembrava tendere al giallo. I capelli biondi erano arruffati e in disordine, ma era la stessa donna che li aveva avvicinati fuori dall’ospedale.

 

Dieci minuti dopo, Eva e Fossati erano seduti su un divano di velluto beige. Un grande cane San Bernardo, sonnecchiante, era sdraiato su un tappeto e una bimba bionda gironzolava per casa su un triciclo.

Sophie Defour sedeva su una sedia e teneva tra le mani una busta. «Jean François è stato ucciso. La polizia ha detto che si è suicidato… ma è impossibile».

«Come fa a esserne certa, signora?». Fossati sorseggiò una tazza di tisana al finocchio.

Sophie sorrise. Un sorriso amaro accompagnato da un impercettibile movimento della testa, che faceva cenno di no.

«Non era il tipo, semplice! E poi visto quello che stava facendo…». La donna si fermò di colpo guardando la porta. Non sentendo nessun rumore proseguì con la voce più bassa. «L’hanno ammazzato per colpa di Zorzi! Ecco tutto!».

Eva non aveva ancora aperto bocca. Perché erano lì? Sempre perché sapere la verità aiuta a salvare la vita? Non ne era più molto convinta neppure lei. E perché quella donna stava raccontando a loro, due perfetti sconosciuti, la sua storia? «Perché ci dice queste cose», la interruppe, asciutta.

«Perché ho paura. Ho paura per me e ho paura soprattutto per Ann Marie. Quella gente non si ferma davanti a nulla».

In quel momento la bimba si avvicinò alla madre e le sussurrò qualcosa all’orecchio. La donna rise, le accarezzò il capo e la mandò nell’altra stanza con una scusa.

«Non vedo cosa potrebbe avere da temere», osservò Eva scettica.

«Io conosco la verità», annunciò secca la donna. «Mio marito parlava del suo lavoro. Non sempre, ma questa volta sì. La cosa era troppo grossa… poteva cambiare il mondo».

Il viso di Fossati si illuminò. La sua speranza di riuscire a mettere in ordine tutti i tasselli della storia si faceva sempre più concreta. Finalmente gli sembrava di essere vicino… «Di che cosa si tratta? Che cosa le ha raccontato suo marito?»

«Si tratta del progetto di Alberto Zorzi. Il progetto per il quale è stato ammazzato». La voce di Sophie ebbe un sobbalzo. «Il progetto per il quale anche mio marito è stato ucciso!».

Eva scosse la testa. Qualcosa non tornava. Sembrava davvero tutto troppo facile. «E perché lo racconta proprio a noi?»

«Perché ho paura. E soprattutto…». La donna si voltò ancora verso la porta. «Soprattutto… voglio che portiate via questa busta. Io non la voglio qui! È come avere in mano una bomba!».

«Cosa contiene?». Il tono di Fossati era chiaramente diffidente.

«Guardi lei stesso». La donna picchiettò con il dito indice sul timbro postale e poi passò la busta a Fossati. «Mio marito deve essersela spedita a casa il giorno che è stato ammazzato. Mi è arrivata ieri».

La busta, già aperta, era grande poco più di una rivista. Il PM ne estrasse il contenuto. Si trattava di un fascicolo dattiloscritto in inglese. Non c’era nessun titolo. Lo sfogliò velocemente: era il testo di una legge. Non ci mise molto a capire che era l’articolato del decreto attuativo di cui aveva sentito parlare. Nella parte finale c’erano anche alcune fotografie e ricostruzioni grafiche.

«Temo di non capire…», mormorò Fossati. «Perché questo fascicolo sarebbe così pericoloso?»

«Mio marito è morto per questo!», la donna sfogliò velocemente le pagine e si fermò alle ultime tre. C’era la copia in bianco e nero di una banconota da cinquecento euro. Nella pagina successiva c’era quella da duecento e in quella dopo, una sotto l’altra, c’erano le copie di una da cento e una da cinquanta.

Fossati osservò senza comprendere. «Mi perdoni, continuo a non capire».

«Cosa sapete del sistema monetario?», si informò la donna, mentre con il solito indice picchiettava sulla banconota fotocopiata.

«Poco», ammise Fossati. «Ma abbastanza per capire che Zorzi voleva smantellare un sistema in vigore da centinaia di anni. Un sistema in mano alle banche private».

Sophie annuì. «Ho studiato economia con mio marito a Oxford, sapete? La prima cosa che ti insegnano è guardare il sistema con occhi nuovi. Mayer Amshel Rothschild, un banchiere del Settecento che contribuì a creare il nostro sistema monetario, diceva: “Datemi il controllo sulla moneta di un Paese e me ne frego di chi fa le leggi”».

“I banchieri sono tutti dei ladri. E allora? Qual è la novità?”, si disse Eva, che però tenne per sé quei pensieri.

«Mio marito lavorava a stretto contatto con Zorzi. Il presidente gli aveva spiegato la sua idea e lui si era buttato a capofitto in quel progetto». La voce della donna ebbe un’esitazione. «E gli è costato la vita!».

«Ci scusi, signora Defour…», tagliò corto Eva. «Jean François aiutò Zorzi nel suo progetto, questo lo sappiamo. Ma non vedo come questo spieghi la sua morte… né quella del presidente».

Quelle parole, pronunciate dalla donna che aveva premuto il grilletto, suonavano un po’ strane a Fossati.

La moglie di Defour, che come il marito era un’affermata economista, si rese conto che i due ospiti non avevano afferrato a pieno la gravità della situazione. Si rimboccò le maniche e si fece restituire da Fossati il fascicoletto. Ritrovò la pagina e, indicando una scritta sulla banconota fotocopiata, disse: «Guardate qui!».

«E allora?».

«Cosa c’è scritto sulle vostre banconote?».

Eva aggrottò la fronte.

«Ne tiri fuori una. Controlli».

Eva eseguì riluttante. Estrasse una banconota da cinquanta euro, l’ultima che le rimaneva in tasca, e la osservò attentamente.

«Continuo a non capire».

«Guardi in alto a sinistra. Di fianco alla bandiera Europea e alla scritta cinquanta. Cosa legge?».

Eva osservò attentamente e lesse ad alta voce: «BCE ECB EZB EKT EKP».

«Esatto, quello è il loro sigillo. La prova che sono loro il padroni di quella banconota, non noi». La preparazione accademica della donna, che evidentemente doveva conoscere l’argomento ben più di quanto aveva detto, conferì autorevolezza alle sue parole. «Adesso, invece, guardi il bozzetto di questa banconota…», insistette la moglie di Defour.

Eva e Fossati se ne accorsero contemporaneamente. La banconota fotocopiata sembrava del tutto identica ma, nella parte alta, accanto alla bandierina blu c’era una scritta diversa: “UE”.

«Mio marito aveva cancellato il loro sigillo. E sapete quale sarebbe stata la conseguenza?», sibilò Sophie, il tono saccente di una professoressa che non si aspetta una risposta corretta dai suoi alunni.

Eva e Fossati, in effetti, non seppero rispondere.

Osservarono anche gli altri bozzetti. Erano tutti identici alle banconote che usavano da anni ma invece della scritta BCE, Banca Centrale Europea, in alto a sinistra c’era la scritta “UE”, Unione Europea.

«Secondo Zorzi, la conseguenza naturale sarebbe stato il fallimento della Banca Centrale!».

 

 

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